Affinché qualcosa esista,
è necessario che siano
operative condizioni che
la facciano esistere!
Tutto ciò che esiste
ha necessità d’esistere
per una ragione superiore
insita nella natura stessa delle cose!
Per questo semplice ed immediato concetto anche la Lingua Latina non cessò mai completamente nella parlata dopo la caduta della Roma Imperiale d’Occidente, almeno restando in vita tra i più colti se pur circondata da barbarie materiale e morale che privò d’ogni bene fisico e ideale l’uomo europeo civilizzato dai Latini della Caput Mundi.
Il Medio Evo, per gli storici ufficialmente iniziato con il 395 della n. e. anno in cui fu posta la caduta di Roma d’Occidente, principalmente in Italia può essere considerato estinto già con l’avvento dei tempi a cavallo tra i secoli XI e XIII, quando apparve nuova urbanizzazione dei maggiori centri cittadini per il loro rifiorire economico e demografico. Infatti, nel trapasso dal primo al secondo millennio è storicamente accertato che, sia in Italia, e più lentamente in Europa, presero vita nuove condizioni d’universale sviluppo per le popolazioni ormai in aumento demografico, e nuova espansione si ebbe per il commercio da cui sorse nuova rafforzata economia.
Nuova fiorente economia che preannunciò evoluzione sociale verso politiche che consentirono sconosciute libertà e imminenti giurisdizionali caratteristiche sociali istruite nel territorio urbano che, di fatto, iniziarono a far sì che le genti tentassero di divincolarsi dal pesante giogo teocratico ecclesiale rappresentato da vescovi; vescovi che già durante i secoli della patristica arbitrariamente occuparono i “palazzi di città” emblemi d’un antico splendore, e da monaci che nelle campagne fecero leva sulla superstizione ed imbarbarimento delle genti edificando certose con lavoro e decime del popolo, così che, soli centri pseudo culturali, divennero luoghi d’aggregazione dei superstiziosi disgraziati di quegli antichi anni.
Presero perciò gradatamente corpo nuovi ceti antesignani della postuma borghesia.
Perlopiù gli inurbati furono campagnoli che si trasformarono in artigiani che s’arricchirono¨, ma anche nobili ed ecclesiastici che per necessità d’adeguarsi ai tempi differenziarono le loro residenze badando di mantenere i privilegi. Così, con il fiorire dei centri abitati i cittadini più facoltosi reclamarono libertà d’autogoverno, sempre meno tollerando l'autorità del vescovo e del viciniore feudatario che non sempre regolarono la vita pubblica in nome del lontano papa o imperatore di cui non rispettarono i dettami.
In questo fermento di malessere per i più poveri, di ricerca di potere per i più agiati, s’avanzò l’alea dei Comuni che si manifestò in tutta Europa pur con maniere diverse da regione a regione, da città a città.
L’esperienza storica dei Comuni, che instaurarono nuove politiche scontrandosi con la chiesa di Roma e con il Potere Centrale maggiormente, attecchì in Italia Settentrionale e Centrale, così come nelle zone d’influenza alemanna/germanico/teutonica. Tali nuove organizzazioni politiche, create dalla stessa esistenza dei Comuni fecero subito sorgere la necessità di creare un Consiglio Politico Cittadino composto da maggiorenti rappresentanti la collettività dei residenti, e lo stesso organo anche vincolò la comunità all'accettazione di normative che ne disciplinarono la vita sociale e politica.
Per la necessità di legiferare i Comuni s’avvalsero dei già esistenti attributi imperiali, regi e clericali copiandoli ed arrogandoseli, perciò facendo anche proprio l’uso di quel Diritto[1] non ancora codificato e, dunque, sottoposto a dispotismo. I Comuni s’avvalsero anche della volontà di promulgare leggi[2], della possibilità di riscuotere tributi, della facoltà d’organizzare eserciti, ed indulsero nella necessità di creare mercati adoperandosi nell’opportunità di coniare moneta[3].
Ab initio nei Comuni del “Giardino d’Europa” potere quasi assoluto fu accordato ai Magistrati (magister=ministro) Collegiali eletti dal Consiglio Comunale con la funzione di dux, legiferatori, economisti… Magistrati ai quali fu assegnato il titolo di “Consoli”, così com’era nell’antica Roma Repubblicana.
Soltanto i Consoli, dunque, disponevano delle Leggi, e per tale prerogativa avevano facoltà di dichiarare alleanze e guerre con altri Comuni. Dai Consoli, per motivate ragioni di politica interna, i Comuni trapassarono ai Podestà. Erano questi “Magistrati Unici” scelti tra stranieri alla città, ed a loro fu attribuito il compito di mediare e porre fine a feroci faide interne al Comune. Vendette e ritorsioni esercitate da ricche famiglie che creavano interna debolezza.
