martedì 20 aprile 2010

Il mito di Cura... ri-raccontato da Antonella Pedicelli

Il mito di Cura

Il mito narra che, agli albori del mondo, la Dea Cura, mentre
passeggiava pensierosa per lande ancora disabitate, arrivata sulla
riva di un fiume, vide che i suoi piedi lasciavano un’impronta
sull’argilla. Pensò allora di dare una forma a quella argilla. Cura
aveva delle mani d'oro, e le figure le vennero proprio bene, per cui
volle fare qualcosa per le sue creature: così si rivolse a Giove,
padre di tutti gli dei, perché vi infondesse lo spirito. Giove
accondiscese volentieri alla preghiera di Cura, che tante volte
l'aveva assistito e massaggiato con preziosi unguenti quando era
stanco, era stata ad ascoltarlo quando era preoccupato e gli aveva
dato saggi consigli sulla conduzione dell'universo.

Subito dopo però Giove e Cura cominciarono a discutere animatamente,
perché il re dell’olimpo pretendeva, in cambio del suo dono, il
diritto di dare un nome alle creature. La discussione fu udita dalla
Dea Terra, che a sua volta iniziò ad arrogare a sé quel diritto, in
quanto lei aveva fornito la materia di cui erano composte le creature.
Intervenne anche il dio Tempo che, pretendendo di ergersi a giudice,
voleva imporre dei limiti temporali. Tutti alzarono la voce e
cominciarono a gridare e a minacciare di distruggere le creature di
Cura, piuttosto di lasciarle agli altri.

Cura aveva ormai concepito un grande amore per le sue creature per
cui, pur di salvarle, accettò che venisse chiamato a giudice Saturno,
per dirimere la contesa. Questi, dopo lunga meditazione, così
sentenziò: "Tu, Giove, che hai dato lo spirito, al momento della morte
riceverai lo spirito. Tu, Terra, che hai dato il corpo, riceverai il
corpo. Tu Cura ,che per prima hai creato e fatto vivere il corpo, lo
“possiederai” finché vivrà (Cura enim quia prima fixit, teneat
quamdiu vixerit) e si chiamerà Homo perché è stato tratto dall’ humus
cioè dalla Terra”.

Purtroppo però Cura dovette ben presto rendersi conto che quelle
creature non solo erano mortali, ma anche estremamente fragili:
venivano al mondo debolissime, e incapaci di provvedere a se stesse,
morivano se non venivano continuamente nutrite, si ammalavano
facilmente ed erano esposte a mille altri pericoli. Gli altri dei
invece, non contenti di aver bisticciato il giorno natale degli uomini
riguardo al nome da dare, si vantavano di avere in serbo per loro
grandi progetti. La Terra li destinava al lavoro: "I campi, il cielo e
il mare sono una loro proprietà: bisognerà asservirli, sfruttali e
nulla dovrà fermarli”. Giove, sobillato da Marte suo figlio,
prospettava un futuro di conquiste: "Onore e vanto della sua stirpe
sarà il potere: dominerà, sconfiggerà, si farà temere ed obbedire".
Per Cura invece cominciarono tutti gli affanni, per mantenere in vita
la sue creature, e perse il sonno, e non riuscì più a pensare ad altro
arrabbiandosi e cercando di porre rimedio alle follie degli altri
dei. E dove questi hanno voluto dividere, ha intrecciato relazioni;
dove hanno creato baratri, ha costruito ponti; dove hanno causato
ferite, ha curato; e per ogni morte ha procurato che nascesse almeno
una nuova vita. E ogni volta che Cura provava a ricordare a quei
signori che, d’accordo con Tempo, le avevano lasciato signoria su Homo
fintanto che era in vita, essi si arrabbiavano, perché non volevano
rinunciare ai loro progetti.

Fu così che non potendo disfare ciò che era stato fatto, si
coalizzarono e magnanimamente sentenziarono: "Tu Cura, per le tue
faccenduole quotidiane, non hai bisogno di tutto il genere umano; te
ne basta una metà, mentre noi con l'altra metà potremo ben realizzare
le nostre eccelse imprese". A Cura rimasero pertanto quasi
esclusivamente le femmine. Le altre divinità inoltre, per sminuire il
lavoro di Cura ed esaltare il proprio, sparsero la voce che Cura era
una dea inferiore, capace solo di occuparsi di inabili, invalidi,
pannolini sporchi e pappe.

Cura, testarda, continuò a intrecciare amore, dialogo e solidarietà,
piangendo per tutto il dolore che uomini e dei andavano seminando per
il mondo, stando vicina alle vittime di tutte le guerre, e
rifiutandosi di credere che la ragione fosse sempre dalla parte del
più forte. Nel frattempo però Homo si inorgoglì per la propria grandezza, forza e intelligenza. Le sue pretese divennero infinite:, ardì sfidare il
cielo, la natura e i propri limiti, coprì di sangue la Terra e
ingiuriò Giove e ogni altra divinità. I fratelli uccisero i fratelli,
i padri lasciarono morire i figli di stenti, di fame, e nelle guerre
e, quanto alle donne, a loro toccò il trattamento più selvaggio.
Delusi e feriti, gli dei si volsero allora a Cura, e piangendo la
supplicarono di intervenire e di accentuare il suo impegno e i suoi
sforzi riconoscendo pubblicamente la nobiltà della sua opera.

Come molti altri racconti mitologici, le fiabe hanno la capacità di
mediare delle profonde verità e, giungendo direttamente al cuore,
fanno capire che, fin dai tempi più antichi, Cura non doveva solo
provvedere a curare ma anche a “prender­si cura” di questo Homo in
quanto lo “possiederà”, cioè lo terrà come cosa sua, finché vivrà.

Antonella Pedicelli

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