“Shamain” era la festa celtica che oggi chiamiamo "Halloween" (nella religione cattolica Ognissanti), e che viene celebrata al Circolo Vegetariano di Calcata ogni anno da almeno vent'anni. Ma la tradizione esoterica è molto più antica.... e per non cadere nella mischia calcatese dei travestimenti birraioli e trucidi abbiamo chiamato questa festa "Il Ciclo della Vita" ovvero: Morte e Rinascita. (P.D'A)
Per i Celti la fine di Ottobre era l’inizio dell’anno nuovo, ed era il momento in cui, per qualche motivo, il confine fra mondo visibile e al di là si faceva labile, tanto che i due si interpenetravano, e creature dell’uno o dell’altro mondo potevano sconfinare…. Da qui l’usanza, poi degenerata in superstizione, di offrire dolci agli spiriti disincarnati, che venivano sulla terra, per tenerli buoni.
Che dire di questa visione del mondo? Era forse simbolica della fragile barriera che vi è fra la vita e la morte o vi era qualcosa di più?
A me sembra che essa, oltre i suoi significati puramente simbolici, ci parli di un tempo in cui la percezione umana rispondeva a parametri ben diversi da quelli che raggiunge oggi; un tempo in cui la dimensione della coscienza era talmente ampia da poter dialogare a tu per tu con un mondo parallelo. E se molti atti, molte festività, finirono per ripetersi solo per tradizione, era pur vero che esse forzatamente scaturivano da esperienze vissute, altrimenti non ci sarebbe stato senso a perpetuarle: insomma, qualcuno, in tempi così lontani da non poter forse essere nemmeno ricordati, aveva toccato il limite tra un mondo e l’altro, e aveva compreso che , nel ripetersi ciclico di tutte le cose, vi è – o vi era - anche un tempo specifico per l’avvicinarsi e l’incontrarsi di mondi che sono situati su di una frequenza vibratoria così diversa, così lontana.
Ma, per qualche motivo – ovviamente a noi ignoto – si producevano (o si
producono) in certi periodi particolari (o forse mediante modalità particolari) aperture dimensionali fra mondo spirituale e mondo materiale.
E, come nel ciclo naturale la morte e la vita si avvicendano al punto di formare un cerchio completo ( e quindi si può dire in un certo senso che si tratta della stessa cosa, perché il tempo è una realtà illusoria e quindi l’esistenza compresa fra i suoi due estremi è un continuum che ha all’interno della sua parabola un presunto inizio e una presunta fine, ma non si tratta in realtà né dell’una né dell’altra cosa, visto che un cerchio non ha inizio e non ha fine) così nello Shamain la fine dell’anno celtico veniva a coincidere- ovviamente- anche con l’inizio dell’anno nuovo, e la vita e la morte - e le creature dei loro rispettivi mondi- venivano a incontrarsi nello stesso punto.
Per estensione quindi potremmo concludere che la celebrazione che avveniva in quel momento particolare dell’anno simboleggiava l’esistenza del punto d’incontro fra due realtà, che di per sé nulla ha a che vedere con il tempo e lo spazio; ma visto che la dimensione spazio-temporale domina i parametri percettivi umani, è necessariamente così che può essere filtrata dall’attrezzatura psico-fisica di cui l’uomo è dotato. D’altronde i simboli e i riti configurano il ricalcarsi di realtà pertinenti al mondo delle idee, in modalità che permettono la recezione diretta e immediata di un concetto a livello terreno. Questi “ponti” concettuali nel corso del tempo hanno persino preso aspetti monumentali quali le piramidi egizie o precolombiane, o le cattedrali gotiche volute dai Templari, in cui idealmente si uniscono il cielo e la terra.
Col tempo la memoria di queste esperienze si attenuò: ma nella tradizione iniziatica venne perpetuata la coscienza di questa realtà presente e possibile, tramite i rituali misterici. Essi cercavano di recuperare pienamente quella sacralità profonda di cui già nell’epoca classica si stavano perdendo le tracce, sostituita da una pseudo spiritualità che tendenzialmente creava una frattura sempre più profonda fra il mondo degli dei e quello dell’uomo.
