lunedì 3 agosto 2009

Antonio Mattei, direttore della Loggetta di Piansano (Viterbo), scrive sull'eolico pesante e sulla forza della ragione..

Gentile Luca Bellincioni,

sono il direttore della rivista "la Loggetta", che senza
pretese cerca di "raccontare" il substrato storico-culturale
di un largo comprensorio della Tuscia.
Le ho spedito stamani stesso una copia dell'ultimo numero
all'indirizzo da lei fornito al nostro bravo redattore
Giancarlo Breccola, con il quale avevamo appunto concordato
di contattarla personalmente. Le sarò grato se vorrà
dargli un'occhiata e comunicarcene impressioni e
suggerimenti. Se poi desiderasse intervenire su temi
attinenti al territorio, ne saremmo veramente lieti.

Per ora ho urgenza di sottoporle l'articolo che segue,
perché a Piansano la "guerra" sull'eolico è nella sua
fase pià acuta (stanno iniziando gli scavi a dispetto di
una opposizione consiliare e di una mobilitazione civile mai
vista prima) e un suo eventuale apporto di idee e consigli
potrebbe essere particolarmente incoraggiante.
La ringrazio fin d'ora per quanto potrà fare e, in attesa
di conoscerla personalmente, la saluto cordialmente.
Antonio Mattei


da "la Loggetta - notiziario di Piansano e la Tuscia",
apr-giu 2009 - Autore: Antonio Mattei

La forza della ragione
I possibili scenari dello viluppo economico di zona
richiedono conoscenze e ponderazione. E una cultura della
“polis” non degenerata. Tra gli amministratori pubblici
come tra i singoli cittadini.

Le elezioni amministrative nel nostro comune sono andate
come sono andate e lasciamo volentieri i commenti a
politologi e dietrologi nostrani di vocazione. C’è solo
un punto sul quale riteniamo doveroso intervenire, ed è
quello della tanto discussa questione eolica (l’eufemismo
di “parco” è una beffa, suona offensivo alle
capacità di comprendonio di ogni comune cittadino),
questione che, al di là dei programmi elettorali nei
singoli settori di intervento, ha dato a questa campagna un
peso e un’impronta del tutto particolari. Erano decenni
che su un tema di interesse generale non si vedeva un
coinvolgimento così acceso, perlomeno in una consistente
frangia della popolazione. Segno indubbio di accresciuto
senso civico - sebbene non così capillare e maturo come
sarebbe sperabile - ma anche della portata della novità in
sé, che trascende di gran lunga l’ordinaria problematica
amministrativa.

E’ successo dunque che l’una lista ha insistito nel
proporre l’attuazione del progetto eolico presentato dalla
società Etruria Energy, ossia l’installazione di trenta
torri eoliche di circa 130 metri nell’intero territorio
comunale (26 km2), mentre la lista antagonista ha fatto
propria la campagna del comitato “No Eolico”,
autonomamente costituitosi, sostenendo la necessità di
rivedere il progetto e proponendo in alternativa la
realizzazione di un impianto fotovoltaico a minore impatto
ambientale.

La disputa si è infervorata soprattutto perché il
consiglio comunale aveva adottato all’unanimità una
deliberazione di iniziale adesione alla soluzione eolica, a
patto però che si rispettasse la distanza di almeno
quattro chilometri dal centro abitato (il che, data la
limitatezza del territorio, avrebbe reso veramente esigua e
inappetibile l’area utilizzabile). Tale deliberazione era
stata riconfermata all’unanimità in una seconda
assemblea consiliare del febbraio scorso, e ciononostante il
progetto di Etruria Energy, redatto in palese difformità
dal vincolo imposto (addirittura sono previste torri a meno
di un chilometro dall’abitato, che praticamente ne risulta
assediato), ha avuto le prescritte approvazioni in sede sia
provinciale sia regionale. Come mai?, ci si chiede.
Perché, se giunta e consiglio ne erano formalmente
all’oscuro, Etruria Energy rivendica la piena validità
del progetto, sostenendo che una qualificata rappresentanza
comunale ne era comunque a conoscenza ed anzi è stata
protagonista attiva del processo autorizzatorio? (Capite che
vuol dire?, che qualche autorevole am­ministratore
comunale non solo non avrebbe rispettato e fatto rispettare
il mandato consiliare, ma addirittura lo avrebbe
deliberatamente prevaricato stravolgendolo; il che sarebbe
di una gravità inaudita).

