mercoledì 21 settembre 2011
NATO e Turchia in Libano? - Nuovi scenari geomilitari e politici evocati da Maurizio Blondet
"In verità, nella creazione dei cieli e della terra e nell'alternarsi della notte e del giorno, ci sono certamente segni per coloro che hanno intelletto" Corano III, 190
Se mai la forza d’interposizione ONU sarà posizionata in Libano, conterà un contingente turco.
Con quale spirito?
Un amico mi riferisce che molti negozi di Istanbul espongono cartelli che dicono: «Non serviamo israeliani».
E che uno degli scorsi venerdì, nella grande moschea Sulaymanya (di Solimano) ha ascoltato l’imam spiegare che Israele e l’America sono nemici dei turchi e di tutti i musulmani, e devono essere combattute come fanno palestinesi, hezbollah, resistenti iracheni: una novità che ha stupito i presenti, dato che le prediche degli imam sono in genere controllate (se non dettate) da funzionari governativi.
Ma anche i media cosiddetti «laici» e non pro-islamici sono tutti contro USA e Israele.
«Il telegiornale di una famosa TV laica ha mostrato la mappa del ‘Grande Israele’, in cui metà della Turchia era coperta della stella di David».
Del resto il capo del governo Recep Erdogan, islamico «moderato», ha così definito l’intervento israeliano in Libano davanti all’Organizzazione della Conferenza Islamica a Kuala Lumpur ai primi d’agosto: «E’ una guerra iniqua… la guerra d’Israele non fa che accendere odio… non è difficile vedere che ci attende una terribile guerra globale e un enorme disastro».
Ma l’esercito turco, è tutta un’altra cosa.
Esso viene generalmente presentato dai media occidentali, in un linguaggio convenzionale, come «il garante supremo della laicità della Turchia».
I suoi numerosi colpi di Stato, con cui nella storia ha abbattuto governi legittimi, sono stati non deplorati, ma invariabilmente giustificati in Occidente come un segno della «fedeltà alla costituzione di Ataturk».
Per chi ha l’orecchio giusto, queste frasi convenzionali hanno un inequivocabile odore massonico. I comandi militari turchi sono infatti coperti da «donmeh»: questa parola, che significa «apostati», indica i discendenti degli ebrei che, nel 1666, credettero nello pseudo-messia Sabbatai Zevi. Posto dal sultano di fronte all’alternativa di mantenere la sua pretesa messianica o venir decapitato, Sabbatai Zevi si convertì all’Islam.
E sul suo esempio si convertirono molti dei suoi seguaci, ma falsamente.
Assunsero nomi islamici e il venerdì frequentavano la moschea; ma il sabato celebravano nelle loro sinagoghe segrete, dove praticavano (si dice ancora negli anni ‘30) culti aberranti. (1)
Alcune generazioni più tardi, troviamo i discendenti dei sabbatei secenteschi diventati il nerbo delle categorie professionali «moderne» e «laiche» in Turchia (medici, avvocati, banchieri), e negli altri gradi dell’armata, spesso affiliati a logge, politicamente radicali.
Sono essenzialmente gli ufficiali «donmeh» la forza dietro alla rivoluzione nazionalista di Ataturk, ispirata al verbo di Mazzini, e su basi radicalmente laiciste. (2)
Non c’è quindi da stupire che, contrariamente ai sentimenti popolari, l’armata turca sia amicissima di Israele.
Come spiega il professor Michel Chossudosvky in un saggio illuminante (3), si tratta di una vera e propria alleanza militare.
Questa risale addirittura al 1958: allora, con l’attivo favore degli Stati Uniti, Turchia e Israele stipulano un accordo, anodinamente noto come «Patto Periferico», le cui clausole sono segrete: ma si ritiene comportino la condivisione delle informazioni d’intelligence e il mutuo soccorso in caso di «emergenze». (4)
Il patto è stato rinnovato e potentemente rafforzato nel 1994; allora i militari turchi stipulano con Israele un «Security and Secrecy Agreement» (SSA) che comprende anche addestramento congiunto delle truppe e sviluppo congiunto di sistemi d’arma, nonché «l’impegno garantito della segretezza delle informazioni di intelligence condivise».
Di fatto, Israele ha occhi e orecchie e influenza indiscussa nell’armata turca.
E ha usato largamente il patto SSA in funzione anti-Siria.
«La Turchia consente all’IDF (Israeli Defense Force) di raccogliere intelligence elettronico su Siria e Iran dal territorio turco», dice Chossudovsky.
