La “Repubblica di Pulcinella”...
Tutti vogliono i “soldi”, ma.... Nessuno li reclama dallo “stampatore”
A qualcuno può sembrare che io sia “irriverente” nei riguardi della classe dirigente (politici, industriali, economisti, giornalisti, sindacalisti) che ci sgoverna. Le cose non stanno così. E vi sottopongo le mie osservazioni.
Leggo che, in occasione della “Giornata del risparmio”, Berlusconi invia un messaggio nel quale dice: “Il peggio della crisi sembra sia alle nostre spalle e sia iniziata, sia pure lentamente, la ripresa”. Replica Draghi: Sì, sembra che il peggio sia passato, ma “l’urgenza è riprendere il cammino delle riforme”. In altre occasioni Draghi aveva chiarito che “bisognerebbe tagliare sulle pensioni”. Segue Tremonti che fa le solite dichiarazioni.
Fin qui normale amministrazione e ciascuno “sputa parole” secondo la convenienza del momento. Ma poi mi tocca leggere che il “partito della spesa” continua a duellare con il “partito del bilancio”: al Senato si scontrano la “Finanziaria di Tremonti” (che prevede un “saldo a zero Euro”) e la proposta di alcuni parlamentari del PdL e della Lega (che propongono una “manovra da 40 miliardi di Euro”).
Si aggiunga che Fini blocca per dieci giorni il lavoro della Camera perché il Ministro del Tesoro, non dando copertura alle leggi di “iniziativa parlamentare”, ne blocca la discussione. Cervello fino Gianfranco Fini: dà la colpa dello “stallo” a Tremonti; ma non dice che “chi propone una legge che comporta una spesa, dovrebbe anche indicarne la copertura”. Ma Fini è esentato dal dovere delle coerenza e della logica. A detta di Francesco Verderami e di Massimo Franco, Fini armeggia contro Tremonti. Ma a me pare che Fini armeggia anche contro Berlusconi, leggendo che, in Sicilia, ha benedetto la rivolta di Micciché.
Insomma: la lotta di “tutti contro tutti”. Con elementi della maggioranza che “dettano la linea” ed altri elementi della maggioranza che vi si oppongono. In queste contingenze è difficile distinguere i “paladini” da Gano di Magonza. Anzi sembrano tutti dei “Gano da Magonza” in lotta tra di loro. Anche perché..... Anche perché tutti stanno a reclamare soldi. Ma, stranamente, si rivolgono al Governo che soldi non ne ha. Nessuno che li chieda alla Banca d’Italia e alle Banche. Che i soldi li hanno perché li stampano....
E non venite a dirmi che “sembrano dei leoni in gabbia”. Perché tutti (Berlusconi, Fini, Tremonti, e l’opposizione senza nome) si guardano bene dal contestare gli USA, Israele e le Banche. Consapevoli tutti di essere dei “polli nel pollaio”. Speriamo che venga la volpe e li divori.
Antonino Amato
sabato 31 ottobre 2009
venerdì 30 ottobre 2009
Afta umana, come prevenirla con le erbe e piccoli accorgimenti alimentari...
Le piaghe in bocca (afte) siano dovute ad una forma influenzale, ad un abbassamento delle difese immunitarie!
Mi sono documentata sulle afte e ora... posso "consigliare" una sorta di PREVENZIONE a base di vitamina C senza esagerare! Ad sempio l'estratto secco di rosa canina andrebbe assunto, tra settembre e ottobre, per almeno 20 giorni, poi si può passare ll'echinacea in tintura madre e mantenere costante durante tutto il eriodo invernale succhi di acerola, di mirtillo, di sorbo, di rugnolo, di olivello spinoso..insomma, è necessario fornire ll'organismo frutta e verdura "colorata", in questo delicato momento n cui le giornate diventano meno "luminose", la giusta alimentazione dovrebbe prevedere un incremento di cibi che abbiano uno "spettro luminoso" particolarmente vivo! Altro accorgimento: fare spesso gargarismi con estratto di calendula e di tea three oil, un ottimo rimedio per le infezioni del cavo orale!
Hari Atma
Mi sono documentata sulle afte e ora... posso "consigliare" una sorta di PREVENZIONE a base di vitamina C senza esagerare! Ad sempio l'estratto secco di rosa canina andrebbe assunto, tra settembre e ottobre, per almeno 20 giorni, poi si può passare ll'echinacea in tintura madre e mantenere costante durante tutto il eriodo invernale succhi di acerola, di mirtillo, di sorbo, di rugnolo, di olivello spinoso..insomma, è necessario fornire ll'organismo frutta e verdura "colorata", in questo delicato momento n cui le giornate diventano meno "luminose", la giusta alimentazione dovrebbe prevedere un incremento di cibi che abbiano uno "spettro luminoso" particolarmente vivo! Altro accorgimento: fare spesso gargarismi con estratto di calendula e di tea three oil, un ottimo rimedio per le infezioni del cavo orale!
Hari Atma
giovedì 29 ottobre 2009
Storia della città di Gabii... e di Giunone Gabina
L'emozione che ti ha sorriso in modo tanto vitale, mi ha
incuriosita....
http://www.circolovegetarianocalcata.it/2009/10/25/ottobrata-a-gabii-xiv-edizione-con-edoardo-torricella-ed-il-suo-gruppo-teatrale-narrazione-di-un-evento-spirituale-vissuto%e2%80%a6-con-emozione-e-gioia/
non conoscevo la storia di Gabii, anzi, diciamo che le
tue considerazioni tanto piacevoli, mi hanno lasciata piuttosto
"perplessa". Così, per soddisfare la mia innata curiosità.. ho
spulciato qualche pagina di internet e le informazioni "pescate",
rendono ora le tue emozioni più comprensibili...pur nella loro
meravigliosa ed esclusiva soggettività! Mi permetti vero di "girarti"
queste informazioni?
Sono felice quando riesci ad esprimermi tanto amore e tanta
bellezza.. credimi, il cuore diventa un "gigante di luce".
Serena notte Paolo e grazie ancora per ogni tuo pensiero...
Antonella
GABII
L'antica città latina di Gabii è localizzata sul ciglio meridionale
del cratere di Castiglione, a 20 chilometri circa da Roma, lungo il
tracciato della Via Prenestina, (in origine denominata Via Gabina). La
città si sviluppò probabilmente secondo un processo evolutivo analogo
a quello di numerosi altri centri laziali, ovvero dall'organizzazione
secondo uno schema "urbano" di più nuclei abitati, dislocati nel
settore sud-orientale del Cratere di Castiglione.
In età arcaica Gabii raggiunse il massimo splendore, a sostanziale
conferma di queste fonti si sono recentemente effettuati importanti
rinvenimenti archeologici: i resti della cinta muraria in opera
quadrata di blocchi di tufo dell'Aniene, un Santuario extra urbano
nella valle del Fosso di San Giuliano, altre aree sacre interne
all'antica città.
In questo periodo Gabii, racchiusa entro una cinta fortificata - il
cui andamento è perfettamente ricostruibile in base alla traccia
rilevabile nelle fotografie aeree ed ai rinvenimenti effettuati nel
corso dei lavori agricoli - ed estesa per circa 300 ettari, raggiunse
una potenza ed uno splendore non più eguagliati, come si ricava dalla
circostanza che in questo momento fu sancito con Roma il "foedus
gabinus", uno dei più antichi esempi di trattati di alleanza della
storia romana, scritto su di uno scudo di pelle bovina, conservato nel
tempio di Semo Sanco sul Quirinale.
I rapporti fra Gabii e Roma vissero fasi alterne, sicuramente lo
sviluppo e l'accresciuta importanza di quest'ultima determinarono
momenti di crisi e di guerra aperta. Nel VI sec. a.C. comunque è da
considerare Gabii soggetta all'egemonia di Roma. Con il periodo
medio-repubblicano inizia una crisi inarrestabile del centro di Gabii,
fenomeno che successivamente avrà un andamento ancor più accentuato.
