mercoledì 9 marzo 2011

Daniele Carcea: "Rapporto della Financial Crisis Inquiry Commission"



".....i barbari assaltano la cittadella dell'economia.. e le oche tacciono!" (Saul Arpino)


Rapporto della Financial Crisis Inquiry Commission

Financial Crisis Inquiry Commission è il nome della commissione d’inchiesta che ha indagato sulle cause della crisi economico-finanziaria scoppiata nel settembre del 2008. Per un anno e mezzo ha cercato di capire quello che hanno combinato banche, fondi di investimento, speculatori, governo e agenzie di rating, svolgendo lo stesso compito che vide impegnata la Commissione Pecora nel 1932 nel cercare di decifrare le cause della Grande Depressione del '29.

Alcuni giorni fa è uscito il rapporto della Commissione, un rapporto passato sotto traccia in Italia, analizzato solo da Lettieri e Raimondi sul Foglio, che hanno ripreso le 576 pagine del corposo rapporto; “siamo arrivati innanzi tutto alla conclusione che questa crisi era evitabile”, ha detto il presidente della commissione Phil Angelides durante una conferenza stampa a Washington, sottolineando che i drammatici eventi sono stati “il risultato di azioni e mancate azioni umane e potrebbero ripetersi se non si riesce a imparare dalla storia”.

La commissione, nelle conclusioni del rapporto, si è soffermata su cinque punti essenziali: le autorità di regolamentazione, inclusa la Federal Reserve, hanno “commesso errori nel gestire la crisi dei mutui”; si sono verificati “drammatici problemi” collegati alla governance degli istituti finanziari; si è verificato un “mix esplosivo di prestiti eccessivi ed esposizione al rischio” da parte delle famiglie americane che ha messo il sistema finanziario in rotta di collisione con la crisi; la Fed, il Tesoro e le altre autorità di regolamentazione non erano preparate alla crisi, mostrando mancanza di comprensione del sistema finanziario che avrebbero dovuto monitorare; ci sono state violazioni contabili ed etiche a tutti i livelli.

I pesanti segnali che annunciavano l’arrivo della tempesta perfetta sono stati bellamente ignorati: dai rischi esagerati dei mutui per l’acquisto delle case, al relativo aumento dei prezzi degli immobili, dalle pratiche di credito allegro grazie alla alta leva finanziaria che ha permesso di moltiplicare enormemente la creazione di moneta, ai derivati senza regole opachi e non trasparenti, al di fuori del mercato ordinario e dalle stanze di compensazione ,alle operazioni di prestiti a lungo termini contro liquidità disponibile a breve. La parola d’ordine imperante era il laissez faire che ha fatto presto a trasformarsi in azzardo morale a tutti i livelli.

Le grandi banche d’affari americane e non solo operavano con una leva finanziaria che poteva arrivare anche ad un rapporto di 40/50 ad 1, cioè a fronte di 40/50 dollari di attività (assets) disponevano solamente di 1 dollaro di capitale. La politica dissennata dei bassi tassi di interesse voluti dalla Federal Reserve e da Alan Greenspan, precedente presidente del banca centrale americana ha creato l’illusione del denaro illimitato a disposizione di tutti, della crescita senza limiti della produzione e dell’aumento del prezzo degli immobili, stile catena di Sant’Antonio.

Ma ad un certo punto il sogno americano è diventato un incubo ed ha trascinato nella crisi tutto il mondo, soprattutto il mondo occidentale caratterizzato dai grandi debiti pubblici e privati.

E il bello che da tre anni fa, poco è cambiato, il sistema continua ad essere governato dal quello che nel 1913, (anno di costituzione della Fed) il congresso statunitense definì il "Trust monetario": una banda di grossi finanzieri che abusano del loro potere “pubblico” per controllare gran parte del mondo industriale e che vogliono massimizzare i profitti in modo super rischioso ed essere protette contro il rischio allo stesso tempo, con il salvataggio statale, nel caso in cui le cose vadano male.

