Calcata è bella per meriti geologici, per le sue rupi mozzafiato, per i picchi di tufo che sembrano usciti da una quinta di Walt Disney, per le cortine di verde che la fascia. È bella per meriti storici, per il castello che la chiude in un bozzolo, per il borgo medievale praticamente intatto, per le viuzze che muoiono in strettoie impossibili per riaprirsi all'improvviso svelando un'intera valle. Per tutti questi motivi Calcata ha un fascino che nessuno le contesta. Ma proprio questo particolare potere d'attrazione rischia di essere fatale, di attirare un flusso turistico troppo copioso per un paesetto arroccato su un picco di tufo.
Dunque Calcata ha tutte le carte da giocare e un solo pericolo... una
gestione troppo ingorda che per paura di perdere consensi accetti tutto: le file stile Ferragosto ad Ostia, la paccottiglia dozzinale sotto arcate
secolari. I weekend in cui alcuni arrivano di buon mattino per aprire
negozi, in cui vendono “prodotti locali” ad altri romani che arrivano
qualche ora dopo.
Certo, nello stesso termine “ideale” è implicita una nota di irrealtà,
impossibilità, stagno. Ma un paese che voglia tendere l'ambizioso obiettivo della definizione di “villaggio ideale” non può che muoversi sulla strada della valorizzazione delle sue risorse, delle sue bellezze e delle sue intelligenze filtrando gli afflussi turistici in modo da non far gravare richieste troppo esose sul territorio. Una politica del genere si basa su alcuni capisaldi. Innanzitutto difendere i beni naturalistici e culturali: proteggere la dotazione verde, le chiese, i monumenti, l'assieme dei mille piccoli particolari che creano l'unicità di un luogo.
E poi recuperare le vecchie attività che in questi luoghi nascevano valorizzandole alla luce di un mercato sempre più attento alla qualità della produzione alimentare e artigianale, disposto a pagare qualche lira in più pur di poter comprare cibi legati ai sapori della terra più che a quelli della chimica. Su questo cammino verso l'idealità Calcata ha ancora molta strada da fare......
Proprio sotto la rupe c'è una fogna a cielo aperto che scarica liquami non trattati alla confluenza del Treja con il Rio, in uno del punti più belli della valle. In mancanza di un parcheggio le auto intasano la piazzetta davanti alle mura e vanno poi a formare un cordone di due o tre chilometri sulla strada provinciale resa più stretta dai resti di una frana che giacciono da alcuni d'anni custoditi amorevolmente come se fossero un monumento. E il quadro della manutenzione resta desolante anche,se ci si spinge nel parco. Discariche abusive tollerate per anni non sono state ancora sanate e ad ogni piena i pioppi si trasformano in ributtanti parodie degli albéri di Natale, con i rami che grondano sacchetti di plastica e bottiglie.
Il fosse del peccato è una località che non onora nessuna delle suggestioni del suo nome: nessuna tentazione può mai nascere in questa sorta di cimitero popolato di scatolette arrugginite cartoni ammuffiti, brandelli di telone, medicinali andati a male. Naturalmente accanto a queste nefandezze il parco dei Treja resta pieno di luoghi di grande suggestione e piacevolezza e nel suo assieme rappresenta una delle oasi di verde che sopravvivono a fatica nel Lazio. Per fare di Calcata un paese ideale basterebbe dunque poco: basterebbe passare da una politica dell'immagine che tende a nascondere la spazzatura sotto il tappeto alla soluzione dei problemi che restano aperti e all'incoraggiamento di un turismo più qualificato.
Antonio Cianciullo
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