lunedì 12 settembre 2011

Il collasso del sistema finanziario bancario, il terrore delle banche, la cacarella dei governanti e l'abbandono dell'Euro



Da piccoli ci viene insegnato che le banche sono un elemento vitale del sistema.

Nei miei studi all’universtà ho avuto il piacere di scoprire, in esami di economia politica, che le banche sono il meccanismo, la ruota fondamentale dell’economia moderna liberale e capitalista. Tuttavia a ben rifletterci la crisi del '29 fu innescata da una piccola banca la Creditanstalt. Il suo crollo colpì il sistema bancario austriaco, all’epoca molto fragile. Le conseguenze colpirono il sistema tedesco, reduce e ancora sofferente per il debito/riparazioni di guerra che doveva pagare.

Come conseguenza ultima del microdomino europeo il Regno Unito, che ancora non voleva mollare la presa sul sogno del “commonwealth”, vide la sterlina deprezzarsi violentemente del 25%. Il passo successivo furono le banche centrali che scaricarono il dollaro e andaron alla ricerca di oro fisico (A quei tempi non c’era ancora Soros a suggerire che l’oro è una bolla!). La banca di Francia, la banca Nazionale Belga, quella Olandese e quella Svizzera, tutte nel panico. Il risultato immediato fu un aumento dell’interesse dal 1.5 all’ 3.5 % negli USA.

Il resto è storia, e tra giorni di “bank Holiday” creati ad Hoc per tener buoni gli investitori/pecore (che invece fuggivan terrorizzati a prelevare soldi liquidi nello loro banche retail) l’economia Americana toccò il fondo nel 1933. Ovviamente la crisi economica che seguì, a mio avviso, in qualche modo fu la causa prima della nascita di governi fortemente nazionalisti. In Europa con Spagna, Italia e Germania, in America con Roosvelt e i suoi New deals che altro non eran che campi di lavoro per tener buone le masse di disoccupati. Tali governi, così sulla difensiva, raggiunsero l’apice della crisi nel '39 e l’inizio della guerra fu solo un rilascio di tensione fin troppo trattenuta. Ora tralasciando di ipotizzare un simile epilogo per l’attuale crisi appena iniziata ( oppure mai finita dal 2007 malgrado molti giornalisti finanziari la pensino diversamente) resta da accennare il ruolo delle banche e il loro attuale ammonimento.

Una recente analisi della UBS, scritta da Stephane Deo, Paul Donovan e Larry Hatheway getta proietta alcuni “dubbi” sull’Euro. E’ affascinante cogliere qui e là alcune affermazioni che mi permetto di tradurre direttamente in corsivo con in parentesi alcune note personali.

Il costo economico (1 parte)

Il costo di una nazione debole, nell’abbandonare l’euro (buttiamo lì dei nomi a caso: Italia, Portogallo, Grecia, Spagna, Irlanda e fermiamoci qui giusto per non complicarci la vita…) sarebbe significante. Le conseguenze sarebbero il fallimento sovrano, fallimenti corporativi, il collasso del sistema bancario (ecco la cosa che brucia e terrorizza le banche…) il collasso del commercio internazionale.

Noi stimiamo che una nazione debole, lasciando l’euro, potrebbe incorrere in costi che vanno dai 9500 euro ai 11500 euro per ogni persona vivente nella nazione per il primo anno di fallimento (i signori di UBS fingon di dimenticare che solo metà del debito pubblico nazionale delle nazioni povere è in mano alle nazioni stesse, il resto, guarda caso, è posseduto altrove dalle banche nazionali di altri paesi europei o mondiali…).

Il costo negli anni successivi probabilmente (per la serie le stime le facciamo precise…) oscillerebbe tra i 3000 euro e i 4000 euro per persona. Questo equivale a circa il 40% �C 50% del Pil per il primo anno.