Sull’intera vicenda s’è tenuta a fine gennaio
un’infocata assemblea popolare indetta dallo stesso comune
(durante la quale il sindaco ha pubblicamente ammesso di non
aver mai promosso quella preventiva campagna di informazione
e sensibilizzazione che pure era prevista nella convenzione
tra comune e società), e alla vigilia delle elezioni si
è assistito a comizi-conferenze su eolico e fonti di
energia rinnovabile in genere. Nel frattempo l’avvocatura
di Italia Nostra ha presentato un esposto alla procura della
repubblica di Viterbo per individuare eventuali
responsabilità penali, e, insieme con altre associazioni
ambientaliste, in via amministrativa ha ottenuto dal
competente assessorato regionale l’assicurazione di un
riesame dell’intero procedimento alla luce delle linee
guida che dovranno informare l’atteso piano energetico
regionale.

Stavano così le cose quando il risultato elettorale del
6-7 giugno ha riconfermato alla guida del comune la stessa
maggioranza fautrice dell’eolico. La quale, è da
ritenere, si sentirà ora legittimata dal consenso popolare
a dare finalmente attuazione al progetto tanto discusso. E
proprio su questo sentiamo di dover fare alcune
considerazioni, denunciando subito il penosissimo disagio di
chi si vede costretto ad intervenire in una guerra tra
poveri, tra “polli di Renzo” che si beccano in assenza
di una regolamentazione della materia in un piano regionale
o nazionale, se non europeo-comunitario. Il piccolo ente
locale, o il singolo cittadino, è lasciato sostanzialmente
solo di fronte a problemi più grandi di lui, che muovono
interessi giganteschi e per i quali non ha alcuna specifica
preparazione e tutela.

Entrando dunque in argomento, intanto va detto che lo scarto
di soli 93 voti tra le due liste (876 contro 783) ripropone
l’immagine di un elettorato sostanzialmente diviso a
metà, specie se in confronto alla schiacciante maggioranza
tra le due liste analoghe nelle amministrative di cinque
anni fa. Ciò che dovrebbe suggerire quantomeno cautela e
rispetto nella “gestione della vittoria” (sono gli
stessi rapporti umani e sociali all’interno di un piccolo
centro ad esigerlo).

In secondo luogo, nelle competizioni elettorali a livello
locale entrano in ballo com’è noto fattori complessi:
personalismi, nepotismi, clientelismi, favoritismi,... e via
con tutti gli “ismi” che poi significano tutti la stessa
cosa, e cioè interessi strettamente personali che
prevalgono su quello collettivo, comprese le
spregiudicatezze manipolatorie dei più scaltri che, per
ciò stesso, certamente non premiano i migliori.
Ciò significa che questo risultato finale è solo in
parte direttamente riferibile alla questione eolica, per
quanto grande possa essere la sua portata. Piuttosto
rappresenta una valutazione complessiva dell’operato
dell’amministrazione uscente, oltre che la sommatoria
dell’“indice di gradimento” dei singoli candidati.
Quanti, tra gli elettori, si saranno recati a votare essendo
disinformati o del tutto disinteressati alla storia...
“com’è?... dei mulini a vento?”. Perciò la
vittoria elettorale - che va nettamente riconosciuta e
rispettata - certamente non va interpretata come un “via
libera” puro e semplice alla realizzazione di un progetto
che - coinvolgendo l’intero territorio e l’intera
popolazione anche per il futuro - richiama invece la
coscienza di ognuno ad un approfondimento delle conoscenze e
a valutazioni quanto più possibile ponderate.
Quand’anche fosse, le idee non sono giuste per il solo
fatto di essere maggioritarie; né sbagliate solo perché
condivise da un minor numero di persone. La loro forza
poggia sulla ragione, quel “ben dell’intelletto” che
appunto distingue l’uomo tra gli esseri viventi. E questo
ci porta a insistere su alcuni punti-chiave che appunto
sull’onestà intellettuale e sulla capacità di
raziocinio fanno leva.

Riassumendo brutalmente quanto esposto in precedenti
articoli da Paolo De Rocchi in maniera più che
circostanziata, non si tratta di essere nemici del
progresso. Sulla necessità della ricerca di fonti
energetiche alternative all’atomo e al petrolio non
c’è mai stata divergenza di vedute. Si tratta di
valutare quale soluzione può essere più adatta alla
nostra realtà, e ai dati scientifici raccolti c’è poco
da girarci intorno: nell’Altolazio non si registrano
condizioni di vento - per durata e intensità - tali da
assicurare una produzione di energia elettrica appena
significativa. Dunque non si contribuirebbe che in maniera
del tutto insignificante al miglioramento climatico del
pianeta e al fabbisogno energetico nazionale, mentre si
avrebbe localmente un impatto paesaggistico e ambientale
sconvolgente, perché in un’area ristretta come la
nostra, trenta torri eoliche da centotrenta metri
significano semplicemente imporre al territorio una
inconcepibile “vocazione lunare”.