Nel corso del III sec. a.C. l'agro gabino, forse la città stessa,
furono devastate dal passaggio di Annibale, proveniente da Tuscolo e
diretto verso Roma.
Sempre in questo secolo è forse da collocare l'inizio dello
sfruttamento sistematico delle cave di "lapis gabinus", una sorta di
peperino utilizzata in larga scala in numerosi edifici pubblici e
privati.
Dal punto di vista urbanistico, nel corso dell'età repubblicana, due
sembrano i fatti di maggior rilevanza: la nuova sistemazione che venne
data, ancora nel III sec. a.C., all'intero tracciato della Via
Prenestina e la completa ristrutturazione del Santuario di Giunone
Gabina, ricostruito intorno alla metà del II sec. a.C. in forme
monumentali e secondo schemi propri dell'architettura di apparato più
complessa e sontuosa dell'epoca. Le fonti classiche presentano la città di Gabii, nei primi anni dell'età imperiale, alla stregua di un villaggio pressoché abbandonato, una sorta di semplice stazione lungo il tracciato della Via Prenestina.
Degne di interesse a tal proposito sembrano essere le fonti che si
riferiscono alla presenza in Gabii di importanti acque salutari, cui
fece ricorso lo stesso Augusto ed in relazione alle quali si deve
presupporre l'esistenza di complessi termali abbastanza frequentati.
Ad età Adrianea è possibile far risalire una serie di importanti
interventi a carattere urbanistico nell'area della città: la
sistemazione di una grande piazza porticata, su cui si aprivano una
serie di edifici pubblici, prospiciente la Via Prenestina, riportata
in luce nel 1792, nel corso degli scavi condotti dal Visconti per
conto del Principe Borghese e di Sir Gavin Hamilton. Sempre ad Adriano
è da attribuire la costruzione di un acquedotto destinato ad
alimentare la città.
La prosecuzione della vita nell'antico centro è testimoniata
dall'esistenza della Diocesi Gabina, la quale presupponeva un nucleo
abitato necessariamente di una certa entità. Alla Diocesi è forse da
ricollegare la Chiesa di San Primo (detto anche Primitivo), edificata
su resti di costruzioni romane, e dedicata al martire che la tradizione
agiografica vuole ucciso presso il Ponte di Nona e gettato nel "lacus
Buranus", ovvero il lago di Castiglione (detto anche di Gabii).
Le favorevoli condizioni antropiche del luogo,
determinarono lo sviluppo, anche in età medioevale, di un centro
abitato, un "castrum" che, secondo schemi consueti si arroccò
sull'altura più eminente del Cratere di Castiglione, dotandosi di una
cinta fortificata e di una torre di avvistamento e di segnalazione,
ancor oggi visibile.
incuriosita....
http://www.circolovegetarianocalcata.it/2009/10/25/ottobrata-a-gabii-xiv-edizione-con-edoardo-torricella-ed-il-suo-gruppo-teatrale-narrazione-di-un-evento-spirituale-vissuto%e2%80%a6-con-emozione-e-gioia/
non conoscevo la storia di Gabii, anzi, diciamo che le
tue considerazioni tanto piacevoli, mi hanno lasciata piuttosto
"perplessa". Così, per soddisfare la mia innata curiosità.. ho
spulciato qualche pagina di internet e le informazioni "pescate",
rendono ora le tue emozioni più comprensibili...pur nella loro
meravigliosa ed esclusiva soggettività! Mi permetti vero di "girarti"
queste informazioni?
Sono felice quando riesci ad esprimermi tanto amore e tanta
bellezza.. credimi, il cuore diventa un "gigante di luce".
Serena notte Paolo e grazie ancora per ogni tuo pensiero...
Antonella
GABII
L'antica città latina di Gabii è localizzata sul ciglio meridionale
del cratere di Castiglione, a 20 chilometri circa da Roma, lungo il
tracciato della Via Prenestina, (in origine denominata Via Gabina). La
città si sviluppò probabilmente secondo un processo evolutivo analogo
a quello di numerosi altri centri laziali, ovvero dall'organizzazione
secondo uno schema "urbano" di più nuclei abitati, dislocati nel
settore sud-orientale del Cratere di Castiglione.
In età arcaica Gabii raggiunse il massimo splendore, a sostanziale
conferma di queste fonti si sono recentemente effettuati importanti
rinvenimenti archeologici: i resti della cinta muraria in opera
quadrata di blocchi di tufo dell'Aniene, un Santuario extra urbano
nella valle del Fosso di San Giuliano, altre aree sacre interne
all'antica città.
In questo periodo Gabii, racchiusa entro una cinta fortificata - il
cui andamento è perfettamente ricostruibile in base alla traccia
rilevabile nelle fotografie aeree ed ai rinvenimenti effettuati nel
corso dei lavori agricoli - ed estesa per circa 300 ettari, raggiunse
una potenza ed uno splendore non più eguagliati, come si ricava dalla
circostanza che in questo momento fu sancito con Roma il "foedus
gabinus", uno dei più antichi esempi di trattati di alleanza della
storia romana, scritto su di uno scudo di pelle bovina, conservato nel
tempio di Semo Sanco sul Quirinale.
I rapporti fra Gabii e Roma vissero fasi alterne, sicuramente lo
sviluppo e l'accresciuta importanza di quest'ultima determinarono
momenti di crisi e di guerra aperta. Nel VI sec. a.C. comunque è da
considerare Gabii soggetta all'egemonia di Roma. Con il periodo
medio-repubblicano inizia una crisi inarrestabile del centro di Gabii,
fenomeno che successivamente avrà un andamento ancor più accentuato.
Nel corso del III sec. a.C. l'agro gabino, forse la città stessa,
furono devastate dal passaggio di Annibale, proveniente da Tuscolo e
diretto verso Roma.
Sempre in questo secolo è forse da collocare l'inizio dello
sfruttamento sistematico delle cave di "lapis gabinus", una sorta di
peperino utilizzata in larga scala in numerosi edifici pubblici e
privati.
Dal punto di vista urbanistico, nel corso dell'età repubblicana, due
sembrano i fatti di maggior rilevanza: la nuova sistemazione che venne
data, ancora nel III sec. a.C., all'intero tracciato della Via
Prenestina e la completa ristrutturazione del Santuario di Giunone
Gabina, ricostruito intorno alla metà del II sec. a.C. in forme
monumentali e secondo schemi propri dell'architettura di apparato più
complessa e sontuosa dell'epoca. Le fonti classiche presentano la città di Gabii, nei primi anni dell'età imperiale, alla stregua di un villaggio pressoché abbandonato, una sorta di semplice stazione lungo il tracciato della Via Prenestina.
Degne di interesse a tal proposito sembrano essere le fonti che si
riferiscono alla presenza in Gabii di importanti acque salutari, cui
fece ricorso lo stesso Augusto ed in relazione alle quali si deve
presupporre l'esistenza di complessi termali abbastanza frequentati.
Ad età Adrianea è possibile far risalire una serie di importanti
interventi a carattere urbanistico nell'area della città: la
sistemazione di una grande piazza porticata, su cui si aprivano una
serie di edifici pubblici, prospiciente la Via Prenestina, riportata
in luce nel 1792, nel corso degli scavi condotti dal Visconti per
conto del Principe Borghese e di Sir Gavin Hamilton. Sempre ad Adriano
è da attribuire la costruzione di un acquedotto destinato ad
alimentare la città.
La prosecuzione della vita nell'antico centro è testimoniata
dall'esistenza della Diocesi Gabina, la quale presupponeva un nucleo
abitato necessariamente di una certa entità. Alla Diocesi è forse da
ricollegare la Chiesa di San Primo (detto anche Primitivo), edificata
su resti di costruzioni romane, e dedicata al martire che la tradizione
agiografica vuole ucciso presso il Ponte di Nona e gettato nel "lacus
Buranus", ovvero il lago di Castiglione (detto anche di Gabii).
