martedì 26 luglio 2011

Umberto Bianchi: "La globalizzazione è contro l'identità del luogo"




Il travagliato periodo di crisi, politica, economica, ma anche morale, che il nostro paese sta attraversando, sta riproponendo a tutti coloro che possiedono un minimo di coscienza antagonista, quella mai sopita e completamente abbandonata riflessione sul “che fare?” di leninista memoria.

Una riflessione che ha recentemente subito un’impennata, determinata dall’accelerazione della crisi del centro destra italiota e dall’insufficiente caratura politica del centro sinistra e quindi dalla prospettiva dell’apertura di nuovi spazi di consenso, precedentemente catalizzati attorno ai due grandi schieramenti politici nazionali. Ecco allora tutto un fiorire di iniziative, convegni e via discorrendo, tutti appunto incentrati su quel tanto travagliato “che fare” testè citato. L’appello dell’amico Mariantoni, le iniziative di Alba Mediterranea, la Confederatio, il Centro Studi Socialismo Nazionale, il raduno di questi giorni di Monte Livata, il Manifesto Fasciocomunista e via discorrendo, rappresentano in qualche modo il sintomo di un profondo disagio, la punta di un iceberg che però, se non sarà accompagnato da proposte concrete, rischia di rimanere nell’ambito del “tanto rumore per nulla” a cui certi ambienti ci hanno, da troppi anni oramai, abituato. Esiste una soluzione al paradosso di un ambiente che dell’azione pura ha fatto il proprio mito fondante e che, invece, vive da troppo tempo oramai, una fase di ristagno che ha tanto il sapore di un processo di epocale decadenza?

La soluzione si chiama chiarimento. Sui punti programmatici, innanzitutto, ed in conseguenza, anche sull’azione. Cominciamo con il dire che, accanto al rispetto per la specificità di ogni singola persona, gruppo o associazione con cui ci si trovasse ad interagire, vi sono alcuni “paletti”o punti fermi che dir si voglia, non oltrepassabili, pena lo snaturamento e l’annullamento degli obiettivi che ci si vorrebbe porre. Una sola parola sopra tutte: Globalizzazione. Se siamo in grado di dare, di tale termine, una definizione esaustiva e di comprenderne la piena portata, allora potremo essere in grado di agire di conseguenza. Se per Globalizzazione oggidì intendiamo l’occidentalizzazione forzata dell’intero orbe terracqueo, attraverso un processo volto a fare dell’economia l’unico leit motiv della vita dei popoli, attraverso l’imposizione a tappe forzate del liberismo economico, allora cominciamo a capirci. Se a base di questa Globalizzazione, inoltre, poniamo l’asserzione dell’incontrovertibile esistenza di astratti valori universali quali libertà, uguaglianza, pace, giustizia, etc., che vanno imposti urbi et orbi, attraverso la guida di alcune nazioni “elette”, portando per conseguenza all’omologazione universale ed al conseguente annullamento delle singole identità, allora avremo fatto un altro passo avanti.

E’ chiaro allora che, da tutte queste elementari considerazioni discendono a cascata tutta una serie di conseguenze.

O si è CON o si è CONTRO la Globalizzazione, non esistono soluzioni mediane. Quanto qui affermato implica il fatto che, chiunque si presenti all’edificazione di un progetto antagonista in questo senso, di qualunque eredità culturale o ideologica fosse portatore, dovrà aver compiuto quell’opera di necessario chiarimento al proprio interno, tale da poter procedere coerentemente, evitare in tal modo di venire a perdere il proprio tempo. Dunque, se un liberale, un marxista, un un cattolico o un destro positivo, ci si dovessero presentare animati dalle migliori intenzioni, dovranno sicuramente aver svolto quel necessario processo di autocritica e superamento dei propri orizzonti ideologici, considerando le proprie precedenti esperienze come dei validi spunti per un’azione nel presente coniugata, però, secondo altri parametri. L’idea di libertà individuale, tanto cara al liberalismo, non è in disaccordo con un progetto anti globale, se radicata all’interno di un ambito profondamente identitario e comunitario.

L’idea di giustizia sociale, tanto cara al marxismo, non è in disaccordo con un progetto anti globale, se svincolata dai criteri di materialismo di stampo economicista a cui è invece sottoposta nella dottrina marxista. La religiosità, se intesa come strumento di crescita ed arricchimento interiore, non è di per sé in contrasto con un progetto anti globale, se non va assumendo la connotazione di una forma di omologazione culturale universalizzante. L’idea di stato forte, fondata su un’idea di autorità garantita da una tradizione, posta a retaggio della continuità spirituale di un’intera comunità, propria della destra, non è in contrasto con un progetto anti globale, a patto che non si trasformi in un cieco autoritarismo quasi sempre al servizio di lobbies economiche e di vari potentati. Da quanto detto, discende che non ci può essere nessun percorso in comune con chi è fautore dell’odierno status quo internazionale, rappresentato dall’interventismo USA ed occidentale in genere. Quanto detto vale anche per tutti coloro che, nel nome di “universali principi” sostengono la necessità dell’avvento di una società multiculturale e razziale in Europa, facendo di fatto in tal modo, il gioco delle grandi lobbies finanziarie, interessate alla scomparsa dell’identità (e dei diritti, sic!) dei popoli europei.

Potremmo continuare in questo modo, all’infinito, ma la sostanza permane una sola: oggi siamo arrivati al banco di prova per un’intera area umana e politica. Di fronte alla presa di coscienza sul problema della Globalizzazione e di tutto quello che ne consegue, occorre ora iniziare a dare delle risposte concrete, a partire da una serie di iniziative pubbliche, che dovranno rappresentare il banco di prova per un’area che, sinora, su certi temi si era limitata alle parole. Organizzare per la fine di Settembre una manifestazione nazionale contro l’imperialismo anglo americano ed i suoi sostenitori, rappresenterebbe la linea di discrimine tra chi è “con” e chi è “contro”la Globalizzazione, questa volta senza “se” e senza “ma”. E’ da troppo tempo, oramai, che su certi temi determinati ambienti non solo si limitano alle parole ma poi, ancor peggio, intrattengono delle nemmeno tanto nascoste, connivenze con aree o ambienti politici totalmente estranei e manifestamente ostili a certe tematiche. E allora basta quindi con fratellanze, sorellanze e cameratismi vari.

Basta con i memento nostalgici sugli oramai trascorsi e decotti anni ’70. Non esistono né aree, né ambienti da unificare, bensì gruppi ed individualità da aggregare, coniugati all’insegna di un comune sentire che, non ci stancheremo mai di ripeterlo, non deve tradursi nella pratica della violenza. Il concetto di antagonismo politico non deve per forza far rima con illegalità o violenza, è bene ricordarlo. Se vi sono soggetti che la pensano diversamente, costoro fanno parte della schiera di chi, inconsciamente, lavora per la criminalizzazione di certe idee.

Certo, può essere che, quanto sin qui detto dia fastidio a chi vuole far mantenere il comodo status quo della letargia poltronaia, con cui si vorrebbe infettare un’intera generazione di italiani. Certo, può essere che molti si tireranno indietro e rimarranno per strada, sino a che certe istanze finiranno nelle mani di altri soggetti. Un rischio che, d’altronde, non si può evitare di correre se si vuole, in qualche modo, far decollare un nuovo sentire nell’oramai inaridito ambito della politica nostrana.

UMBERTO BIANCHI

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