martedì 6 aprile 2010

Novalis (1772-1801) - Inni alla notte

Sopra le stirpi degli uomini

largamente diffuse

nel passato regnava un destino

ferreo con muta violenza.

E un'oscura, grave

benda avvolgeva

la loro anima angosciata -

Immensa era la terra -

dimora degli dei,

e loro patria.

Da sempre esisteva

la sua arcana struttura.

Sui rossi monti del mattino,

nel grembo sacro del mare

dimorava il sole,

la viva luce che ogni cosa accende.



Un antico gigante

portava il mondo beato.

Incatenati sotto le montagne

giacevano i figli primigeni

della terra madre.

Impotenti

nella loro furia sterminatrice

contro la nuova

splendida stirpe di dei

e i loro simili,

gli uomini felici.

Il fondo oscuro,

verdeggiante del mare

era il grembo di una dea.

Nelle grotte cristalline

un popolo esuberante

viveva nell'abbondanza.

Fiumi, alberi,

fiori e animali

avevano sensi umani.

Più dolce era il sapore del vino

donato da una visibile

pienezza giovanile -

un dio nei grappoli -

un'amorosa, materna dea

cresceva nei gonfi, aurei covoni -

era la sacra ebbrezza

d'amore un dolce rito

della divinità più bella -

un'eterna, variopinta festa

dei figli del cielo

e degli abitatori della terra

passava stormendo la vita,

come una primavera,

attraverso i secoli -

Tutte le stirpi infantilmente

adoravano la multiforme,

tenera fiamma

come la cosa del mondo suprema.

Solo un pensiero, un'immagine

spaventosa di sogno era quella



che si accostò tremenda ai gai conviti

e in selvaggio terrore avvolse gli animi.

Non seppero gli dei dare un consiglio

che fosse di conforto ai cuori oppressi.

La via di questo demone era arcana,

non lo placava supplica né offerta;

fu la morte a interrompere quest'orgia

con l'angoscia, le lacrime e il dolore.



Per sempre ora da tutto ciò diviso

che a dolce voluttà qui muove il cuore,

lontano dagli amati, in cui si accende

vana sete quaggiù, lungo rimpianto,

parve assegnato al morto solo un sogno

fioco, a lui solo un'impotente guerra.

S'infranse l'onda del piacere contro

la roccia di un cordoglio interminato.



Con fuoco d'intelletto, animo audace,

l'uomo abbellì per sé l'orrenda larva,

un dolce efebo spegne il lume e dorme -

dolce è la morte come un soffio d'arpa.



Si scioglie la memoria in flutto d'ombre,

così fu il canto balsamo agli afflitti.

Ma un enigma restò la notte eterna,

di un lontano potere il grave segno.



Declinava verso la sua fine

il vecchio mondo.

Sfioriva il giardino di delizie

della giovane stirpe -

lassù, nel libero

spazio deserto

anelavano a salire

gli uomini divenuti

consapevoli, adulti.

Scomparvero gli dei col loro seguito -

Solitaria e inanimata

stava la natura.

La legavano con ferrea catena

l'arido numero

e il metro severo.

Come in polvere ed aria

si frantumò in parole oscure

l'immensurabile

fioritura della vita.

Fuggita era la fede evocatrice

e la celeste compagna

che tutto trasfigura,

tutto congiunge fraternamente,

la fantasia.

Soffiava un ostile

freddo vento del nord

sulla campagna spogliata,

e nell'etere si dissolse

l'irrigidita patria del miracolo.

Le lontananze

del cielo si colmarono

di mondi luminosi.



In più profondo santuario,

in più alto spazio dello spirito

volò coi suoi poteri

l'anima del mondo -

per dominare là fino al sorgere

dell'albeggiante

magnificenza del mondo.

La luce non fu più

dimora degli dei

e segno celeste -

essi si avvolsero

nel velo della notte.

E la notte fu il grembo potente

delle rivelazioni -

là tornarono gli dei -

caddero nel sonno,

per ridestarsi in nuove

più splendide forme

sopra il mondo mutato.

Tra il popolo da tutti disprezzato,

precocemente maturo

e sdegnosamente divenuto estraneo

alla beata innocenza

della giovinezza,

apparve con volto

non mai veduto

il mondo nuovo -


Novalis

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