Le favorevoli condizioni antropiche del luogo,
determinarono lo sviluppo, anche in età medioevale, di un centro
abitato, un "castrum" che, secondo schemi consueti si arroccò
sull'altura più eminente del Cratere di Castiglione, dotandosi di una
cinta fortificata e di una torre di avvistamento e di segnalazione,
ancor oggi visibile.
mercoledì 28 ottobre 2009
"Gianfranco Fini abbocca o non abbocca?" Ovvero: Per chi voteremmo se il PDL facesse le primarie? Dialogo aperto con Michele Bonatesta
Premessa dopo aver letto un articolo di Michele Bonatesta sulla mancata venuta di Gianfranco Fini a Viterbo (ieri l'altro) http://www.latuavoce.it/notizie/notizia.asp?id=19720
ho così commentato:
Beh, caro Direttore, un Gianfranco Fini che finisce con il cerino in mano... proprio non riesco ad immaginarmelo... e ben fece "la fonte sorgiva" ad informarlo della trappola tesa dai Giovanardi Boys (leggasi Piaggiatori alla corte del Papi). Le debbo confessare che domenica scorsa mentre commentavo con alcune amiche democratiche i risultati del PD abbiamo immaginato cosa e chi avremmo votato se anche il PDL avesse indetto le primarie (visto che ormai pare sicuro che anche diversi Pdilellini hanno votato per Bersani alle primarie del PD). Io dicevo "no, il PDL le primarie non le farà mai, finché c'è il Berlusca che occupa la piazza, ma se per caso le facessero (un miracolo può sempre accadere) allora andrei anch'io a votare... in primis scegierei Gianfranco Fini... (e qui tutte le signore erano d'accordo) poi seguirebbe Casini che sia pur papalino almeno sa essere alquanto equanime (e qui le signore scherzavano sul suo nomignolo di Principe "Azzurro" Caltagirone), poi voterei per il Bossi che almeno parla come magna (e magna male di sicuro, dissero le signore) infine -ma solo con il coltello alla gola- voterei per il Berlusca.. ma solo perché sono un Campanelliano e non un Bruniano, cioè vuol dire che lo farei solo per salvare la vita, come facevano gli abitanti di Gerusalemme coi crociati che li mettevano sospesi sul palo appuntito (mica piacevano a quel tempo le chiappe rotte) si convertivano subito al cristianesimo.. ed appena tornava il Saladino che li sottoponeva alla stessa prova "religiosa" immediatamente ritornavano ad essere musulmani.
Le signore a questo punto mi hanno chiesto "ma se ti desse un milione di denari tu voteresti per il Berlusca?" Ed io convinto "per soldi no... solo per salvare la vita..."
Ma lei pensa, caro Direttore, che i politici in Italia farebbero lo stesso? Per salvare la vita lo farebbero quasi tutti di sicuro, di cambiare casacca, ma per denaro? Mi sa che la fila non si fermerebbe mai...
Non so perché le ho raccontato tutto ciò, forse perché è un bel po' che non commento i suoi articoli e stavolta mi sono sfogato!
Cordiali saluti!
Paolo D'Arpini
ho così commentato:
Beh, caro Direttore, un Gianfranco Fini che finisce con il cerino in mano... proprio non riesco ad immaginarmelo... e ben fece "la fonte sorgiva" ad informarlo della trappola tesa dai Giovanardi Boys (leggasi Piaggiatori alla corte del Papi). Le debbo confessare che domenica scorsa mentre commentavo con alcune amiche democratiche i risultati del PD abbiamo immaginato cosa e chi avremmo votato se anche il PDL avesse indetto le primarie (visto che ormai pare sicuro che anche diversi Pdilellini hanno votato per Bersani alle primarie del PD). Io dicevo "no, il PDL le primarie non le farà mai, finché c'è il Berlusca che occupa la piazza, ma se per caso le facessero (un miracolo può sempre accadere) allora andrei anch'io a votare... in primis scegierei Gianfranco Fini... (e qui tutte le signore erano d'accordo) poi seguirebbe Casini che sia pur papalino almeno sa essere alquanto equanime (e qui le signore scherzavano sul suo nomignolo di Principe "Azzurro" Caltagirone), poi voterei per il Bossi che almeno parla come magna (e magna male di sicuro, dissero le signore) infine -ma solo con il coltello alla gola- voterei per il Berlusca.. ma solo perché sono un Campanelliano e non un Bruniano, cioè vuol dire che lo farei solo per salvare la vita, come facevano gli abitanti di Gerusalemme coi crociati che li mettevano sospesi sul palo appuntito (mica piacevano a quel tempo le chiappe rotte) si convertivano subito al cristianesimo.. ed appena tornava il Saladino che li sottoponeva alla stessa prova "religiosa" immediatamente ritornavano ad essere musulmani.
Le signore a questo punto mi hanno chiesto "ma se ti desse un milione di denari tu voteresti per il Berlusca?" Ed io convinto "per soldi no... solo per salvare la vita..."
Ma lei pensa, caro Direttore, che i politici in Italia farebbero lo stesso? Per salvare la vita lo farebbero quasi tutti di sicuro, di cambiare casacca, ma per denaro? Mi sa che la fila non si fermerebbe mai...
Non so perché le ho raccontato tutto ciò, forse perché è un bel po' che non commento i suoi articoli e stavolta mi sono sfogato!
Cordiali saluti!
Paolo D'Arpini
Etichette:
Gianfranco Fini,
Italia,
Michele Bonatesta,
primarie del PDL,
Saladino
martedì 27 ottobre 2009
Alcune dichiarazioni di uomini di scienza e di cultura sui danni derivanti dall'uso di carne nell'alimentazione umana
Chi dice carne dice danno:
Dice il dr. Milner Forthergill: “Tutte le vittime cagionate dalle imprese belliche di Napoleone sono un nulla in paragone delle miriadi di persone che sono scese nella tomba per la loro cieca fiducia nel supposto valore alimentare di una fetta di carne di vacca”.
Il dr. Josiah Oldfield, professore di chirurgia al Collegio dei Chirurgi: “La carne è un cibo innaturale per l’uomo e perciò tende a produrre disturbi nell’organismo. Quella carne che si intende mangiare nella società moderna è altamente affetta da malattie terribili (facilmente trasmissibili all’uomo) come il cancro, la tisi, la febbre, i vermi intestinali ecc. Nn c’è dunque da meravigliarsi se il mangiar carne è una delle più gravi cause delle malattie che conducono alla tomba il 99% dei nati”.
Sir Eduard Saunders: “Ogni sforzo che tenda a dimostrare all’uomo che un pezzo di vacca o di cervello non è necessario alla salute o alla forza fisica, sarà altamente giovevole e condurrà al risparmio e al benessere dei popoli. Moltiplicandosi questi sforzi si udrà meno parlare di gotta, di malattie del fegato e dei reni; vedremo meno brutalità, meno spose oltraggiate e meno assassinii. Credo che il mondo tenda verso l’alimentazione vegetariana la quale si dimostrerà come la migliore e la più razionale. E non è molto lontana l’idea che il cibo animale sarà considerata cosa ripugnante e detestabile per l’uomo civile”.
Prof. Gamgee: “Una quinta parte della carne consumata deriva da animali uccisi mentre erano affetti da malattie maligne”.
Dr. M. F. Coomes: “Ci sono molte sostanze che possono sostituire degnamente la carne e che non si accompagnano con le deleterie conseguenze che essa comporta, specialmente il reumatismo. La gotta e altre analoghe infermità, senza contare le congestioni cerebrali che spesso si risolvono in apoplessia e malattie venefiche, d’una o d’altra specie, emicranie e molte altre specie di mal di testa, tutto causato dall’eccessivo uso della carne e talvolta anche quando la carne è mangiata senza alcun eccesso”.
