venerdì 29 ottobre 2021

Quel "buon partito" di Draghi...

 

Della serie: "Ride ben chi ride ultimo"

Esiste un “partito di Draghi”? Esiste, esiste. Non un partito normale – va da sé – con sedi, iscritti e organi direttivi. Ma un partito inteso come progetto politico, come strumento per raggiungere determinati obiettivi.

E quali potrebbero essere gli obiettivi da centrare nell’Italia di questo ingarbugliatissimo ultimo scorcio del 2021? Incominciamo da quello piú immediato, piú urgente da raggiungere per i draghisti e per i loro ispiratori: impedire che le forze politiche sovraniste possano vincere le prossime elezioni e formare un governo che si opponga ai desiderata dei poteri forti. Quali sono questi desiderata? É presto detto: globalizzazione economica, mondialismo politico, cancellazione degli Stati Nazionali attraverso l’immigrazione di massa, e “riforme” rigoriste (dalla controriforma delle pensioni in giú) destinate a produrre un ulteriore ridimensionamento delle condizioni di vita delle popolazioni.

Non é detto che questi siano gli obiettivi intimi di Mario Draghi, ma sono probabilmente – é la mia personale “opinione eretica” – gli obiettivi che sono perseguiti da quei poteri finanziari che su Draghi fanno affidamento per scongiurare il pericolo di “perdere” l’Italia. Gli stessi poteri – é sempre il mio personale punto di vista – che intendono utilizzare Sir Drake per ricondurre all’ovile di Washington un’Unione Europea che, negli anni della Merkel, si é appiattita sugli interessi tedeschi, anche quando questi divergevano (non molto, in veritá) da quelli americani.

Cosí, dopo avere scansato le elezioni anticipate nel 2019 e dopo aver costretto l’Italia a subire un governo che era espressione di tutte le forze perdenti, ecco che dagli alambicchi delle Duecento Famiglie é venuta fuori l’ipotesi Draghi. Con tutta la grancassa della propaganda mainstream tendente a dipingerlo come una specie di Uomo-della-Provvidenza. Cosa in veritá piuttosto facile, in una Italia che veniva dall’esperienza di Conte, Casalino, Arcuri, Azzolina e associati. Naturalmente, il palcoscenico interno e internazionale é stato apparecchiato in modo da fornire uno scenario ideale alla performance dell’uomo del Britannia: lodi e sbrodolamenti, ossequi al suo prestigio planetario, esaltazione di una risalita del PIL invero non sconvolgente, atteso che si veniva dai valori sottozero dell’anno precedente.

Il quadro politico, poi, é stato rimodulato in modo da offrire a Sir Drake una prateria su cui scorrazzare a piacimento: non solo la Sinistra, sempre pronta a sostenere tutte la battaglie dell’estrema Destra economica; non solo i rimasugli di un Centro alla ricerca di impossibili rivincite; ma anche i “moderati” di una Destra che da tempo remavano contro la linea dei rispettivi partiti: Giorgetti e i suoi nella Lega, e in Forza Italia quel corazziere pentito di Brunetta che é convinto di essere un genio della politica.

Il disegno é chiaro: togliere qualche cosa a destra, e trasferirla al centro, per confluire insieme ai centristi dell’ala sinistra (Renzi, Calenda & Co) in un vagheggiato “Grande Centro”. Dove il “grande” sembra quasi una battuta di spirito, considerato che al centro sono tutti piccoli quanto a voti. E considerato altresí che, in politica, non é mai successo che dall’unione di varie debolezze sia venuta fuori una forza. Lí l’unico che abbia un peso politico specifico é Renzi. E Renzi mira soltanto a sopravvivere lui, e non gliene frega niente dei sogni di gloria di Brunetta e degli equilibrismi scenici di Giorgetti.

Ma a chi tira le fila dell’ectoplasmatico “partito di Draghi” la cosa non importa affatto. Il loro progetto non é quello di creare una grande forza politica. A loro basta un similpartito lillipuziano “né di destra né di sinistra”, purché sia in grado di sottrarre alla Destra anche pochissimi voti, quel tanto che sia sufficiente ad impedirle la vittoria.

La manovra, questa volta, non va giú a Silvio Berlusconi. Non che lui sia pregiudizialmente contrario all’ipotesi di un piccolo grande centro; potrebbe tornargli utile anche per mimetizzare il previsto crollo di Forza Italia, che secondo alcuni si attesterá ben al di sotto dello striminzito 8% che ancora le attribuiscono i sondaggi ufficiali.

Non che il Cavaliere sia contrario, dicevo. Ma adesso una prospettiva del genere farebbe naufragare definitivamente il suo sogno (proibito?) di diventare Presidente della Repubblica. Per inseguire questo sogno ha bisogno, ha assolutamente bisogno che non venga meno un solo voto dell’attuale schieramento parlamentare di centro-destra; in modo da poter dedicarsi tranquillamente a ricercare i voti mancanti nella magmatica palude dei “responsabili” di turno. Dai palazzi giungono i rumors piú strani. Secondo alcuni, addirittura, i voti mancanti per il Cavaliere potrebbero arrivare anche dall’area renziana; area – si ricordi – che va ben al di lá di Italia Viva, comprendendo anche molti parlamentari del PD, molti piú di quelli che obbedirebbero a Enrico Letta. Stando a queste voci (si tratta soltanto di voci...) per il Segretario dem potrebbe anche arrivare un Enrico-stai-sereno numero 2.

Naturalmente, siamo nel campo della fantapolitica. Tutto sta a vedere se Sir Drake raccoglierá l’offerta di Berlusconi: non candidarsi al Quirinale, dietro promessa di restare a Palazzo Chigi fino al 2023.

Intanto, Draghi é uscito allo scoperto, sposando ufficialmente le posizioni della (pseudo) Sinistra: l’immigrazione non puó essere ostacolata perché é inevitabile, e i pensionati devono scordarsi quota 100.

A questo punto, non posso fare a meno di chiedermi: per quale dannato motivo la Destra – cioé il risorto asse Meloni-Salvini – dovrebbe favorire i progetti quirinalizi del Cavaliere? Per fare un favore a Giorgetti e Brunetta? O per sorbirsi altri due anni di sbarchi selvaggi e di inchini a Bruxelles?

Possibile che Giorgia e Matteo non comprendano che, anche se il Cavaliere dovesse farcela, sarebbe da pazzi concedere ai poteri forti altri due anni di tempo per erodere le posizioni della Destra, per infiltrare agenti provocatori, per sfruttare le frustrazioni di qualche caporale che aspira a diventare generale?

 Michele Rallo



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