Infatti nel rapporto si cita ben 357 volte Goldman Sachs, poiché Goldman è universalmente riconosciuta come la più potente delle grandi banche d’affari, quelle troppo grandi per poter fallire, salvate dal Tesoro americano, ed ha rappresentato il paradigma del conflitto di interessi e della frode finanziaria, con l’operazione Abacus. Cosa era Abacus? Abacus era un titolo pieno zeppo di muuti subprime, quindi ad alto rischio, creato nel 2007 dal finanziere Paulson, che aveva intuito che il mercato immobiliare era in procinto di crollare, perché troppo gonfiato, tramite Goldman il Cdo (Collateralized debt obligation), viene piazzato nei portafogli dei propri clienti, mentre subito dopo sia Paulson che Goldman Sachs si preparavano a vendere quei titoli, cioè a scommettere sulla caduta del mercato immobiliare, vendendo allo scoperto e comprando i cds sul titolo Abacus, scommettendo quindi contro i gli investitori a cui avevano venduto il titolo, una roba al cui confronto Tanzi e Cragnotti appaiono come due ladri di mele.

Fra i complici della crisi non può mancare l’analisi sulle agenzie di rating;le tre sorelle– Standard and Poor’s, Moody’s, Ficht, - messe sotto o accusa per comportamenti opachi e ritardi nelle loro valutazioni lasciando, specie negli ultimi dieci anni, troppo spazio a critiche e dubbi sulla loro attendibilità e indipendenza come controllori rispetto ai controllati paganti. Sappiamo che anche in questo mondo il conflitto di interessi impera, i soci di grandi banche e grandi banche di investimento hanno quote societarie anche nelle agenzie di rating, come si può pensare a rating disinteressati?

Ma il centro dell’analisi del rapporto della commissione è l’attività speculativa delle banche. Nel 1933 il congresso americano era intervenuto con il Glass-Steagall Act: con questo importante atto di regolamentazione del sistema, aveva separato le banche commerciali dalle banche d'investimento di Wall Street, allo scopo, di evitare gli errori del decennio precedente, quando le banche investivano i propri attivi in titoli, con il conseguente pericolo per i depositi commerciali e di risparmio in caso di crollo delle azioni, e concedevano finanziamenti rischiosi per fare artificiosamente salire il valore di titoli selezionati o la posizione finanziaria di società nelle quali avevano investito i propri attivi.
La partecipazione finanziaria nella proprietà, quotazione, e distribuzione di titoli spingeva inevitabilmente i responsabili delle banche a consigliare ai propri clienti d'investire in titoli che le stesse banche avevano interesse a vendere. Si trattava di un abnorme conflitto d'interessi e un invito alla frode e agli abusi.

Il Glass-Steagall Act ha funzionato per molti anni, però dagli settanta in poi è stato messo sotto attacco dalle varie lobby del denaro, con la scusa che i tempi erano cambiati, e c’era bisogno di più libertà per far crescere gli investimenti e l’economia in generale. Nel 1980 fu modificato e definitivamente abolito nel 1999 all’epoca di Clinton. L’atteso evento rimise in moto la giostra della finanza, il casinò mondiale, il supermarket della speculazione, i termini si sono sprecati in questi anni per definire gli effetti della deregolamentazione e degli allentamenti dei controlli voluti dal sistema finanziario ma agevolati da Greenspan e dalla fed; le pratiche di finanza selvaggia e di azzardo morale sono così ripartite e le speculazioni finanziarie che venivano praticate negli anni venti appaiono oggi come giochetti da principianti.

E’ questa la causa principale della grande bolla del debito del terzo millennio e delle tremende conseguenze che ci porteremo dietro per chissà quanto tempo; una seria riforma dovrebbe ripartire dalla separazione fra banche commerciali e banche d’affari, forse però c’è qualcuno che non è d’accordo.

Daniele Carcea

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