Scrive Maria Stecchini docente di patologia animale ed ispezioni delle carni ad Udine: “Non esiste mangime di pollo che non contenga antibiotici e il pollame macellato è inquinato al 70-80% da un batterio come la salmonella”. E Luciano Picchiai, primario patologo ed ecologo alimentare, aggiunge: “I farmaci nei mangimi sono diventati per il bestiame come i diserbanti per le colture: gli agricoltori non possono più farne a meno. Competitività e necessità che gli allevatori conquistano ed esercitano sulla pelle dei consumatori. (Il Giornale d’Italia, 16/3/88).
Dice il dr. Milner Forthergill: “Tutte le vittime cagionate dalle imprese belliche di Napoleone sono un nulla in paragone delle miriadi di persone che sono scese nella tomba per la loro cieca fiducia nel supposto valore alimentare di una fetta di carne di vacca”.
Il dr. Josiah Oldfield, professore di chirurgia al Collegio dei Chirurgi: “La carne è un cibo innaturale per l’uomo e perciò tende a produrre disturbi nell’organismo. Quella carne che si intende mangiare nella società moderna è altamente affetta da malattie terribili (facilmente trasmissibili all’uomo) come il cancro, la tisi, la febbre, i vermi intestinali ecc. Nn c’è dunque da meravigliarsi se il mangiar carne è una delle più gravi cause delle malattie che conducono alla tomba il 99% dei nati”.
Sir Eduard Saunders: “Ogni sforzo che tenda a dimostrare all’uomo che un pezzo di vacca o di cervello non è necessario alla salute o alla forza fisica, sarà altamente giovevole e condurrà al risparmio e al benessere dei popoli. Moltiplicandosi questi sforzi si udrà meno parlare di gotta, di malattie del fegato e dei reni; vedremo meno brutalità, meno spose oltraggiate e meno assassinii. Credo che il mondo tenda verso l’alimentazione vegetariana la quale si dimostrerà come la migliore e la più razionale. E non è molto lontana l’idea che il cibo animale sarà considerata cosa ripugnante e detestabile per l’uomo civile”.
Prof. Gamgee: “Una quinta parte della carne consumata deriva da animali uccisi mentre erano affetti da malattie maligne”.
Dr. M. F. Coomes: “Ci sono molte sostanze che possono sostituire degnamente la carne e che non si accompagnano con le deleterie conseguenze che essa comporta, specialmente il reumatismo. La gotta e altre analoghe infermità, senza contare le congestioni cerebrali che spesso si risolvono in apoplessia e malattie venefiche, d’una o d’altra specie, emicranie e molte altre specie di mal di testa, tutto causato dall’eccessivo uso della carne e talvolta anche quando la carne è mangiata senza alcun eccesso”.
Scrive Maria Stecchini docente di patologia animale ed ispezioni delle carni ad Udine: “Non esiste mangime di pollo che non contenga antibiotici e il pollame macellato è inquinato al 70-80% da un batterio come la salmonella”. E Luciano Picchiai, primario patologo ed ecologo alimentare, aggiunge: “I farmaci nei mangimi sono diventati per il bestiame come i diserbanti per le colture: gli agricoltori non possono più farne a meno. Competitività e necessità che gli allevatori conquistano ed esercitano sulla pelle dei consumatori. (Il Giornale d’Italia, 16/3/88).
lunedì 26 ottobre 2009
"Arrivare al sincretismo religioso partendo dal dialogo interreligioso nelle scuole..." - Proposta del CEM
L’ora del dialogo interreligioso nelle scuole
Solo una scuola che favorisce e promuove il dialogo interreligioso e interculturale può contribuire a rafforzare il fondamento della civiltà e della convivenza sociale. Il dibattito che si è riacceso in questi giorni sull’ora di islam nelle scuole italiane (che vede il consenso di Gianfranco Fini, di Massimo D’Alema e del cardinale Renato Martino) è apprezzabile come segno di valorizzazione dell’islam nel nostro Paese, ma per evitare di essere inserita in un quadro di multiculturalismo separatista riteniamo che debba trovare la sua collocazione all’interno di una scelta più ampia, intercultuale e dialogica che metta in comunicazione le religioni tra di loro. Una soluzione che il CEM Mondialità – il mensile dell’intercultura edito dai padri saveriani di Brescia - chiama da tempo ora delle religioni. Ogni bambino ha il diritto di leggere il Libro sacro degli altri bambini, ha affermato Amos Luzzatto, leader storico delle comunità ebraiche, “poiché fino a quando i cattolici leggeranno solo il vangelo, gli ebrei solo la Torah e i musulmani solo il Corano sarà impossibile realizzare una vera integrazione a scuola e nella società”. Mentre, stando ad Andrea Canevaro, “l’educazione interculturale non può non fare i conti con le religioni” (al plurale).
La presenza crescente delle seconde generazioni nelle scuole italiane mostra con l’evidenza dei numeri che il mosaico delle fedi richiede il passaggio dall’ora di religione cattolica o di analoghe altre ore di religione (ebraica, musulmana, buddhista, induista, ortodossa, valdese, sikh ecc...) a una situazione nuova.
La cultura religiosa non può essere solo quella confessionale, se si vuole evitare l’esito della balcanizzazione. È la lezione permanente dell’incontro interreligioso di Assisi del 27 ottobre 1986, voluto da Giovanni Paolo II, che deve essere introdotto nelle scuole come simbolo di futuro. Dice il cardinale Carlo Maria Martini che il pluralismo religioso è una sfida per tutte le grandi religioni, soprattutto per quelle che si definiscono come vie universali e definitive di salvezza… se non si vuole giungere a nuovi scontri, occorrerà promuovere con forza un serio e corretto dialogo interreligioso”. A questo pluralismo delle religioni è opportuno che non corrisponda nella scuola pubblica – che è luogo per eccellenza di ricerca libera e di confronto critico – un pluralismo delle educazioni religiose parallele. Due condizioni dell’insegnamento interculturale dell’ora delle religioni – come il CEM la intende - sono la concezione della religione non come fede ma come cultura e la conseguente concezione di un metodo comparativo quale ad esempio il Syllabus di Bradford, che da tempo stiamo diffondendo nel nostro Paese.
Laura Tussi
Per info. e adesioni: cemsegreteria@saveriani.bs.it
Solo una scuola che favorisce e promuove il dialogo interreligioso e interculturale può contribuire a rafforzare il fondamento della civiltà e della convivenza sociale. Il dibattito che si è riacceso in questi giorni sull’ora di islam nelle scuole italiane (che vede il consenso di Gianfranco Fini, di Massimo D’Alema e del cardinale Renato Martino) è apprezzabile come segno di valorizzazione dell’islam nel nostro Paese, ma per evitare di essere inserita in un quadro di multiculturalismo separatista riteniamo che debba trovare la sua collocazione all’interno di una scelta più ampia, intercultuale e dialogica che metta in comunicazione le religioni tra di loro. Una soluzione che il CEM Mondialità – il mensile dell’intercultura edito dai padri saveriani di Brescia - chiama da tempo ora delle religioni. Ogni bambino ha il diritto di leggere il Libro sacro degli altri bambini, ha affermato Amos Luzzatto, leader storico delle comunità ebraiche, “poiché fino a quando i cattolici leggeranno solo il vangelo, gli ebrei solo la Torah e i musulmani solo il Corano sarà impossibile realizzare una vera integrazione a scuola e nella società”. Mentre, stando ad Andrea Canevaro, “l’educazione interculturale non può non fare i conti con le religioni” (al plurale).
La presenza crescente delle seconde generazioni nelle scuole italiane mostra con l’evidenza dei numeri che il mosaico delle fedi richiede il passaggio dall’ora di religione cattolica o di analoghe altre ore di religione (ebraica, musulmana, buddhista, induista, ortodossa, valdese, sikh ecc...) a una situazione nuova.
