“Fate cinque figli, il futuro dell’Europa è vostro” (Erdogan)
In
attesa dei primi risultati delle presidenziali francesi, rileggo le
cronache dell’ultimo attentato del “multiculturalismo” al
nostro stile di vita, quello che è costato la vita a un poliziotto
sugli Champs Elysées. Secondo l’agenzia di stampa dell’ISIS, lo
avrebbe compiuto tale Abu Yussef al-Belgiki, dove al-Belgiki
sta per “il belga”. Errore – strilla la stampa d’oltralpe,
riecheggiata dalla nostra – perché l’assassino del poliziotto “è
un francese”.
Avete
capito? Ai tempi bui degli Stati Nazionali e delle “società
chiuse” i francesi si chiamavano Armand, Michel, Georges, Joseph,
eccetera. Oggi – nell’epoca gaia della Open
Society,
dei miliardari-filantropi e di Papa Bergoglio – i francesi e i
belgi posso chiamarsi Abu, Yussef, Alì o Babà. Basta che le loro
genitrici li abbiano partoriti qui da noi, e il gioco è fatto:
avranno acquisito per sempre il diritto alla cittadinanza (e
all’assistenza sanitaria e alla previdenza e all’istruzione e
all’edilizia popolare e a tutto il resto) di Francia, Belgio,
Italia o Germania. È il meccanismo infame dello ius
soli,
cioè della cittadinanza acquisita per il semplice fatto di essere
nati in un determinato paese. Storicamente, è il metodo adottato dai
paesi nati dalla trasformazione post-coloniale in nazioni di nuovo
conio, che avevano interesse ad accogliere gli stranieri perché
ingrossassero le fila della popolazione bianca per sopravanzare e
dominare (se non proprio annientare) quella indigena: fu così che
tanti figli di italiani, francesi, irlandesi, polacchi, eccetera
divennero cittadini degli Stati Uniti, dell’Australia o del Canada.
In
Europa, invece, dove le nostre popolazioni non avevano interesse –
per dirla con le stesse parole – a farsi sopravanzare e dominare
(se non proprio annientare) da altre genti, continuò a vigere
l’antico diritto della nostra civiltà, quello dello ius
sanguinis;
del diritto – cioè – ad ereditare la cittadinanza dei propri
genitori (o di almeno un genitore). Questo fino a non moltissimi anni
fa, quando cominciò a manifestarsi la manovra invasiva, sia pur
ancòra in dimensioni contenute. Incredibilmente, era proprio da quel
momento, da quando cioè il pericolo iniziava a materializzarsi, che
i partiti di sinistra europei si attivavano per introdurre anche qui
da noi quell’americanata dello ius
soli.
Obbedivano a un input che giungeva dall’estrema destra economica
mondialista, come oggi è evidentissimo: basta vedere chi sono i
finanziatori delle flotte ONG che svolgono il servizio taxi dalla
Libia alla Sicilia. Input – quello della destra più reazionaria –
che naturalmente era ammantato di parole d’ordine “progressiste”:
buonismo, antirazzismo, “uguali diritti” e tutto l’armamentario
delle castronerie veicolate dalla grande stampa posseduta dai poteri
forti.
Non
mancavano neanche gli interessi per così dire locali. Non ancòra il
business
dell’accoglienza (Buzzi docet), ma fin da allora il cinico calcolo
che i voti dei neo-cittadini acquisiti potessero in un domani colmare
le defezioni sempre più numerose che l’elettorato tradizionale
della sinistra cominciava a registrare. Era il caso, in special modo,
del partito laburista inglese, che ha da sempre favorito
l’immigrazione di massa per basse alchimie elettoralistiche. E
questo fino agli ultimi governi laburisti. Lo hanno detto e scritto
qualificati esponenti della sinistra britannica. Per esempio, Andrew
Neather, ex consigliere del premier Tony Blair, o lord Peter
Mandelson, ex ministro del governo Brown: «Nel
2004, come governo laburista, noi non solo abbiamo accolto a braccia
aperte chi veniva qui per lavorare, ma abbiamo mandato procacciatori
affinché incoraggiassero gente a immigrare ed a prendersi il lavoro
qui.»
Perché
ricordo queste cose? Perché sono cose che dovrebbero essere tenute
ben presente ogni qual volta un terrorista “in sonno”, o magari
“radicalizzato” nelle nostre carceri, si sveglia e compie stragi
a Parigi o a Bruxelles, a Londra o a Berlino o a Stoccolma. Non sono
“immigrati” – squittiscono i buonisti di casa nostra – ma
“francesi” o “belgi”; ovvero – come preferiscono chiamarli
nel Califfato – al-Faransi
o al-Belgiki.
Basta
questo a far comprendere l’immensa, incommensurabile idiozia dello
ius
soli.
Non è “accoglienza”, non è “salvare vite umane”, ma è
trasformare milioni di stranieri in cittadini europei, con tutti i
pericoli che ne derivano: da quelli di carattere sociale ed
economico, a quelli di natura criminale. In fondo il responsabile
vero dell’uccisione del poliziotto parigino non è lo sfigato che
pensava di guadagnarsi il paradiso di Allà facendo una strage; ma
chi, in una comoda aula parlamentare, ha legiferato per consentire a
lui e a tanti altri come lui di diventare cittadini francesi.
Il
problema non è l’accoglienza, il problema è la permanenza, è la
perfida manovra di ingegneria etnica e sociale che sta a monte di una
strategia immigrazionista, concepita e messa in opera da chi vuole
distruggere l’identità dei popoli europei.
Michele Rallo - ralmiche@gmail.com
Commento di Luigi:
RispondiElimina“...se gli italiani istruiti si vedono negare i posti di lavoro qui in Italia significa che la loro istruzione non è servita a niente. Se rifiutano i posti che potevano accettare i disperati degli anni 50 vuol dire che l'economia vuole riportare la situazione come allora. E lo sta facendo con efficienza e solerzia. Stiamo perdendo davvero la guerra mondiale. Il nostro genocidio etnico non causa nessuna crisi al sistema economico che ci affligge semmai un buon guadagno. Non serviamo più, possiamo essere eliminati,naturalmente dopo la sbornia continua di buonismo demo-umanitario. Nostri soli alleati gli immigrati che delinquono. Grazie a loro la possibilità di cortocircuiti sociali è probabile...”