La Direzione investigativa antimafia nel suo rapporto semestrale lancia un allarme: «il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina è oggi uno dei principali e più remunerativi business criminali». I reati «satelliti» citati come più rappresentativi di questa tendenza sono la tratta di persone da avviare alla prostituzione e al lavoro nero (e quindi il caporalato), la contraffazione, i reati contro il patrimonio e i furti di rame.
Per la Dia su questo tema lo scenario criminale nazionale che si va configurando è «segnato da una interazione tra i sodalizi italiani e quelli di matrice straniera, assumendo connotazioni particolari a seconda dell’area geografica in cui tali sinergie vengono a realizzarsi». E spiega: «Nelle regioni del sud Italia i gruppi stranieri agiscono, tendenzialmente, con l’assenso delle organizzazioni mafiose autoctone mentre, nelle restanti regioni, tendono a ritagliarsi spazi di autonomia operativa, che sfociano anche in forme di collaborazione su piani quasi paritetici».
Ma mette in guardia lo studio della Dia, «accanto al narcotraffico ed alla contraffazione su scala mondiale, gestiti da ramificate holding malavitose transnazionali, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, con tutta la sua scia di reati ‘satellite‘, per le proporzioni raggiunte, e grazie ad uno scacchiere geo-politico in continua evoluzione, è oggi uno dei principali e più remunerativi business criminali, che troppe volte si coniuga tragicamente con la morte in mare di migranti, anche di tenera età».
Sarebbero coinvolti «maghrebini, soprattutto libici e marocchin i, nel trasporto di migranti dalle coste nordafricane verso le coste siciliane». Sulla definizione dei trafficanti di uomini, pesano però, diversi dubbi. Innanzitutto le testimonianze di chi si occupa di sbarchi sottolineano spesso che gli scafisti, che arrivano in Italia, sono spesso giovani costretti a quel lavoro perché non hanno sufficientemente denaro per pagarsi il viaggio e quindi sarebbero essi stessi vittime di tratta.
In secondo luogo, come denuncia Amnesty International, «i funzionari della guardia costiera libica operano notoriamente in collusione con le reti dei trafficanti e ricorrono a violenze e minacce contro rifugiati e migranti che si trovano su imbarcazioni alla deriva». In questo senso è importante ricordare ciò che si sottolinea in Non lasciamoli soli (Chiarelettere, 2018) un saggio dei giornalisti Francesco Viviano e Alessandra Ziniti che raccoglie le storie dei migranti sbarcati in Italia.
«Ormai da mesi, si sa, in quella sponda dell’Africa distinguere tra guardie e ladri non è cosa facile. Spesso hanno tutti la divisa, una divisa qualsiasi, che siano poliziotti veri, trafficanti o guardie costiere. Anche perché spesso quelli che erano trafficanti sono diventati guardie costiere e quelli che sono poliziotti sono complici dei trafficanti».
adrianocolafrancesco@gmail.com
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