La cultura religiosa non può essere solo quella confessionale, se si vuole evitare l’esito della balcanizzazione. È la lezione permanente dell’incontro interreligioso di Assisi del 27 ottobre 1986, voluto da Giovanni Paolo II, che deve essere introdotto nelle scuole come simbolo di futuro. Dice il cardinale Carlo Maria Martini che il pluralismo religioso è una sfida per tutte le grandi religioni, soprattutto per quelle che si definiscono come vie universali e definitive di salvezza… se non si vuole giungere a nuovi scontri, occorrerà promuovere con forza un serio e corretto dialogo interreligioso”. A questo pluralismo delle religioni è opportuno che non corrisponda nella scuola pubblica – che è luogo per eccellenza di ricerca libera e di confronto critico – un pluralismo delle educazioni religiose parallele. Due condizioni dell’insegnamento interculturale dell’ora delle religioni – come il CEM la intende - sono la concezione della religione non come fede ma come cultura e la conseguente concezione di un metodo comparativo quale ad esempio il Syllabus di Bradford, che da tempo stiamo diffondendo nel nostro Paese.
Laura Tussi
Per info. e adesioni: cemsegreteria@saveriani.bs.it
domenica 25 ottobre 2009
La memoria di Pippa Bacca in atti compiuti che la mantengono viva.... e poesia di Antonella Pedicelli
Paolo, mi farebbe piacere poter condividere questa storia e la poesia, anche perchè il messaggio che Pippa tentava di comunicare con la sua
meravigliosa cretività era e rimane un simbolo di apertura verso il
mondo, attraverso il linguaggio universale dell'Arte. (Antonella)
Sulla strada di Pippa Bacca... ma col vestito del lutto
TEL AVIV - Il sogno di Pippa Bacca non è perduto. Un'altra artista sta
compiendo in questi giorni lo stesso percorso studiato dalla performer
milanese, prima che uno sbandato, lesto a caricarla su una strada dove
la giovane in abito da sposa faceva autostop in Turchia, la uccidesse
brutalmente il 31 marzo dello scorso anno.
E' turca e ha 33 anni, la stessa età di Giuseppina Pasqualino di
Marineo (Pippa Bacca era il nome che la nipote dell'artista Piero
Manzoni si era scelta). Ma invece che in abito bianco si è vestita di
nero, in segno di lutto e in chiaro contrasto con il corredo da sposa
scelto dall'artista milanese per il suo tragico progetto.
Un progetto che, partendo da Milano, aveva portato Giuseppina a Tel
Aviv, e da qui in Turchia dove avrebbe dovuto raggiungere il confine
con la Siria. La performer turca si chiama Bingol Elmas, è nata a
Erzurum, nella zona curda del sud est anatolico, e di professione è
regista. Bingol, che dopo aver lavorato come reporter in alcuni canali
televisivi, si è laureata in Comunicazione all'Università di Marmara,
a Istanbul, e ha vinto per la sua attività di documentarista vari
premi, ha voluto idealmente ricominciare il viaggio laddove era finito
quello della sua collega italiana.
A Gebze, la stessa città dove Murat Karatash, 38 anni, l'uomo (o più
uomini, secondo le rivelazioni emerse dal recente processo nel quale è
stata chiesta la condanna all'ergastolo dell'aggressore) che la
violentò e strangolò, nascose poi il corpo dietro un cespuglio.
In viaggio l'artista turca sta tenendo un diario della sua esperienza
in autostop. Ha girato diversi metri di pellicola, e il progetto
diventerà presto un film di 55 minuti dal titolo "Lettera a Pippa". La
produzione è affidata alla rete culturale franco-tedesca Arte, con la
prima visione in programma a settembre.
Repubblica ha raggiunto la performer turca mentre è in cammino.
Bingol Elmas, come le è venuto in mente di concludere un'avventura
artistica che, se pur affascinante, per la sua collega si è invece
rivelata tragicamente pericolosa?
"Ho rifletttuto molto quando ho saputo quel che era accaduto a Pippa.
Non la conoscevo personalmente, ma mi è sembrato che la sua fine fosse
particolarmente oltraggiosa per una donna, per una persona che sceglie
di fare autostop in un Paese straniero con il vestito da sposa. Quasi
una cosa fatale. E allora ho deciso di raccogliere il suo messaggio:
"la paura domina, e invece noi abbiamo bisogno di pace". L'idea è nata
così".
In Turchia si dice che, per evitare qualsiasi possibile problema lungo
il percorso, lei sia seguita segretamente da una squadra della
sicurezza. E' vero?
"Non è esattamente così. Nessun tipo di polizia. C'è soltanto la
troupe di Arte a seguirmi. Sono cinque persone, in maggioranza donne.
La produzione cercava un progetto cinematografico che si chiamasse
"L'altra Turchia" o "La Turchia alternativa". E la mia idea gli è
piaciuta. Così l'ho sviluppata con queste amiche e colleghe".
Bingol Elmas ha comunque attaccato a sé un sistema satellitare GPS, in
grado di rilevare in qualsiasi momento la sua posizione esatta quando
è separata dal team che l'accompagna.
Perché ha scelto un abito nero mentre fa autostop?
"Perché è il colore del lutto, l'ho fatto per ricordare Pippa. Ma
anche per contrasto al bianco dell'abito da matrimonio: si pensa che
la donna che va in sposa sia pronta a tutto per l'uomo, e io volevo
ribellarmi a questo, volevo sottolineare gli aspetti negativi in
proposito per le donne".
Lei adesso è in viaggio: dove si trova?
"Sono sulla strada del ritorno. Sono partita il 31 marzo, giorno della
morte di Pippa, sono arrivata al confine con la Siria e tra poco sarò
proprio a Gebze, dove fu uccisa. Lì ci sarà una dimostrazione che la
ricorderà".
Quanti chilometri ha fatto?
"In tutto 1400. Da Gebze, lungo l'Anatolia, fino al confine con la
Siria, al posto di frontirera di Cilvegozu".
Ha mai avuto paura?
"All'inizio temevo i guidatori di Tir e camion. Ma non ho mai pensato
che mi sarebbe successa la stessa cosa accaduta a Pippa".
Incontri strani, esperienze insolite?
"No, per fortuna è andato tutto bene. Mostrerò tutto nel film, comunque".
Ma nessuno le ha detto qualcosa di sconveniente?
"Lungo la strada alcuni pensavano che fossi una passeggiatrice, o la
polizia, oppure una spia. Altri, invece, mi credevano semplicemente
pazza".
Marco Ansaldo
............
VOGLIO CREDERE…. (dedicato a Pippa Bacca)
Voglio credere nel vento, anche quando
gli alberi piangono le loro foglie cadute;
voglio essere spuma di mare,
anche quando il sole ne scioglie la trama nuda;
voglio cantare il silenzio della notte,
perché nella luce del suono
ogni raggio di luna costruisce
l’alba anche nel muto deserto;
voglio parlare all’uomo bianco
nei suoi confini chiari
e trovare i colori per offrirgli il Mondo;
voglio essere Tua,
nell’abbraccio della Vita,
anche quando il Tempo
diventa stretto
e la mia corsa è più lenta….
Qui, dove le foglie sono sempre verdi,
si racconta la mia storia
e un nido caldo protegge le mie ali,
fino al giorno della nuova Prima-vera,
Io, creatura libera,
amata dai sogni
e musa del poeta
che trasforma in versi
il mio passo di donna,
sul grembo verde
di questa umana Terra,
nel disegno perfetto,
da sempre mio!
Antonella Pedicelli
meravigliosa cretività era e rimane un simbolo di apertura verso il
mondo, attraverso il linguaggio universale dell'Arte. (Antonella)
Sulla strada di Pippa Bacca... ma col vestito del lutto
TEL AVIV - Il sogno di Pippa Bacca non è perduto. Un'altra artista sta
compiendo in questi giorni lo stesso percorso studiato dalla performer
milanese, prima che uno sbandato, lesto a caricarla su una strada dove
la giovane in abito da sposa faceva autostop in Turchia, la uccidesse
brutalmente il 31 marzo dello scorso anno.
