È un cerchio che si chiude e ne va sottolineata, se non altro, la coerenza. Allora, abbiamo avuto corposi tagli a pensioni e stipendi pubblici, paurose riduzioni di spesa pubblica e relativi servizi ai cittadini.
Poi c’è stato l’accordo sulla rappresentanza – incentivato e benedetto dall’allora governo Letta – tra Cgil, Cisl, Uil, Confindustria & C. di inizio 2014 che ha di fatto estromesso dalla presenza formale sui luoghi di lavoro i sindacati conflittuali (persino la tutto sommato innocua Fiom da posti come Mirafiori). Subito dopo arriva il Jobs Act e l’abolizione dell’ art 18 col via libera ai licenziamenti senza giusta causa, al demansionamento dei dipendenti e al loro controllo a distanza (più altre cose), il tutto mantenendo in vita le altre forme di lavoro precario. I voucher, invece, erano stati creati qualche anno prima e via via resi sempre più diffusi e convenienti: ora siamo arrivati all’abolizione non dei buoni lavoro, ma del referendum per cancellarli.
Giustamente – sentito il presidente della Commissione di garanzia sugli scioperi dire che, signora mia, dove andremo a finire, la gente non ha più voglia di lavorare – il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha messo a verbale che pure il diritto di sciopero (art. 40 Cost.) va “riformato”: “Salvaguardare il diritto del lavoratore allo sciopero senza che questo comporti danni gravi per i cittadini”. Uno sciopero, insomma, che non fa male a nessuno, se non al lavoratore. Ecco, fin qui i governi di sinistra. E se per caso le elezioni le vince la destra, che succede? Si torna alla schiavitù? (Cavaliere, no, si scherzava…)
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