Ho letto le due lettere che sono state definite una romantica ed emozionale e l’altra razionale e speculativa.
Mi si consenta dire che a me la prima non sembra romantica nel senso culturale della parola, ma piuttosto una italica romanticheria, molto vicina alle canzoni napoletane. E non é con le canzoni napoletane che si salva l’umanità, caso mai a qualche singolo individuo consente di morire romanticamente.
La domanda fondamentale che dovremmo porci di fronte a simili esperienze é questa: perché, almeno in Italia, l’umanità contadina ha fatto del tutto per abbandonare la terra, i grappoli d’uva, i somari, ecc.ecc. Perché la quasi totalità dei soggetti che si sentono tanto portate per i comportamenti bucolici, dopo detta esprienza tornano ai tradizionali lavori? Queste persone si domandano se sono disposte a sopportare i disagi e le complicanze dei lunghi inverni, quando si deve lavorare affinché i grappoli d’uva possano aversi in autunno?
Per quanto riguarda la felicità, ognuno ha la sua e per essere felici non c’é bisogno necessariamente di vedere i grappoli d’uva. Si può essere felici facendo il medico e l’infermiere quando il malato esce dall’ospedal guarito, si puo’ essere felici facendo l’ingegnere quando si costruisce in modo salutare per gli abitanti, si può essere felici facendo lo scalpellino quando vede il frutto del suo lavoro, si può essere felici facendo onestamente il sindacalista, ecc.ecc.
Si può essere felici in ogni modo, quando si è soddisfatti del proprio lavoro, della propria attività, specie, almeno per me, quando si opera nell’interesse di chi ci circonda. In Confucio parla di un re felice in quanto aveva costruito laghi e dighe per il benessere del suo popolo. La terra non va amata, va eventualmente rispettata, non in termini assoluti, ma in relazione all’amore che dobbiamo all’umanità. Io sono un innamorato delle bellezze della terra, ma non la trasformo in un soggetto. Essa deve essere considerata un oggetto, una cosa, come una nostra casa di paglia o di muratura. Noi la rispettiamo per non farla decadere, ma non l’amiamo. Quel che amiamo sono i ricordi ad essa connessi.
Per quanto riguarda la seconda lettera, cioe’ quella di Antonino Amato, mi si permetta di dire che io non vedo in essa alcuna razionalita’ e ancora meno speculazione. Ognuno certamente ha la sua razionalita’ e la sua speculazione. Che in Amato non ci sia razionalità, almeno per la mia razionalità e speculazione, lo dimostra il suo linguaggio che nasconde preconcetti da bell’abissina. Naturalmente condivido le sue critiche relative alla proprietà della Banca d’Italia e ai soldati italiani che vanno a combattere in giro per il mondo.
Ma che queste critiche le faccia una parsona che si dichiara, se non erro, fascista ante guerra, mi lascia estremamente perplesso. Quale garanzie di analisi ci può questi offrire, quando ricorda con nostalgia quel Mussolini che quando porto’ i soldati italiani in Abissinia non aveva capito che il tempo degli imperi era finito? Anzichè andare a fare le strade, le scuole e gli ospedali in Etiopia, avrebbe potuto fare le stesse cose nel nostrro Sud e debellare l’analfabetismo. Se le avesse fatte in Italia, alla fine della guerra le avremmo avute, fatte nelle colonie, non solo le abbiamo perse, ma ora dobbiamo pagare anche le spese della colonizzazione.
Saluti. Massimo Sega
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