L’argomento di cui si parlerà durante gli incontri previsti sono gli stati alterati di coscienza, e questa è una realtà che accompagnava forzatamente i culti misterici che si riconducono, in origine, alla ricerca di un contatto con la Grande Madre, il misterioso spirito d’amore che pervade la creazione e dà un senso a tutto, che scandisce i ritmi vitali della natura ed è messaggero delle energie celesti; che traspone in forme e in realtà visibili le sostanze cosmiche, e che quindi, nel suo linguaggio mediato dalle forze di natura, porta a livello della nostra limitata comprensione umana le incommensurabili e smisurate verità che reggono l’universo, e che si esprimono a livelli energetici talmente lontani dai nostri da non poter minimamente essere espresse in termini razionali. La mamma è sempre la mamma!
Possiamo ipotizzare che nell’era del Toro, dal 4000 al 2000 A.C., prima dell’avvento dei culti patriarcali di orgine indoeuropea, gli uomini avessero una percezione più viva delle realtà celesti di cui la natura si faceva interprete e che identificava nella donna generatrice di vita, come nella terra stessa, la depositaria del mistero più grande. I culti erano rivolti alla Dea, e le società stesse venivano rette da governi di tipo matriarcale. Nell’area mediterranea in particolare questo aveva portato pace e benessere (visto che le madri sono più interessate a generare la vita piuttosto che dare la morte), come attestato dai ritrovamenti archeologici relativi alla cultura minoica e alla zona dell’Egeo e dell’Anatolia. Poi gli invasori sostituirono con i loro dei maschili, aggressivi e guerrafondai la Grande Madre, il cui culto gradualmente scemò e fu in gran parte relegato alle confraternite iniziatiche, quelle che oggi potremmo definire società segrete. Da questo punto il sacro – inteso come atteggiamento che vede in ogni cosa il riflesso del “divino”, o meglio del supersensibile, cioè di quei mondi superiori di cui il nostro mondo è una sorta di riproduzione in scala a livello energetico e che influisce direttamente sulla vita dell’uomo come parte del tutto – iniziò la sua parabola discendente, in cui fu rimpiazzato gradualmente dal profano, quell’atteggiamento in cui più nulla è “sacro”, più nulla viene identificato cioè come l’eco terreno di più vaste realtà cosmiche, e la visione antropocentrica sostituì quella che concepisce l’essere umano come inserito nei ritmi della vita senza necessariamente essere il centro dell’universo. L’antropocentrismo si è originato con il monoteismo, che via via ha sostituito i culti pagani, assai più vicini alla vera natura delle cose e agli archetipi che configurano i vari aspetti dell’esistenza.
Il primo culto misterico di cui ci parla la storia è quello eleusino, che si rifà al viaggio di Demetra (la dea greca della fertilità- un’immagine della Grande Madre, Cerere per i Romani) in cerca di sua figlia Persefone (Proserpina per i Romani), scomparsa nel mondo sotterraneo perché rapita da Ade, il dio degli Inferi. I “misteri” conducono l’adepto nel mondo delle tenebre, delle sue tenebre personali, affinchè possa – se non comprenderle – accettarle e integrarle nel sé come strumento di trasformazione, proprio come noi accettiamo il fatto che per sei mesi l’anno (Autunno-Inverno) Demetra, ossia la natura, piange la figlia che deve rimanere sottoterra, e le messi non crescono; mentre quando Persefone, per sei mesi all’anno (Primavera-Estate), si ricongiunge con la madre sulla superficie della terra, ecco che Demetra fa festa e ritorna la vita alla natura. Il mistero del ciclo di vita e morte non è comprensibile razionalmente, ma se ne può penetrare l’essenza, riconducendola nell’ambito della sfera personale, entrando in sintonia con una percezione più profonda.
Demetra-Persefone, spesso considerata una dea duale (e quindi avrebbe in un certo senso la stessa valenza) rappresenta sia la vita , nella sua veste di Demetra, che la morte, quando si cala nei panni di Persefone: perciò essa apre e chiude un ciclo. La vita, paradossalmente, origina la morte, come Persefone è figlia di Demetra, e anzi il suo alter ego. E’ quindi un tutt’uno.