Nel 1996, il SSA viene perfezionato da un «Military Training and Cooperation Agreement» (MTCA) e da un «Military Industry Cooperation Agreement», con cui Israele aiuta i turchi a modernizzare i loro carri armati, la flotta elicotteri e i vecchi caccia americani F-4 ed F-5.
Tra i progetti comuni, c’è lo sviluppo del missile antimissile Arrow II e del «Popeye» israeliano.
Dal ‘97 la cooperazione è coronata da una «Strategic Dialogue»: in cui due volte l’anno comandi supremi dei due Paesi, al livello di vice-capi di SM, si incontrano per «consultazioni» (Milliyet, 14 luglio 2006).
Nella guerra israeliana contro il Libano, i comandi turchi hanno visto l’occasione per strappare, con l’alleata Israele, «il controllo militare su un corridoio costiero che va dal confine israelo-libanese fino al confine tra Siria e Turchia nel Mediterraneo orientale».
Questa amicizia strategica comprende la fornitura di un altro materiale strategico per Israele: l’acqua potabile.
Con un accordo stilato nel 2004, la Turchia si impegna a venderne allo Stato ebraico 50 milioni di metri cubi l’anno per vent’anni, canalizzandolo attraverso una speciali pipeline turco-israeliana.
Con questi precedenti, si capisce bene come mai a volere la Turchia nell’Unione Europea, premendo con la forza delle sue lobby nei Paesi europei, sia soprattutto Israele.
E con la potente pressione degli USA.
La Turchia è per gli USA uno dei più potenti e fidati membri della NATO.
Ma anche Israele è stata introdotta alla chetichella nella NATO con un «security agreement» dell’aprile 2001, passato ovviamente sotto silenzio dai nostri media.
Questa manovra si è conclusa con successo nel 2004, quando è stata data vita alla «Istanbul Cooperation Iniziative».
Ambigua e alquanto innaturale «partnership militare» (alleanza) che vede la NATO inglobare Israele, e Paesi islamici satelliti (Egitto, Giordania, Algeria, Mauritania, Marocco e Tunisia) costretti volenti o nolenti a partecipare.
Partecipare a cosa?
Dice un testo NATO: a «contribuire alla sicurezza e stabilità regionale, promuovendo una maggiore cooperazione pratica… assistenza nella riforma della difesa, cooperazione nella sorveglianza dei confini, attuazione della inter-operabilità e contributo alla lotta contro il terrorismo».
Erdogan ed Ariel Sharon
Con questo patto di Istanbul, praticamente Israele (complice la NATO) non solo ha neutralizzato un bel numero di potenziali avversari nel mondo arabo, ma ha la possibilità di spiare a suo agio nelle loro faccende militari e interne.
Nel novembre 2004, a Bruxelles e sotto l’egida NATO, i rappresentanti militari dei Paesi islamici sopra citati sono stati convocati per ascoltare altissimi gradi di Israele che dettavano istruzioni e condizioni.
Israele si comporta già come fosse - e come è - non solo membro della NATO, ma il membro-guida dell’alleanza ex atlantica.
Dei «colloqui NATO-Israele» tenutisi a Tel Aviv nel febbraio 2005 hanno consolidato l’alleanza surrettizia di fatto.
Alleanza a senso unico, in cui Israele non s’impegna a nulla verso la NATO, mentre la NATO s’ìmpegna a difendere la sua sopravvivenza (notoriamente «sempre in pericolo»), e ad aprire alle spie israeliane i suoi segreti militari, se ancora ne ha qualcuno. (5)
E’ bene tener presente questi accordi occulti per capire in quale posizione si troveranno le truppe italiane che D’Alema e Parisi (con la benedizione dell’«americano» Napolitano) vogliono mandare come interposizione in Libano.
Da questi accordi, che andrebbero energicamente denunciati, evidentemente il governo dell’Ulivo si sente legato; come dice Napolitano, «non possiamo sottrarci».
Ciò significa che andiamo là non come forza neutrale, ma come alleati occulti d’Israele, esattamente come i turchi: donmeh onorari.
E’ in questo frangente che l’esercito turco si è dato come capo supremo un amico d’acciaio di Israele: il generale Yasar Bukuyanit, che entra in carica giusto in agosto.
Una nomina che il governo islamico-moderato di Erdogan non ha potuto che avallare.