Ma l’esperienza comunale della Penisola nel corso del secolo XIII mostrò inaspettato nuovo volto, perché i ceti arricchiti assunsero sempre più importanza per la ragione che organizzati in “Corporazioni d’Arti e Mestieri” rivendicarono diritti in precedenza detenuti dai soli aristocratici. Così, in breve, le Corporazioni d’Arti e Mestieri assunsero un'importanza crescente in molti Comuni, specie in Firenze, dove ottennero il controllo politico del Comune dalla metà del XIII secolo. Invece, in Milano e città lombarde, cuore di un’economia assai efficiente, presto s’evidenziò lo scontro dei Comuni con l'Autorità Imperiale prima rappresentata da Federico III Hohenstaufen noto anche come Federico I del Sacro Romano Impero e detto Barbarossa, e in seguito dal suo successore Federico VII di Svevia[4], scontri che si conclusero in favore d’una lega di Comuni Liberi del nord.
La storia medievale italiana continuò con l’avvento d’equilibri politici comunali generalmente precari, e per tali situazioni accortamente usati e stimolati dalla chiesa romana che, nel divide et impera, per interesse scaltramente continuava la sua azione di possesso ed accaparramento di beni materiali, e, dunque, di controllo della politica temporale sempre più abbandonando il ruolo spirituale che affermava di possedere; anche se per ciò subì gravi scossoni che durante il secolo XVI la condussero al grande scisma luterano che proveniva da lontano per le tesi di John Wyclif o Wycliffe, di Jehan Cauvin e di Martin Luther.
In ogni modo la lingua latina, unica fonte di cultura e diritto, continuò ad essere l’espressione di comunicazione tra colti e per la legale trasmissione d’atti politici. Essa permise perciò, di fatto, che il nome di Roma perdurasse sempre vivido anche nei Paesi che furono suoi satelliti durante l’Impero Romano.
La lingua latina però non riebbe il proprio splendore d’eleganza stilistica, la propria magnifica forma lessicale e l’intera sua sintassi, ma sopravvisse anche perché durante il Medio Evo divennero popolari una serie di storie/leggende che avevano per soggetto alcuni tra i maggiori personaggi del mondo latino, ed indirettamente greco: “Scevola, Agrippa, Cincinnato, Bruto, Cesare, Cesare Augusto, Claudio, Traiano, Ettore, Enea…”. Nomi mitizzati che riempirono i vuoti d’una cultura che spariva e che la chiesa di Roma amava svanisse, ma che, sempre per essa, era anche bene procedesse perché in tal modo le popolazioni unificate e sottomesse ad una sola lingua, ed alla sua nuova magia salvifica si fiaccassero sempre più avvertendo la superiorità del dio ebraico/cristiano sugli dei che con nuovo termine già spregiatamene erano stati definiti pagani.
Sulla necessità di sopravvivenza d’una cultura universale per la Penisola anche più scuole di grammatica mantennero vivo lo studio dei poeti latini, mentre lo “IUS” della Caput Mundi era insegnato nelle antiche università di Padova e Bologna.
Fu altresì riscoperto che nel latino loquere erano espresse alte funzioni di vita sociale: “La tolleranza nelle fedi verso tutti gli dei, la competenza dell’insegnamento verso i discepoli, l’ideazione e promulgazione della legittimità, la formulazione di scritture pubbliche e private…”.
Perciò la Romanità in qualsiasi tempo mai cessò d’esistere, e nemmeno ciò avverrà in questo sventurato periodo di globalizzazione che viviamo. Questa Romanità fa ancora paura all’Estero anglo-americano perché fucina d’idee sociali, ed anche per gli aspetti nazionalisti che comporta e che alimenta ovunque ci sì voglia staccare dalla Nato, dai dettami statunitensi, dalla comprensione giudaica del mondo e dal suo feroce patto sinarchico interbancario.
Nemmeno la stessa odierna chiesa cattolica che volle ergersi sul paganesimo di Roma, così facendo imperare l’ebraismo di cui è impregnata e da cui mai potrà dividersi neanche con l’uso della teologia “negativa” dell’ipponese, può considerarsi scevra della Romanità Repubblicana ed Imperiale da cui carpì molti dei suoi dettati e di cui, anche questa volta a malincuore e contemporaneamente per necessità, sì professa erede.
La storia porrà il conto di questa presunzione alla chiesa di Roma ed al cattolicesimo che il loro dio trino hanno trasformato in quattrino.
E la stessa necessità storica, quasi vendicativa nemesi di quel lontano passato, condusse al trionfo della Romanità con l’incoronazione di Carlo Magno, il re dei Franchi, ad imperatore d’Occidente, ed anche gli stessi “Municipi” del post primo millennio, quelli in precedenza descritti, si sappia furono il ricordo dei “municipi romani”.