Il culto eleusino prevedeva, come apertura dei riti, una sorta di pellegrinaggio simbolico da Eleusi ad Atene, un percorso di una ventina di chilometri, per ripercorrere le orme di Demetra che fece lo stesso percorso alla ricerca della figlia scomparsa, e fu antesignano, si può dire, degli assai più corposi pellegrinaggi che videro il loro sviluppo in epoca medioevale sotto l’egida del cristianesimo. Si trattava, anche in questo caso, di un viaggio rituale, epressione del desiderio di un cambiamento interiore, un bisogno di esperienze nuove; il pellegrinaggio è la metafora della vita umana alla ricerca del senso del proprio procedere.
Nel viaggio ogni segno diventa la manifestazione di un ordine invisibile che offre risposta a un interrogativo interiore, come se, per qualche istante, il mistero possa rivelarsi e dare responsi.
Ed ecco che gli aspiranti all’iniziazione erano sottoposti a varie prove, compresa una morte simbolica, ed ecco che veniva loro data da bere una mistura di erbe psicotrope, perché la loro coscienza, nello stato alterato, si allineasse con quelle verità che un tempo lontano l’uomo poteva percepire nel suo stato “normale”.
Nel tempio di Delfi, in cui si ricevevano gli oracoli di Apollo, la Pizia (la sacerdotessa incaricata di fare da ricettacolo per i messaggi del dio- ancora una volta una donna: evidentemente si riconosceva all’elemento femminile una maggiore assonanza con la dimensione “altra” ) prima di ogni sessione profetica digiunava per tre giorni, dopodichè assumeva una mistura di erbe che, unitamente ai vapori inebrianti che uscivano da una fenditura nel pavimento dell’”adyton”, il luogo in cui si svolgeva il rito, le provocavano una vera e propria “trance” che serviva evidentemente a travalicare i limiti della coscienza ordinaria per addentrarsi nel terreno soprannaturale in cui si percepivano bagliori di rivelazione e si esperivano realtà precluse al quotidiano.
Poi vennero i culti dionisiaci, in cui l’ebbrezza del vino provocava alterazioni molto più radicali e meno composte: si potrebbe anche pensare che i culti dionisiaci siano una degenerazione dell’uso dell’alterazione della coscienza, ma in realtà servivano ad esplorare i limiti che dividono anima e corpo, sanità e follia, come momenti di crisi ma anche di opportunità e crescita. Forse il precipitarsi da un estremo all’altro, caratteristico dei culti dionisiaci, che vedevano momenti di euforia seguiti a momenti di depressione, di estrema agitazione e poi di calma innaturale, serviva proprio a far capire quanto fosse labile il confine fra una vita e l’altra, o meglio fra la vita e la morte. Il segreto è riuscire a camminare sulla linea di confine. In ogni caso anche i misteri dionisiaci, come quelli eleusini, rievocavano momenti di sprofondamento nella morte per poi celebrare il ritorno alla vita.
Che dire, poi, degli sciamani del nuovo mondo, tutti iniziati, da secoli, all’uso rituale del peyote (in Messico) o dell’Ahiauasca (in Brasile?). Non c’è cultura “primitiva” (leggi: legata alle radici dell’uomo) che non usufruisca di questi elementi presenti in natura per catapultarsi verso realtà precluse alla normale percezione dell’uomo. E lo sanno molto bene quanti hanno fatto parte della cultura hippy degli anni sessanta-settanta (come per esempio il sottoscritto) che tentavano di esplorare realtà alternative alla piattezza di un sistema materialistico organizzato come una prigione per l’anima, mediante l’uso delle cosiddette “droghe” psichedeliche.
In realtà il drogarsi, e cioè l’essere schiavi di una sostanza, è tutt’altra cosa, poiché i “figli dei fiori” non ricercavano l’ebbrezza di per sé, ma utilizzavano l’alterazione della coscienza come mezzo per espandere la consapevolezza del sè ed entrare in quegli stati percettivi che sentivano li avrebbero messi in contatto con le realtà superiori di cui, forse, sentivano un’ancestrale nostalgia. Questo perlomeno era l’intento di Timothy Leary, colui che produsse per primo l’LSD, e di tutti coloro che lo utilizzavano come porta d’accesso a un sacro viaggio dentro di sé.
Ogni cosa ha il suo tempo, e come l’iniziazione misterica mediante piante psicotrope, anche quella psichedelica è diventata un vestito dismesso: ma la coscienza rimane, ed ha bisogno, in qualche modo, di espandersi.