Perché dunque non è stata scartata subito tale
soluzione? Per un motivo semplicissimo (altro che
fantomatici posti di lavoro e ricchezza per tutti): perché
per impiantare tali torri le società versano nelle casse
dei comuni considerevoli somme di denaro, provenienti a loro
volta da un giro economico-finanziario di sovvenzioni
pubbliche talmente appetibili da attirare in molte parti
d’Italia l’attenzione della mafia. Si pensi, nel nostro
caso, che oltre alla somma una tantum di 30.000 euro ad
installazione avvenuta, al comune andrebbero ogni anno 2.000
euro per megawatt installato, ossia 120.000 euro (2.000 x
60), più un’altra quota forse ancor più consistente
legata alla reale produzione di energia, che ovviamente non
è in alcun modo prevedibile e costante (anche per gli
inevitabili periodi di fermo per malfunzionamenti e
manutenzione) ma che, calcolando ipotetiche 1400 ore/anno di
producibilità per 60 mw al 2,5% del valore dell’energia
prodotta al netto dell’iva, significa comunque
un’entrata complessiva davvero straordinaria, di cui il
comune potrebbe disporre ogni anno per tutta la durata di
esercizio delle torri e utilizzarla come meglio crede, non
essendo tale introito vincolato ad alcuna specifica
finalità. L’offerta, capirete, fa gola, perché i
comuni si dibattono tra croniche ristrettezze di bilancio, e
trarre qualche vantaggio dall’enorme businnes che ruota
intorno all’eolico può tranquillamente assicurare la
programmazione di opere e servizi ai cittadini.
Ma, ancora una volta, c’è da ragionarci su e porsi
alcuni interrogativi. Intanto, non si capisce
l’“incaponimento” sull’eolico e la riluttanza a
prendere in considerazione la soluzione del fotovoltaico,
che troverebbe tutti d’accordo con generale soddisfazione,
non avendo praticamente alcun impatto ambientale o quasi.
Non un fotovoltaico accessorio e “di riserva”, come si
adombra in qualche proclama tanto per chiudere il discorso,
ma come scelta principale e significante, tra l’altro
orientata in un settore delle energie alternative
suscettibile di interessantissimi sviluppi tecnologici e
commerciali. Anche per l’installazione degli impianti
fotovoltaici ci sarebbero dei ritorni economici (sia pure di
minore entità, data la ridotta appetibilità dei
cosiddetti certificati verdi, ossia delle sovvenzioni
pubbliche), e con estrema facilità se ne potrebbe proporre
l’adozione ai privati cittadini che già dispongono di
strutture utilizzabili, tipo tetti e terrazze, coperture di
capannoni, superfici poco sfruttabili per le colture, ecc.
Lo stesso comune è proprietario di circa 25 ettari di
terreno, perlopiù concentrati tra la Valle dell’Omo
Morto e le Piane del Cerbone, che solitamente vengono dati
in affitto per la semina e che in gran parte potrebbero
essere destinati proprio all’installazione di tali
impianti. Impianti che non sarebbero in alcun modo visibili
(se non andandovi a ficcare il naso, trovandosi nella zona
delle macchie a sud-est del tetrritorio), e il giorno in cui
si decidesse di smantellarli basterebbe estrarre dal terreno
i paletti di ancoraggio, che non abbisognano di alcuna opera
in cemento o calcestruzzo né di sconvolgenti movimenti
terra per strade e collegamenti. Sarà che la differenza
con gli impianti eolici è fin troppo evidente per sembrare
vera, ma cosa costa studiarne la concreta fattibilità?