E' turca e ha 33 anni, la stessa età di Giuseppina Pasqualino di
Marineo (Pippa Bacca era il nome che la nipote dell'artista Piero
Manzoni si era scelta). Ma invece che in abito bianco si è vestita di
nero, in segno di lutto e in chiaro contrasto con il corredo da sposa
scelto dall'artista milanese per il suo tragico progetto.
Un progetto che, partendo da Milano, aveva portato Giuseppina a Tel
Aviv, e da qui in Turchia dove avrebbe dovuto raggiungere il confine
con la Siria. La performer turca si chiama Bingol Elmas, è nata a
Erzurum, nella zona curda del sud est anatolico, e di professione è
regista. Bingol, che dopo aver lavorato come reporter in alcuni canali
televisivi, si è laureata in Comunicazione all'Università di Marmara,
a Istanbul, e ha vinto per la sua attività di documentarista vari
premi, ha voluto idealmente ricominciare il viaggio laddove era finito
quello della sua collega italiana.
A Gebze, la stessa città dove Murat Karatash, 38 anni, l'uomo (o più
uomini, secondo le rivelazioni emerse dal recente processo nel quale è
stata chiesta la condanna all'ergastolo dell'aggressore) che la
violentò e strangolò, nascose poi il corpo dietro un cespuglio.
In viaggio l'artista turca sta tenendo un diario della sua esperienza
in autostop. Ha girato diversi metri di pellicola, e il progetto
diventerà presto un film di 55 minuti dal titolo "Lettera a Pippa". La
produzione è affidata alla rete culturale franco-tedesca Arte, con la
prima visione in programma a settembre.
Repubblica ha raggiunto la performer turca mentre è in cammino.
Bingol Elmas, come le è venuto in mente di concludere un'avventura
artistica che, se pur affascinante, per la sua collega si è invece
rivelata tragicamente pericolosa?
"Ho rifletttuto molto quando ho saputo quel che era accaduto a Pippa.
Non la conoscevo personalmente, ma mi è sembrato che la sua fine fosse
particolarmente oltraggiosa per una donna, per una persona che sceglie
di fare autostop in un Paese straniero con il vestito da sposa. Quasi
una cosa fatale. E allora ho deciso di raccogliere il suo messaggio:
"la paura domina, e invece noi abbiamo bisogno di pace". L'idea è nata
così".
In Turchia si dice che, per evitare qualsiasi possibile problema lungo
il percorso, lei sia seguita segretamente da una squadra della
sicurezza. E' vero?
"Non è esattamente così. Nessun tipo di polizia. C'è soltanto la
troupe di Arte a seguirmi. Sono cinque persone, in maggioranza donne.
La produzione cercava un progetto cinematografico che si chiamasse
"L'altra Turchia" o "La Turchia alternativa". E la mia idea gli è
piaciuta. Così l'ho sviluppata con queste amiche e colleghe".
Bingol Elmas ha comunque attaccato a sé un sistema satellitare GPS, in
grado di rilevare in qualsiasi momento la sua posizione esatta quando
è separata dal team che l'accompagna.
Perché ha scelto un abito nero mentre fa autostop?
"Perché è il colore del lutto, l'ho fatto per ricordare Pippa. Ma
anche per contrasto al bianco dell'abito da matrimonio: si pensa che
la donna che va in sposa sia pronta a tutto per l'uomo, e io volevo
ribellarmi a questo, volevo sottolineare gli aspetti negativi in
proposito per le donne".
Lei adesso è in viaggio: dove si trova?
"Sono sulla strada del ritorno. Sono partita il 31 marzo, giorno della
morte di Pippa, sono arrivata al confine con la Siria e tra poco sarò
proprio a Gebze, dove fu uccisa. Lì ci sarà una dimostrazione che la
ricorderà".
Quanti chilometri ha fatto?
"In tutto 1400. Da Gebze, lungo l'Anatolia, fino al confine con la
Siria, al posto di frontirera di Cilvegozu".
Ha mai avuto paura?
"All'inizio temevo i guidatori di Tir e camion. Ma non ho mai pensato
che mi sarebbe successa la stessa cosa accaduta a Pippa".
Incontri strani, esperienze insolite?
"No, per fortuna è andato tutto bene. Mostrerò tutto nel film, comunque".
Ma nessuno le ha detto qualcosa di sconveniente?
"Lungo la strada alcuni pensavano che fossi una passeggiatrice, o la
polizia, oppure una spia. Altri, invece, mi credevano semplicemente
pazza".
Marco Ansaldo
............
VOGLIO CREDERE…. (dedicato a Pippa Bacca)
Voglio credere nel vento, anche quando
gli alberi piangono le loro foglie cadute;
voglio essere spuma di mare,
anche quando il sole ne scioglie la trama nuda;
voglio cantare il silenzio della notte,
perché nella luce del suono
ogni raggio di luna costruisce
l’alba anche nel muto deserto;
voglio parlare all’uomo bianco
nei suoi confini chiari
e trovare i colori per offrirgli il Mondo;
voglio essere Tua,
nell’abbraccio della Vita,
anche quando il Tempo
diventa stretto
e la mia corsa è più lenta….
Qui, dove le foglie sono sempre verdi,
si racconta la mia storia
e un nido caldo protegge le mie ali,
fino al giorno della nuova Prima-vera,
Io, creatura libera,
amata dai sogni
e musa del poeta
che trasforma in versi
il mio passo di donna,
sul grembo verde
di questa umana Terra,
nel disegno perfetto,
da sempre mio!
Antonella Pedicelli
venerdì 23 ottobre 2009
Calcata: 29 ottobre 2009 - Play Danish Day con Mette Kirkegaard, preparatevi ad una presenza “allucinante”…
Il 29 ottobre Saturno farà il suo ingresso nel settimo segno zodiacale, quello della Bilancia. Toccherà dunque al segno della legalità, della razionalità e della giustizia, ospitare il "Signore del Tempo" per quasi due anni e mezzo.
Contemporaneamente, proprio lo stesso giorno, si sparge la musica “vichinga” nel mondo - "Play Danish Day" (www.spildansk.dk)* ed il governo danese invia a Calcata la ben nota cantante folk Mette Kirkegaard (gli amici del Circolo la ricorderanno al Ciclo della Vita dello scorso anno), la quale durante l’intera giornata del 29 ottobre 2009 compirà una performance continuata, a cominciare dal mattino sino a notte inoltrata (e sarà presente anche il 31 ottobre all’inaugurazione del Ciclo della Vita di quest’anno).
Ecco il programma del 29 ottobre (in inglese maccheronico di facile traduzione in italiano):
With some support from danish songwriters Guild, Mette Kirkegaard come to Calcata and perform at specific places in relation to the event "Play Danish Day", in order to spread the word about danish music this day and in the days before and after 29th ocotober 2009.
Program:
29th october 2009 - Entrance of Saturn in Lyra and Danish Music Day in Calcata, feat. singer/songwriter Mette Kirkegaard.
Circolo Vegetariano VV.TT. Via del Fontanile snc
h. 14.00 Pic nic in the garden and open air music.
h. 15.30 - Songs in the Temple of Lay Spirituality, in a cave dhedicated to the Heart of the Goddess: “Myth and Meditations of the World's Sacred Feminine”
Music in the Square - Piazza Umberto I°
h. 16.00 - Mette performs her own Danish and English songs in the square of the old village
Il Granarone – Via Porta Segreta
h. 20.00 - Concert in the hall of the granaries stall.
“Nocturnal Sequence”
* A short info: The Play Danish Day in Denmark is a day of Danish Music broadcasts on radio, television and all other media channels in both English and Danish. The event in Calcata is partially supported by the Danish Songwriters Guild, DPA.