Il generale Bukuyanit è un ospite fisso dell’American Enterprise, il centro di studi strategici neocon - ossia israeliano - che domina sul Pentagono, e di cui fanno parte Wolfowitz, Leeden, e i soliti noti.
Il Generale Yasar Bukuyanit
Israele è contentissimo di aver un simile amico in carica - e probabilmente ha tramato per imporlo: il generale Bukuyanit è un donmeh, e sotto il suo comando il contingente turco della forza d’interposizione è garantito sparerà, se c’è da sparare, dalla parte giusta.
Però si è verificato un imprevisto.
Il giorno in cui il generale Bukuyanit è stato nominato alla carica suprema, «qualcuno» ha misteriosamente inviato due milioni di messaggi SMS su altrettanti cellulari turchi: in cui si denunciava Bukuyanit come «un ebreo filo-israeliano, messo lì per fare la guerra all’Iran per conto di Israele».
Del fatto, clamoroso, la stampa occidentale non ha ovviamente parlato, e il nostro amico è in grado di indicarci articoli solo in turco. (6)
Ma la polizia «laica» turca è allarmatissima e sta compiendo febbrili indagini per scoprire i mandanti di quest’impresa.
Il sospetto è che venga da ufficiali turchi ostili ad Israele, o da una fazione islamica dentro l’esercito: il che sarebbe per sé un fatto inaudito, spiega l’amico, perché nell’armata turca se dimostri una minima simpatia per la fede, sei escluso da ogni avanzamento in carriera, e anzi rischi l’espulsione.
Ma potrebbero esserci dei «laicissimi» (massonici) generali che però non amano servire i giudei ad ogni costo.
Difatti, è convinzione comune che Bukuyanit, il dunmeh, inaugurerà il suo comando come capo di SM con una estesa «purga» negli alti gradi turchi, in vista di ripulire i comandi di ogni sentimento antisionista.
Il primo a cadere dovrebbe essere il generale Isik Kosaner, vice-capo di Stato Maggiore.
Costui ha rivelato i suoi sentimenti rifiutando di partecipare, a metà luglio, alla riunione semestrale dello «strategic Dialogue» turco-giudaico a Tel Aviv, il cui scopo è fornire a Israele le informazioni di intelligence dell’armata turca.
Ma meno facile è sondare i sentimenti degli ufficiali di grado minore, e dei soldati turchi - sicuramente qualche corpo di elite - che saranno mandati a fare interposizione in Libano.
Nessuno può garantire che i feroci soldati di Ataturk, posti di fronte all’alternativa di sparare contro musulmani per salvare Israele, facciano la scelta «giusta».
Rischiamo di assistere ad evoluzioni impreviste della semisecolare «fedeltà alla NATO» della Turchia?
Maurizio Blondet
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Note
1) Lo storico ebreo Gershom Scholem è la fonte principale su questa setta ebraica pseudo-islamica. I culti aberranti si spiegano con una «teologia» di tipo antinomico: essendo l’era messianica già qui, «non valgono più le leggi d’incesto», perché il messia libera gli ebrei da ogni legge. E lo dimostra proprio l’apostasia di Zevi: il messia stesso compie un atto aberrante, l’apostasia. Dunque, per i suoi fedeli, «la salvezza si ottiene attraverso il peccato», scendendo fino in fondo alle «porte d’impurità».
2) Sulla parte essenziale dei donmeh nella rivoluzione di Ataturk, si veda il mio «Cronache dell’Anticristo», Effedieffe.
3) Michel Chossudovsky, «Triple alliance: the Us, Turkey, Israel, and the war on Lebanon», Globalresearch, 6 agosto 2006.
4) L'artefice del patto segreto è stato Baruch Uziel (1901-1977), un ebreo greco di nascita, emigrati in Israele nel 1914 dove divenne capo del partito liberale.
5) Israele e Turchia hanno compiuto manovre congiunte minacciosamente davanti alla Siria agli inizi del 2005, subito seguite da manovre NATO-Israele coi Paesi arabi soggetti. Il segretario generale della NATO Japp de Hoop Scheffer, olandese, ha visitato Israele in quell’occasione e si è incontrato con Sharon e i più alti gallonati dell’armata di Sion, per cooperare «nella lotta al terrorismo e contro le armi di distruzione di massa».
6) Ibrahim Kiras, «Buyukanit neden 4 gun once atandi?», 8 Sutun, data imprecisata. Lo si può vedere al sito: www.8sutun.com/node/17496.
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