Da cinque anni la rivista bimestrale del Worldwatch Institute esplora la storia, i metodi di produzione, e gli impatti ambientali e sociali dei prodotti di uso quotidiano, nella rubrica Life-Cycle Studies e da qualche tempo i risultati sono disponibile gratuitamente online su Eye on Earth a cura di Ben Block, staff writer del World Watch, che questa volta si occupa del latte, l'alimento che nutre i cuccioli dei mammiferi da milioni di anni, e che oltre ad una "bevanda naturale", è diventato un cibo trasformato, manipolato e mercificato dagli esseri umani, gli unici animali ad utilizzare il latte di altre specie.
«Tuttavia - scrive Ben Block - prima che il bestiame venisse addomesticato circa 9.000 anni fa, la mungitura di una mucca era uno sport estremo e gli uomini evitavano semplicemente ignorando il suo latte. E dopo lo svezzamento, non avevano bisogno per gli enzimi per separare gli zuccheri del lattosio separati, quindi la maggior parte degli uomini adulti erano intolleranti al lattosio. Ma genetisti immaginano che 5.000-7.000 anni fa in Europa un raro e avventuroso individuo tollerante al lattosio abbia avuto il coraggio di bere il latte dal suo bestiame. Quelli con un vantaggio genetico simile lo hanno eventualmente seguito lungo una strada simile verso il latte. Molte tra le culture che hanno sviluppato per prime il gusto per il latte, come gli scandinavi quasi per intero tolleranti al lattosio, continuano a berne di più: il più alto livello mondiale pro-capite di consumo di latte si trova in Finlandia (184 litri) e Svezia (146 litri )».
Secondo la Fao, nel 2008 sono state prodotte 578 milioni di tonnellate di latte fresco, con una crescita del 20% rispetto al dato del 1998 e Cina, Brasile e India rappresentano quasi la metà di questo aumento produttivo, si prevede che entro il 2050 i consumi di latte raddoppieranno.
Block spiega che «Come gli esseri umani, le mucche devono rimanere incinta per produrre latte. Tra i vitelli, dopo i primi due giorni, le femmine vengono separate ed allevate per la produzione lattiero-casearia, mentre i maschi sono spesso venduti per la carne bovina. Le mucche passano sempre di più la loro vita nelle concentrated animal feeding operations (Cafo - gli allevamenti intensivi, ndr). Secondo l'U.S. Government Accountability Office, negli Stati Uniti le aziende lattiere più grandi hanno circa 1.200 mucche ciascuna.
Il Gao stima che queste grandi aziende agricole producano ognuna 30.502 tonnellate di letame ogni anno, formando lagunaggi di rifiuti i cui reflui spesso generano inquinamento delle acque e riempiono l'aria di protossido di azoto ed altri contaminanti».
Le mucche da latte vengono alimentate a mais o soia per aumentare la loro produzione giornaliera, ma i bovini si sono evoluti mangiando erba e una dieta industriale a base di amido si traduce spesso in un aumento dello stress fisiologico e infezioni, che i produttori generalmente curano e prevengono con iniezioni di antibiotici. Inoltre i grandi allevamenti zootecnici per evitare la presenza di mosche e parassiti non lesinano sugli insetticidi, spargendo sostanze potenzialmente inquinanti per i lavoratori, l'ambiente e le risorse idriche. Diversi allevatori continuano a trattare le mucche con l'ormone della crescita bovina (o rBST), che diversi ricercatori collegano all'aumento di nascite di vitelli deformi, infezioni delle mammelle e rischi di cancro nei consumatori di latte.
L'utilizzo dell'ormone della crescita è stato vietato in Australia, Canada, Ue e Nuova Zelanda, ma negli Usa i rischi per la salute collegati allo rBST vengono incredibilmente considerati "gestibili", anche se la crescente opposizione dei consumatori ha costretto numerose aziende lattiero-casearie a porre fine volontariamente all'uso di rBST e, secondo il dipartimento dell'agricoltura statunitense, dal 2005 il suo utilizzo è diminuito del 5%.
Secondo il Worldwatch Institute «In media, le aziende lattiero-casearie contribuiscono per il 93% alle emissioni di gas serra associati al latte (con la trasformazione del latte e la produzione di imballaggi responsabile per i rimanenti gas serra), dovuti principalmente al metano rilasciato direttamente dalle mucche e dei cambiamenti di utilizzo delle terre associati alla realizzazioni di pascoli per le mucche. Un rapporto della International Dairy Federation evidenzia che, in media, un chilogrammo di latte è responsabile di un chilogrammo di biossido di carbonio equivalente.
La Fao, in un rapporto pubblicato ad aprile, ha stimato che il settore lattiero-caseario a livello mondiale contribuisca al 4% dei gas serra causati da attività umane. Ogni chilogrammo di latte richiede anche quasi 10 litri di acqua per l'alimentazione, la pulizia, e la produzione».
Le alternative per ridurre l'impronta ambientale del latte esistono: latte biologico prodotto da mucche che pascolano all'aria aperta, con certificazioni che assicurano il non utilizzo di fertilizzanti sintetici, pesticidi, modificazioni genetiche e il corretto trattamento dei sottoprodotti della macellazione, come il letame o il sangue.
«Gli agricoltori devono anche garantire l'accesso delle mandrie al pascolo durante il periodo della crescita - scrive Block - curare le mucche umanamente e separare le vacche malate trattate con antibiotici».
Oltre alla certificazione biologica, numerosi governi ed industrie stanno implementando le iniziative volte a limitare gli scarti delle aziende lattiero-casearie, le emissioni e l'utilizzo dell'acqua. La Gran Bretagna ha annunciato nel 2008 la sua Milk Roadmap, una campagna volontaria per ridurre entro il 2010 l'utilizzo di acqua dal 5 al 15% per ogni litro di latte prodotto e per una gestione dei reflui zootecnici che deve riguardare il 95% delle aziende agricole ed una riduzione entro il 2020 dei gas serra provenienti dalla produzione lattiero-casearia del 20 -30% rispetto ai livelli del 1990.
(greenreport.it)
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