Il promotore Michele Serra critico dopo il piano Eurobomb. Il no di Arci e Anpi, pure nella Cgil molti dubbi sulla partecipazione. La manifestazione del 15 marzo 2025 promossa da Michele Serra su Repubblica, potrebbe essere disertata anche da chi l’ha ideata.
Il giornalista-scrittore, infatti, il 6 marzo u.s. è dovuto intervenire di nuovo sul suo giornale per spiegare meglio il senso, almeno quello che lui intende dare, a quella giornata. Che, da quando è stata lanciata, si è trovata di fronte non solo i continui rilanci di Donald Trump, ma anche la risposta militare europea racchiusa nel ReArm Europe di Ursula von der Leyen.
Quegli 800 miliardi promessi dalla presidente della Commissione sono “una overdose di anabolizzanti” scrive Serra sottolineando quanto in realtà rappresentino l’immagine di “una quasi imbarazzante insicurezza”. E questo perché l’ambizione politica originaria dell’Europa è stata quella di “costruire una potenza pacifica, forte e pacifica, libera e pacifica, democratica e pacifica”, insomma pacifica, mica militare.
Se si prende la parola in nome della difesa europea, allora, occorre farlo per difendere valori essenziali come “pace e tolleranza”, il “multilinguismo, la libertà religiosa, l’inclusione, la separazione dei poteri” e “non da ultimo, lo stato sociale”.
La precisazione di Serra si è resa necessaria vista la dinamica che si è costruita attorno alla data del 15 marzo che è diventata una sorta di collage politico-sentimentale in cui far confluire emozioni e stati d’animo differenti. Del resto è stato proprio il primo appello a dire che di fronte all’arroganza di Trump rischiamo di trovarci “soli e impotenti”.
E così le adesioni al 15 marzo raccolgono un caleidoscopio di intenti e motivazioni politiche. Aderiscono infatti gruppi come Agesci, gli scout cattolici, poi Legambiente, le organizzazioni economiche come Legacoop e Cofimi, e ieri hanno aderito diverse associazioni Lgbtq+, ma anche tantissimi sindaci. Eppure, non si coglie il senso unitario di tutto questo. Si prenda ad esempio l’approccio di Giuliano Amato, intervistato ieri su due pagine ancora da Repubblica, secondo il quale “ci siamo meritati Trump” perché i democratici progressisti non hanno dato il giusto peso “ai valori tradizionali che tengono unite le nostre società” prendendosela soprattutto con la cultura delle identità, insomma con il wokismo.
E propugnando un’Europa della difesa comune se necessario anche solo con un nucleo più ristretto”.
Messaggio analogo a quello che sempre su Repubblica aveva inviato l’altroieri lo scrittore Antonio Scurati, in cerca di moltitudini “di giovani uomini (e di donne, se volete)” pronte a morire e a dare la morte per difendere l’Europa.
I “nuovi guerrieri” insomma, gli stessi che piacciono a tanta élite europea già pronta a incamminarsi, con Macron in testa, verso un futuro di ferro e acciaio. Lo dice chiaramente Paolo Mieli, aderendo al 15 marzo: “Non facciamo giochetti, manifestiamo per l’Europa di Von der Leyen, l’Europa armata che deve prendere il posto dell’America”.
È la tesi dei nemici interni di Elly Schlein, Paolo Gentiloni in testa, che si sono buttati di corsa sulla data per trainare una linea politica militar-europeista su cui pensano di indebolire la segretaria del Pd che ha preso una posizione più cauta e indubbiamente più in sintonia con il secondo Serra. Tanto che su questa linea paga il prezzo di un certo isolamento tra i socialisti europei, praticamente tutti schierati a fianco di Ursula von der Leyen (il vertice tenutosi ieri si è concluso con una dichiarazione generica che nasconde le reali intenzioni di ogni partito nazionale).
Lo capisce molto bene una storica associazione della sinistra come l’Arci che legando il giudizio drastico contro gli 800 miliardi promessi dalla Commissione Ue alla “piazza per l’Europa” dice chiaramente che “quella piazza non riesce a essere la nostra piazza fino in fondo e lo diciamo con grande serenità e rispetto”.
L’Anpi manifesta la sua critica anche se annuncia che alcune delegazioni locali parteciperanno mentre è la Cgil a soffrire di più un dibattito interno che va avanti sotterraneamente da giorni.
Si prenderà una decisione dopo l’incontro con i segretari generali di categoria e regionali. La piccola opposizione interna, con Eliana Como, manifesta il suo “totale disaccordo” e lo stesso sembra stiano facendo riservatamente altri pezzi rilevanti dell’organizzazione sindacale, addirittura intere categorie.
L’organizzazione di Maurizio Landini in ogni caso non aderirà, al massimo “parteciperà” come recitava un testo a inizio settimana preparato per una posizione comune con le associazioni della Via maestra, la rete costruita dalla Cgil. Alla fine, ognuna però è andata per conto proprio.
La manifestazione più che unire sembra dividere, chissà che alla fine anche Michele Serra non sia tentato di disertarla.
Salvatore Cannavò
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