Il costo economico (2 parte)

Nel caso una nazione forte come la Germania (se i paesi poveri li ho menzionati prima e di nazioni forti la UBS considera solo la Germania resto perplesso a capire dove mettiamo tutti gli altri stati europei: Francia, Polonia, Olanda etc… boh saran stati neutri, del tipo non stiam bene, non stiam male, si vivacchia…) lasciasse l’euro le conseguenze includerebbero fallimenti corporativi, ricapitalizzazione del sistema bancario ( altro terrore delle grandi banche…) il collasso del commercio internazionale. Se la Germania lasciasse, noi crediamo (fan professione di fede….?) che il costo per ogni tedesco adulto e bambino (nei paesi poveri non han considerato i bambini, ma nei paesi ricchi meglio considerare anche quelli: piccoli indebitati crescono, meglio prenderli da piccoli…) nel primo anno oscillerebbe tra i 6000 euro e i 8000 euro. Negli anni successivi lo spread sarebbe tra i 3500 euro e i 4500 euro. Questo corrisponde approsimativamente al 20% 25% del Pil nel primo anno.

Paragonando tali cifre al salvataggio della Grecia, Irlanda, Portogallo è da considerare che il costo procapite per ogni cittadino di tali salvataggi sarebbe di poco piu’ di 1000 euro ( per la serie meglio continuare con un sistema malato a botte di flebo piuttosto che tirar giu’ l’edificio pericolante e ricostruirlo su basi solide…)

Costo politico (e qui arrivano le velate, mica tanto velate, minacce delle banche…)

Il costo economico, entro certi limiti, è l’ultima preoccupazione per gli investitori (ma come prima si parlava di cittadini con sulla schiena un debito procapite e ora si parla solo degli investitori preoccupati…?). La frammentazione dell’euro potrebbe avere costi politici. Il “soft power” che l’Europa ha sullo scena internazionale potrebbe svanire (già svanito a mio avviso quando durante il periodo della crisi 2007 commissione e parlamento europeo eran praticamente fantasmi e le singole nazioni si attivavano, come in queste setitmane Merkel e Sarkozy, per protegger i propri stati…). E’ inoltre da ricordare che nessuno moderna unione monetaria si è scissa senza che intervenisse un qualche tipo di forma di governo nazionalista o guerre civili (e qui si richiede una nota estesa…).

Questo è quanto; ora alcune osservazioni su questo documento che potete trovare in forma integrale in rete. La UBS, e non solo lei, è una banca con interessi mondiali. Non è certo un segreto che la globalizzazione ha dato grande crescita alla discrezionalità delle grandi banche nell’agire in modo da generare profitti oltre il limite dell’immaginabile per i loro manager e dipendenti. Ora se le prime due note ( uscita paese debole / uscita paese forte) sono poco piu’ che minacce velate l’ultima affermazione è una minaccia forte per ogni politico che sappia leggere e soprattutto dimostra l’ultimo grande terrore che ogni banca mondiale ha, nel profondo del suo cuore.

La NAZIONALIZZAZIONE. In questo momento se uno stato sovrano volesse, avrebbe la possibilità di uscire dall’euro, pur rimanendo in Europa. Ma cosa più interessante è ancora nel potere di ogni stato membro la possibilità di nazionalizzare aziende attive sul suolo nazionale per motivi di necessità o interesse nazionale. In ultima istanza i politici sono i rappresentanti del popolo e da esso prendon il potere (dicasi anche elezioni).

Se i politici dovessero percepire che la loro posizione è in pericolo potrebbero esser spinti all’insano gesto di seguire gli umori del popolo. E in questo momento, in tutto il mondo occidentale, il popolo chiede la testa dei banchieri. Ora le banche mondiali pretendono che i debiti debban esser pagati. Che si tratti di un singolo cittadino che deve pagare il mutuo di casa ( in America molti lascian le chiavi di casa appese al pomello della porta), oppure sia un intero stato che deve pagare i debiti non cambia nulla.

Le banche alla fine non hanno interesse nel credito ma nel debito. Chiunque sia in attivo in una banca può spostare il suo denaro dove vuole. Chi è in debito deve prima risolvere la sua situazione debitoria.. Le banche quindi hanno il terrore nero che i governi europei decidan di prender azioni drastiche e in questo documento, lodevolmente scritto, una banca non europea ( quanto meno che non ha la sede legale in uno stato dell’unione Europea) parla fuori dai denti chiarendo molto bene, ai politici, la posizione ufficiale del mondo della finanza: “Noi vogliamo esser pagati, e se fate scherzi avrete crisi politiche, economiche e verrà giu’ il mondo perchè senza di noi non potete vivere”.

Enrico Verga

(Fonte: Rischio Calcolato)

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