Per tornare invece alla “pioggia d’oro” derivante
dall’eolico, viene naturale chiedersi: quanto può durare
questa “sussistenza”? E soprattutto, quali prospettive
di sviluppo può offrire, una volta che avremo riempito il
nostro fazzoletto di terra con trenta torri di centotrenta
metri, e magari avremo fatto da apripista ad altri comunelli
vicini nelle stesse condizioni? Perché il problema vero
è questo: il futuro della nostra terra e dei suoi
abitanti. Un futuro che sempre più riconosciamo nella
valorizzazione di ciò che abbiamo di più prezioso: il
territorio, con le sue bellezze paesaggistiche, i tesori
archeologici e architettonici da inserire in circuiti
turistici integrati, le produzioni tradizionali da adattare
sapientemente alle moderne dinamiche economiche. Una
prospettiva difficile, perché tutta da inventare; che come
tutte le visioni di ampio respiro richiede intelligenza,
fantasia e coraggio, oltre che tempi mediamente lunghi e un
indispensabile "gioco di squadra", ma che riteniamo
l’unica che possa restituire senso e dignità alle
popolazioni e ad un’amministrazione locale che, come volgi
intorno lo sguardo, sembra vivacchiare ovunque nel controllo
del proprio orticello, nella ricerca assillante del consenso
e dei mezzi per mantenerlo. E’ come se a un figlio si
volesse far dimenticare la perdita della madre coprendolo di
regali. “Vi daremo lo scuolabus, e la piscina, e gite, e
ricchi festeggiamenti... - sembra di sentir dire - Alle
torri ci si farà l’occhio e magari vi sembrerà anche
che aggiungano al paesaggio un tocco di modernità...”.
Il modello generalmente invidiato è quello di Montalto di
Castro, “risarcito” per la presenza della centrale Enel
con un mare di soldi che non riesce neppure a spendere. Ne
abbiamo visto uno squallido anticipo proprio in questi
giorni, con Etruria Energy che sponsorizza infiorate di San
Bernardino e tornei di calcetto!
“Fatti non parole” è stato lo slogan della lista
uscita vincitrice dal confronto elettorale. Ossia un
attivismo innegabile e senza dubbio apprezzabile (che non
è da tutti), ma che appunto sembra dettato da una tattica
di controllo di gestione, piuttosto che ispirato da
lungimiranza strategica di promozione. Di più. Sembra di
vedervi il riflesso di una imperante concezione partitica
dell’amministrazione locale, l’asservimento di una
microcomunità a logiche di potere che - complice un
sistema elettorale maggioritario che non sapremmo dire
quanto adatto ai piccoli centri - in nome di una presunta
efficienza esaspera quei rapporti umani che da sempre
costituiscono il vero tessuto socio-culturale delle piccole
comunità. Dilemma antico e domanda retorica: il paese come
terra di conquista di “scuderie” e dottrine partigiane,
o una comunità civile ricca di potenzialità, che
“viene prima” e sa crearsi gli strumenti adatti di
autogoverno? Così che la ricerca del bene comune con
l’apporto di tutti, che dovrebbe costituire imperativo
morale per le istituzioni per prime, diventa una poesiola
per bambini. Non è anche da qui che deriva quella
disaffezione alla “politica” da tutti lamentata? Ossia
quel fastidio verso una forma degenerata della cultura della
“polis”, che da indipensabile strumento di costruzione
della convivenza civile imperversa ora come criterio unico
di discriminazione su ogni aspetto della vita dei
consociati?
Ecco, se queste sono le tanto vituperate “parole”
contrapposte ai “fatti”, noi crediamo ancora nelle
“parole”. Che in realtà non escludono i “fatti”,
ma li finalizzano ad una superiore concezione di progresso.
Fior di economisti parlano di “felicità sostenibile”,
ossia della necessità di combattere crisi economica e
inquinamento globale con strategie che guardano al profitto
ma anche all’ambiente. Una condizione “nella quale il
progresso si misura non quantitativamente ma
qualitativamente... Ciò che cresce non è la quantità
di beni, ma la capacità di goderne; non l’avere, ma
l’essere; una dimensione non fisica, ma propriamente
culturale, che non incide sugli equilibri ecologici”. Ma
se non saremo in grado neppure di riconoscere e
salvaguardare i nostri “talenti”, da quali balocchi
potremo mai aspettarci di sentirci a posto con la coscienza,
una volta che avremo svenduto la nostra terra a quello che
in Germania - la nordica Germania, che nelle torri eoliche
ha battuto la testa da un pezzo - chiamano “il delirio dei
mulini a vento”?

La posta in gioco è troppo alta. Non si tratta di
giudicare una qualsiasi opera pubblica: una strada, la
pavimentazione di una piazza, una fontana... Qui si tratta
di ipotecare lo sviluppo dell’intero territorio, e non ci
si può fidare nemmeno della atavica “saggezza
contadina” collettiva, ammesso che nelle ultime
generazioni ce ne sia rimasta qualche briciola. Del resto
era anch’essa talmente deformata da secoli di
subalternità da diventare furbizia bertoldesca, cinismo,
capacità di arrangiarsi pensando al “particulare”,
piuttosto che all’interesse generale. Non ci si dovrà
inchinare alla volontà popolare, come si dice, solo
perché maggioritaria. Né subirla passivamente. Ma
contrastarla. Con dolore e sgomento, ma con ogni mezzo
lecito. Segretamente sperando che il risveglio della ragione
-quando sarà- non ci restituisca una terra, la nostra,
irriconoscibile.

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