In quella scia di ritorno verso lo spirito latino, e per la necessità di mantenimento d’una cultura al fine d’ottenere un’identità dalla perduta classicità, sorsero i Volgari Neolatini e il Volgare Illustre che diedero forza ad un risanamento della barbarie di ritorno così che, anziché esistere la necessità d’un lungo evo di sofferenze e ricerca, la Cultura poté avvalersi di ciò che apparentemente era stato sconfitto abbreviando il cammino verso nuove mete culturali.
Così, per la serie di motivi indicati la lingua latina restò la forma ufficiale scritta nonostante l’incalzare dei Volgari (vernacoli) delle varie regioni. Dialetti che nel tempo furono codificati in lingue.
Nonostante le nuove diversificate parlate i Volgari si trasformarono in idiomi Neolatini che sono lingue ancora parlate in Portogallo, Spagna, Francia, Italia, Romania… e da cui presero l’avvio i linguaggi dell’Europa occidentale ed anche della stessa lingua inglese che è la stratificazione linguistica di due popolazioni germaniche: “I Normanni ed i Sassoni” che raggiunsero la terra di Britannia.
E’ però ammissibile, questa è una mia cauta propensione, che i Volgari Neolatini possano avere una derivazione, almeno parziale, per corruzione assai diretta dal “Sermo Rusticus” della cui esistenza non è lecito dubitare anche durante il massimo splendore della Roma Imperiale, perché esso era certamente il linguaggio della suburra.
Non è ad ogni buon conto escludibile l’ipotesi che a fianco del sermo rusticus si sia modellato, in ogni regione, su di esso e sul latino, un Volgare più eletto da considerarsi la matrice d’ogni dialetto. In altre parole quel “parlare” che Dante definì Volgare Illustre. Se ciò fosse vero già tra i secoli XIII e XIV si sarebbe parlato nel Giardino d’Europa una lingua unica che poi si differenziò regionalmente.
Kiriosomega
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¨Il raffronto delle valenze psicologiche che investirono quei lavoratori sono sovrapponibili a quelle degli odierni artigiani che con ditte uninominali o familiari sono divenuti seguaci del berlsuconi perché liberi d’arricchirsi senza regole, evadendo il fisco lasciato solo al popolo del lavoratori dipendenti.
[1]Diritto: “E’ la facoltà dell’uomo ad esprimere NORME che derivano da usi e costumi radicati nel territorio di propria abitazione. Le NORME sono emanate e regolate dal Legislatore che legifera servendosi in prassi ordinaria di moderni Parlamenti che hanno potere consultivo. Le Norme prodotte possono essere distinte per il loro iter in parlamentari poi emanate dal Governo (Esecutivo), DL (atti di forza del Governo che impone scelte), DdL (deleghe parlamentari pre attribuite al Governo in determinata materia), DPR. Compito del Diritto è stabilire PRASSI secondo cui devono essere risolti i possibili conflitti tra genti e nazioni per evitare l’uso della forza.
[2] lex, legis= Legge, Norma: “Principio generale derivato dall'osservazione della realtà dei consorzi umani. Le Norme sono l’insieme di leggi che determinano la vita d’una comunità. Sinonimi “regola, codice, disposizione, regolamento, direttiva”.
[3] Moneta: “Oggetto metallico con valore intrinseco e nominale. Sostituì il baratto facendo sì che monete garantite dai potenti, poi dagli Stati, assumessero un valore riconosciuto e universale. Importante è ricordare che il fabbricante di moneta si è sempre riservata l’azione del signoraggio, in altre parole di tenersi una parte delle monete prodotte per la garanzia di valore prestata alle stesse, e per risarcimento delle spese sostenute per coniarle. Oggi il signoraggio spetta alla BCE, in Europa, ma la Banca d’Italia, anche se non più banca di Stato, continua a farsi pagare il denaro avuto dalla BCE addizionandogli il costo del signoraggio pur senza averne diritto”.
[4] Federico VII Hohenstaufen di Svevia, o Federico I di Sicilia o Federico II del Sacro Romano Impero (Jesi, 26 dicembre 1194 – Fiorentino di Puglia, 13 dicembre 1250), fu re di Sicilia, re di Gerusalemme, imperatore dei Romani, re d'Italia e re di Germania. Il suo regno fu caratterizzato da forte attività legislativa e innovazione tecnologica e culturale volte ad unificare le terre ed i popoli, attività sempre fortemente contrastata dalla Chiesa di Roma. Lo stesso Federico fu apprezzabile letterato e mecenate. La sua corte fu luogo d’incontro fra le culture greca, latina, araba ed ebraica.
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