Io credo che la spiegazione sia questa: in conformità con la legge di attrazione, secondo la quale noi attiriamo nella nostra sfera personale le esperienze e le conoscenze di cui più abbiamo bisogno (non necessariamente quelle che ci piacciono di più) le piante psicotrope furono scoperte dall’uomo (oppure gli furono “date”?) nel momento in cui egli si accorse che nella sua struttura interiore era venuto a mancare quel qualcosa che gli permetteva di percepire in maniera molto chiara le realtà “celesti”, le voci e le presenze di mondi superiori e lontani quanto a valenza energetica, ma non per questo irraggiungibili, perché è anzi proprio il contatto con questi mondi che ci può trasformare e proiettare verso ciò che siamo destinati a diventare.
Possiamo dunque dire che è (o meglio era) insita nell’uomo la capacità di relazionarsi direttamente a forme superiori di conoscenza e di energia-spirito in quanto parte stessa del suo bagaglio interiore, animico: ma un’obnubilamento della coscienza lo impedisce da tempo immemorabile, e la nostra sfida, ancor oggi, è recuperare quella parte di noi. Molti miti parlano, in forme diverse, di una “caduta” come quella edenica, che innalzò una cortina fra la percezione diretta del divino e l’uomo. Tutti i miti mascherano qualche primigenia verità, anche se chiaramente alcuni di essi sono stati volutamente manipolati o hanno subito alterazioni nel corso del tempo. Certo è che la scissione fra una percezione superiore e quella ordinaria deve aver avuto luogo in qualche momento dell’esperienza dell’uomo, poiché egli, in ogni civiltà e in ogni tempo, ha sempre ricercato questa relazione con il soprannaturale, come a chi viene amputato un arto inizialmente si comporta d’istinto come se ci fosse ancora. E’ la parte “con accesso negato” dell’uomo.
Oggigiorno in particolare, come contraltare al trionfo del materialismo, si moltiplica il numero di chi cerca quelle risposte che può solo trovare dentro sé, ma il cammino non è più quello degli “aiuti” esteriori. Si tratta invece di un lavoro molto più faticoso, un itinerario tutto interiore alla ricerca di se stessi che comporta dedizione pressocchè totale e scelte ponderate che possono reintrodurre nella coscienza quegli stati che oggi chiamiamo “alterati” e che si possono presentare come esperienze “picco” in occasioni particolari, ma di cui ci potremmo reimpossessare, mediante il paziente lavoro su noi stessi, come realtà ordinaria dell’anima. La conoscenza di sé porta necessariamente alla trasformazione.
E’ questo il prossimo passo dell’evoluzione umana?
Simone Sutra
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Programma generale:
31 Ottobre 2009 – h. 17.00 – Inaugurazione della mostra sul “Ciclo della Vita” e discorso interattivo con gli artisti. Distacco ed estasi.
1 Novembre 2009 – h. 17.00 – Cerimonia – Spettacolo: “Suggestioni in trasformazione” – Interventi e musica in tema con poesie.
7 Novembre 2009 – h 11.00 – Passeggiata conoscitiva nel Parco del Treja e raccolta strumenti musicali naturali. Partenza da Via del Fontanile, Circolo Vegetariano.
8 Novembre 2009 h. 17.00 – "Viaggio all’Origine" Tavola rotonda. Conclusioni e progetti futuri e rinfresco con bevande e dolci da ognuno portati.
Infoline Programmi: 0761-587200 – circolo.vegetariano@libero.it
Per partecipare alla Mostra d’Arte: 333.5994451 – info.apai@virgilio.it
Patrocinio di: Comune di Calcata, Parco Valle del Treja, Provincia di Viterbo.
Sito Web:
http://www.circolovegetarianocalcata.it/2009/09/21/calcata-il-ciclo-della-vita-dal-31-ottobre-all8-novembre-2009-centro-visite-del-parco-del-treja-e-circolo-vegetariano-vv-tt-calcata-il-ciclo-della-vita-dal-31-ottobre-all8-novembre-2009/
domenica 27 settembre 2009
Calcata, dal 31 ottobre all'8 novembre 2009: “Il Ciclo della Vita” / “Shamain” / "Halloween" - Al Circolo Vegetariano VV.TT.
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