martedì 25 gennaio 2011
L'insegnamento impartito dal saggio Yājñavalkya al re Janaka
"Quello, il quale è consustanziato di conoscenza e sta tra le funzioni vitali, invero, è questo grande Sé non-nato. Esso è colui che dimora in quello spazio che è all'interno del cuore. E' il Reggente di tutto, il Signore di tutto, il Governatore di tutto. Quello non diviene migliore attraverso il retto agire, né peggiore a causa del non retto agire. Quello è il Signore di tutto, è colui che governa sugli esseri e colui che mantiene in esistenza gli esseri. Quello stesso si erge come una barriera a separare questi mondi, acciocché essi non abbiano a confondersi l'uno con l'altro. I brāhmaṇa intendono conoscere Quello attraverso lo studio dei Veda e per mezzo del sacrificio, delle offerte, della disciplina ascetica e del digiuno. Soltanto avendo realizzato Quello si diviene saggi. Quelli che vagano peregrinando, aspirando soltanto a quello stato, errano avendo intrapreso la vita di monaci itineranti. E' proprio per questo, invero, che ai primordi i saggi illuminati non anelavano a una posterità: 'Cosa otterremmo da una progenie, noi che abbiamo realizzato il Sé e possediamo questo mondo?'. Essi, allora, abbandonarono il desiderio della progenie, il desiderio di prosperità e il desiderio verso i mondi e intrapresero la vita di mendicanti. Quello, che è il desiderio della progenie, è desiderio di prosperità, e quello, che è desiderio di prosperità, è desiderio verso i mondi, perché, invero, questi due desideri sono il medesimo. Quello è il Sé indicato come: non è così, non è così. E' inafferrabile perché, invero, non può essere afferrato; indistruttibile perché, invero, non è soggetto a distruzione; senza contatto perché, invero, non ha contatto con alcunché; indipendente perché non vacilla né soffre pena. Invero, questi due [pensieri] non lo affliggono più [il saggio]: 'per questo ho commesso l'errore', 'per questo ho compiuto il bene'. Egli, invero, si porta al di là di entrambi. Le azioni compiute e quelle mancate non lo tormentano più.
'Ciò viene espresso dal seguente inno. Questo [Sé] è l'eterno splendore del conoscitore del Brahman: non è accresciuto né è sminuito da alcuna azione. [Perciò] soltanto di quello [splendore che è il Sé] si realizzi l'essenza! Avendo realizzato quello [splendore che è il Sé], non si è più toccati dall'azione indegna. Perciò, colui che così conosce, una volta che abbia raggiunto la calma mentale, che abbia raggiunto l'autodominio sensoriale, che si sia raccolto, che abbia acquisito una pazienza perseverante e si sia immerso nella concentrazione in sé stesso, costui conosce certamente il Sé nel proprio corpo, egli vede la totalità come il Sé. L'errore non lo soverchia, egli ha trasceso tutti gli errori. L'errore non lo consuma, egli consuma tutti gli errori. Egli diviene senza errore, incontaminato, libero dal dubbio e conoscitore del Brahman. Questo, o sovrano, è il mondo del Brahman, e tu lo hai conseguito" Così parlò Yājñavalkya.
E rispose Janaka: "Io ti offro, o Signore, le terre di Videha insieme anche a me stesso al tuo servizio"
(Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad 4.4.23)
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