martedì 9 giugno 2009

"Da Pratale a Calcata" - Il pellegrinaggio a piedi di Etain Addey

Non voglio andare al convegno della Rete Bioregionale Italiana in macchina. E qui già mi scontro con un paradosso della vita "semplice": se parto con le ruote vado e torno in tre giorni, se scelgo di andare a piedi devo lasciare al mio compagno di vita semplice tutta la mungitura e i lavori di formaggio, orto, potatura e animali. Questa volta il convegno ha luogo a Calcata, un piccolo borgo a nord di Roma. Ne sento parlare da anni, ma non l'ho mai visto, né conosco di persona Paolo D'Arpini del Circolo Vegetariano che ci ospita; finora ho solo letto i suoi scritti.

Quando si va a piedi, la destinazione e le persone che ci si trovano assumono un'importanza insolita nella mente del viaggiatore. "Come viaggiano le truppe nemiche?" chiese un generale romano. "A piedi: quindi abbiamo il tempo per preparare le difese." Così mi scrisse Paolo quando gli comunicai la mia intenzione di venire a piedi e quindi per le vie della Tuscia mi sento un poco barbara.

I ritmi della natura.
La prima notte la passo arrotolata nel sacco a pelo sulla balconata del Palazzo dei Papi ad Orvieto. È dura la pietra, ma in compenso ho una vista del palazzo che nessun papa, chiuso dentro, ha mai goduto: ogni volta che apro gli occhi nelle ore piccole (e c'è un orologio su una torre vicina che suona i quarti) rimango di nuovo meravigliata dalla bellezza delle mura di pietra rosa con i delicati lavori degli scalpellini del trecento. Non riesco a capire che tipo di industria, ai piedi della rupe di roccia vulcanica di Orvieto, continua a rombare sempre nel silenzio della notte. Prima dell'alba parto nella direzione di Viterbo, passando per Grotte di Santo Stefano.

Piano piano comincio a rendermi conto che l'intero paesaggio è una magia di rupi scoscese e paesini arrampicati sopra canyon - Orvieto è il luogo più famoso, ma dall'età del bronzo questa terra è abitata da gente che ha usato la roccia per difesa e rifugio. Arrivata a Grotte di Santo Stefano, non riesco a capire perché non trovo il centro del paese ma poi mi spiegano che fino al 1600 la gente viveva nelle grotte, e solo in secoli recenti ha costruito le case, che in un certo senso sono rimaste "periferiche" rispetto alle grotte.

Piove un po' troppo per dormire per terra e due donne anziane proprietarie di un bar mi dicono che non c'è un posto per dormire qui. "Strano" - fa una all'altra - una volta qui c'era tutto - si dormiva, si mangiava, si ballava, c'era pure il cinema e eravamo si può dire poveri... ma adesso che stiamo meglio non c'è niente". E difatti, come tante comunità nella società consumistica, è rimasta tagliata fuori: per qualsiasi cosa bisogna andare o a Orvieto o a Viterbo, e lungo la strada che porta alla statale vedo la gente correre in macchina a velocità da suicidio per scappare dal loro luogo svuotato e risucchiato dai grossi centri commerciali. Anche io percorro una lunga strada fino a Viterbo, e vedo una campagna di bella terra agricola affollata da ville appena costruite con entrate monumentali e recinti di plastica, quasi tutte di cattivo gusto e comunque, se non fosse per feroci cani doberman, vuote. Un degrado dovuto al benessere.

Tradizioni dimenticate
Con i piedi nell'acqua fredda e il silenzio del cratere verde attorno mi libero dei rumori delle tante cave che ho visto tra Orvieto e Viterbo e di tutte quelle orrende ville, e della macchina tritatutto che pulisce con gran rumore l'argine delle strade con uno che guida e quattro operai che osservano senza far niente mentre la macchina scanna la corteccia degli alberi e taglia solo a metà le erbacce, lasciando una traccia rovinosa.(Mi sono immaginato cinque persone con la zappa a lavorare con cura e attenzione e a chiacchierare insieme nel silenzio della campagna: perché c'è questo rifiuto del lavoro fisico?)
La sera mi sdraio vicino al lago con un bastoncino d'incenso....

Etain Addey

(Il racconto continua sul libro "Una Gioia Silenziosa" edito da Ellin Selae)

www.italianaturale.it

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