Info: circolo.vegetariano@libero.it
Tel. 0761/587200
Contemporaneamente, proprio lo stesso giorno, si sparge la musica “vichinga” nel mondo - "Play Danish Day" (www.spildansk.dk)* ed il governo danese invia a Calcata la ben nota cantante folk Mette Kirkegaard (gli amici del Circolo la ricorderanno al Ciclo della Vita dello scorso anno), la quale durante l’intera giornata del 29 ottobre 2009 compirà una performance continuata, a cominciare dal mattino sino a notte inoltrata (e sarà presente anche il 31 ottobre all’inaugurazione del Ciclo della Vita di quest’anno).
Ecco il programma del 29 ottobre (in inglese maccheronico di facile traduzione in italiano):
With some support from danish songwriters Guild, Mette Kirkegaard come to Calcata and perform at specific places in relation to the event "Play Danish Day", in order to spread the word about danish music this day and in the days before and after 29th ocotober 2009.
Program:
29th october 2009 - Entrance of Saturn in Lyra and Danish Music Day in Calcata, feat. singer/songwriter Mette Kirkegaard.
Circolo Vegetariano VV.TT. Via del Fontanile snc
h. 14.00 Pic nic in the garden and open air music.
h. 15.30 - Songs in the Temple of Lay Spirituality, in a cave dhedicated to the Heart of the Goddess: “Myth and Meditations of the World's Sacred Feminine”
Music in the Square - Piazza Umberto I°
h. 16.00 - Mette performs her own Danish and English songs in the square of the old village
Il Granarone – Via Porta Segreta
h. 20.00 - Concert in the hall of the granaries stall.
“Nocturnal Sequence”
* A short info: The Play Danish Day in Denmark is a day of Danish Music broadcasts on radio, television and all other media channels in both English and Danish. The event in Calcata is partially supported by the Danish Songwriters Guild, DPA.
Info: circolo.vegetariano@libero.it
Tel. 0761/587200
Etichette:
Calcata allucinante,
Denmark,
Mette Kirkegaard,
Play Danish Day
La dottrina del disprezzo e l'umana accoglienza.... ma ormai Luca non soffre più!
Premessa. Molto spesso in internet arrivano mail di cosidetta "educazione sociale", il più delle volte si fanno battaglie a favore di animali - soprattutto cani e gatti-, sfruttando e abusando la parola "umanità".
Vi invito a leggere questo brano dell'amico Peter Boom, artista cantante lirico-ballerino-scrittore ed altro ancora, su una storia realmente accaduta, con l'auspicio che in futuro "umanità" non sia solo una parola astratta ma un concetto basilare per il rispetto della vita di tutti gli esseri viventi. Laura Lucibello
Luca non soffre più.
Ma come? Perché? Eh già … è saltato giù dal quinto piano e questa volta "finalmente" gli è andata bene.
Ha messo fine alla sua vita torturata, lui un nero somalo adottato all'età di due anni da gente caritatevole in una città della provincia italiana: “Oh che bel bambinello, sorride, è pieno di vita, tutto nero e col pisellino un po' roseo, che dolce, ma poi … il bambinello nero cresce e rimane nero ed è logico, anzi logicissimo che qualcuno cominci a prenderlo in giro. Lui non sembra curarsene troppo e mantiene il suo sorriso accattivante, rimane ottimista, ingenuo, finché non scopre di essere una seconda volta diverso, cioè gay, omosex. Quel che è peggio gli piace anche travestirsi per divertirsi un po' di sera.
In città lo sanno oramai tutti, la sua famiglia cerca di resistere …. non ce la fanno e l'opinione pubblica è una brutta bestia, sadica, cattivissima.
Luca prova ancora a sorridere con quegli occhi pieni di luce ma poi … non ce la fa più e salta da un altissimo viadotto. Purtroppo non gli va bene perché disgraziatamente un albero frena la sua rovinosa caduta. Sì, l'albero ha avuto pietà!
Vigili del fuoco, poliziotti, medici, chirurghi, si sono tutti prodigati per salvare quel ragazzo straziato e in coma. E' uscito dal coma, una gamba più corta e numerosi altri disturbi e lui pianpianino è tornato a sorridere. La ferita più grave non la portava sul corpo ma nel profondo dell'anima. Una signora giudice lo ha aiutato a trovare un lavoro e lui pulendo un parco di motociclette continuava a studiare ed a leggere libri. In quel garage, pur conoscendo la sua storia, continuarono a prenderlo in giro per il suo essere nero e frocio, diverso. Un giorno uno di quei “signori” è venuto a trovarlo, si è denudato una certa parte del corpo e ha detto: “Dai, brutto frocio negro fammi godere.” Luca non ha risposto a quel “signore” così represso e se n'è andato, è fuggito a Roma dove l'ho conosciuto nel 1998 in occasione della commemorazione del gay siciliano Alfredo Ormando, il quale si era dato fuoco con la benzina il 13 gennaio 1997 davanti al sagrato in piazza San Pietro.
Luca sembrava di nuovo allegro liberatosi da quel orribile clima provinciale che gli era diventato insopportabile, ma dentro non stava bene, il trauma psichico infertogli con tanta crudeltà e disprezzo era oramai irreparabile. Ogni tanto venne ricoverato per farsi rimbambolire da potenti sedativi. Poi … sembrava di nuovo guarito, la vita ricominciava quasi normalmente.
Grazie ad alcune persone ha poi trovato un lavoro degno presso un Ministero.
Luca era gentile con tutti, cercava sempre di aiutare tutti, regalava un euro al drogato malmesso per strada e ha ospitato un ragazzo disprezzato come lui. Quel ragazzo però lo sfruttava, lo trattava male, lo minacciò sputandogli in faccia, ma Luca sentiva profondamente il bisogno di un po' d'affetto, possibilmente di amore e più veniva bistrattato più ripeteva che quel delinquente lo amava. Non voleva ammettere a sé stesso di non essere benvoluto e forse questa bugìa detta agli amici ma più che altro a sé stesso lo ha fatto sopravvivere per un altro po' di anni.
Dovremmo tutti maledire i razzisti, i finti religiosi, i politici omofobi, tutta gente che non ha capito che sta di fatto maledicendo una parte di sé stessi.
Pietà per loro, ma ...dobbiamo fermarli.
LA DOTTRINA DEL DISPREZZO (Copyleft)
Sono nero, giallo, bruno, meticcio, bianco albino.
Sono un ebreo, sono vecchio, malato, bambino.
Sono arabo, sono nato nel Sud, di un'altra religione,
di nessuna religione.
Sono omosessuale, cieco e amo la natura.
Non so chi è mio padre, mia madre forse puttana.
Sono donna, sono povero, sono paria e andicappato.
La mia sedia a rotelle è questa società.
Sono un indiano, e sono meno di te e son strano, diverso.
La mia squadra di calcio non è la tua. Peccato.
Porto i capelli fuori moda e vestiti rattoppati.
Sono un animale, una pianta e rispetto la natura.
Sono tutto questo, sono la maggioranza!
E poi sono razzista, ma solo con i razzisti!
Peter Boom
Vi invito a leggere questo brano dell'amico Peter Boom, artista cantante lirico-ballerino-scrittore ed altro ancora, su una storia realmente accaduta, con l'auspicio che in futuro "umanità" non sia solo una parola astratta ma un concetto basilare per il rispetto della vita di tutti gli esseri viventi. Laura Lucibello
Luca non soffre più.
Ma come? Perché? Eh già … è saltato giù dal quinto piano e questa volta "finalmente" gli è andata bene.
Ha messo fine alla sua vita torturata, lui un nero somalo adottato all'età di due anni da gente caritatevole in una città della provincia italiana: “Oh che bel bambinello, sorride, è pieno di vita, tutto nero e col pisellino un po' roseo, che dolce, ma poi … il bambinello nero cresce e rimane nero ed è logico, anzi logicissimo che qualcuno cominci a prenderlo in giro. Lui non sembra curarsene troppo e mantiene il suo sorriso accattivante, rimane ottimista, ingenuo, finché non scopre di essere una seconda volta diverso, cioè gay, omosex. Quel che è peggio gli piace anche travestirsi per divertirsi un po' di sera.
In città lo sanno oramai tutti, la sua famiglia cerca di resistere …. non ce la fanno e l'opinione pubblica è una brutta bestia, sadica, cattivissima.
Luca prova ancora a sorridere con quegli occhi pieni di luce ma poi … non ce la fa più e salta da un altissimo viadotto. Purtroppo non gli va bene perché disgraziatamente un albero frena la sua rovinosa caduta. Sì, l'albero ha avuto pietà!
Vigili del fuoco, poliziotti, medici, chirurghi, si sono tutti prodigati per salvare quel ragazzo straziato e in coma. E' uscito dal coma, una gamba più corta e numerosi altri disturbi e lui pianpianino è tornato a sorridere. La ferita più grave non la portava sul corpo ma nel profondo dell'anima. Una signora giudice lo ha aiutato a trovare un lavoro e lui pulendo un parco di motociclette continuava a studiare ed a leggere libri. In quel garage, pur conoscendo la sua storia, continuarono a prenderlo in giro per il suo essere nero e frocio, diverso. Un giorno uno di quei “signori” è venuto a trovarlo, si è denudato una certa parte del corpo e ha detto: “Dai, brutto frocio negro fammi godere.” Luca non ha risposto a quel “signore” così represso e se n'è andato, è fuggito a Roma dove l'ho conosciuto nel 1998 in occasione della commemorazione del gay siciliano Alfredo Ormando, il quale si era dato fuoco con la benzina il 13 gennaio 1997 davanti al sagrato in piazza San Pietro.
Luca sembrava di nuovo allegro liberatosi da quel orribile clima provinciale che gli era diventato insopportabile, ma dentro non stava bene, il trauma psichico infertogli con tanta crudeltà e disprezzo era oramai irreparabile. Ogni tanto venne ricoverato per farsi rimbambolire da potenti sedativi. Poi … sembrava di nuovo guarito, la vita ricominciava quasi normalmente.
Grazie ad alcune persone ha poi trovato un lavoro degno presso un Ministero.
Luca era gentile con tutti, cercava sempre di aiutare tutti, regalava un euro al drogato malmesso per strada e ha ospitato un ragazzo disprezzato come lui. Quel ragazzo però lo sfruttava, lo trattava male, lo minacciò sputandogli in faccia, ma Luca sentiva profondamente il bisogno di un po' d'affetto, possibilmente di amore e più veniva bistrattato più ripeteva che quel delinquente lo amava. Non voleva ammettere a sé stesso di non essere benvoluto e forse questa bugìa detta agli amici ma più che altro a sé stesso lo ha fatto sopravvivere per un altro po' di anni.
Dovremmo tutti maledire i razzisti, i finti religiosi, i politici omofobi, tutta gente che non ha capito che sta di fatto maledicendo una parte di sé stessi.
Pietà per loro, ma ...dobbiamo fermarli.
LA DOTTRINA DEL DISPREZZO (Copyleft)
Sono nero, giallo, bruno, meticcio, bianco albino.
Sono un ebreo, sono vecchio, malato, bambino.
Sono arabo, sono nato nel Sud, di un'altra religione,
di nessuna religione.
Sono omosessuale, cieco e amo la natura.
Non so chi è mio padre, mia madre forse puttana.
Sono donna, sono povero, sono paria e andicappato.
La mia sedia a rotelle è questa società.
Sono un indiano, e sono meno di te e son strano, diverso.
La mia squadra di calcio non è la tua. Peccato.
Porto i capelli fuori moda e vestiti rattoppati.
Sono un animale, una pianta e rispetto la natura.
Sono tutto questo, sono la maggioranza!
E poi sono razzista, ma solo con i razzisti!
Peter Boom
giovedì 22 ottobre 2009
Giorgio Nebbia: "Il calpestio di miliardi di uomini sul pianeta rende questo giardino un deserto... è una semplice constatazione"
Biologia e economia
Stiamo vivendo in un periodo turbolento dell'economia; i prezzi di molte merci, fra cui petrolio, grano, rame, eccetera, sono saliti molto, poi sono diminuiti; molte persone hanno acquistato beni e servizi chiedendo prestiti alle banche e alcuni non sono stati in grado di pagare i debiti; molte persone rinunciano ad acquistare beni e servizi e i venditori si sono trovati con magazzini pieni di merci invendute; alcuni fabbricanti sono stati costretti a licenziare i lavoratori che, senza salario, sono entrati nella spirale di debiti non pagati e di rinuncia ad alcuni acquisti. Per evitare ulteriore disoccupazione lo Stato, con i soldi di tutti, risarcisce le banche in perdita o i produttori che non riescono a vendere. Un quadro che si è ripetuto più volte nella storia degli ultimi duecento anni. C'è una "legge" che descrive questi fenomeni?
Propongo una parabola. Uno studente universitario del primo o secondo anno di biologia impara che le popolazioni animali seguono dei cicli di crescita e declino non molto diversi da quelli dell'economia. Immaginiamo una popolazione di animali che vive in un territorio grande e ricco di alimenti e di acqua, ma non infinito: un pascolo, un bosco, un lago. Dapprima gli animali sono pochi e crescono di numero perché hanno spazio disponibile e cibo abbondante e si riproducono facilmente. A poco a poco lo spazio comincia d essere affollato da molti animali e il cibo comincia a scarseggiare e il numero di figli diminuisce e, ad un certo punto, il numero dei nati uguaglia il numero dei morti e la popolazione non aumenta e diventa stazionaria. Le cose sembrerebbero in equilibrio, ma non è così perché la vita di questa popolazione altera le condizioni dell'ecosistema e il cibo e l'acqua che sembravano sufficienti per una popolazione stazionaria, cominciano a diminuire.
Pensate ad un pascolo in cui l'erba è pestata dagli animali presenti e il terreno si indurisce e si inaridisce; inoltre il metabolismo, cioè il processo di trasformazione del cibo, degli animali presenti genera degli escrementi che si fermano nel terreno e lo rendono ancora meno fertile, e finiscono nell'acqua che diventa meno bevibile e anzi dannosa. La popolazione animale allora diminuisce perché, con la propria stessa vita, ha impoverito le fonti di cibo e di acqua. I biologi dicono che la diminuzione è dovuta alla intossicazione del mezzo ambiente; il fenomeno è stato osservato in molte popolazioni animali e la trattazione matematica della crescita e del declino delle popolazioni è stata fatta da una multinazionale di illustri matematici e biologi negli anni trenta del Novecento: l'italiano Vito Volterra (1860-1940), l'americano Alfred Lotka (1880-1949), il sovietico Giorgi Gause (1910-1986), il russo-francese Vladimir Kostitzin. (1886-1963). Poiché peraltro la vita vince sempre, quando la popolazione di animali che occupano il nostro immaginario pascolo è diminuita, diminuisce anche il disturbo dell'ecosistema, l'erba ricomincia a crescere e l'acqua ritorna abbastanza pulita e il numero di animali del pascolo ricomincia ad aumentare, almeno fino ad un certo punto, almeno finché il loro numero non diventa eccessivo rispetto alla capacità ricettiva del pascolo, dell'ecosistema.
Nella vita reale le cose sono più complicate perché spesso arrivano nello stesso territorio animali che fanno concorrenza ai primi e si verificano conflitti; gli animali di una popolazione si nutrono (li chiamano predatori) di quelli di un'altra specie; talvolta una specie collabora con l'altra. I fenomeni economici si svolgono, più o meno nella stessa maniera e non c'è da meravigliarsi perché l'economia si basa sulla occupazione, mediante merci --- i frigoriferi, le automobili, i mobili, i vestiti --- di un territorio, quello degli acquirenti umani che rappresentano il "mercato", non illimitato perché gli acquirenti sono in numero limitato ed è limitata la loro disponibilità di spesa; in un certo senso le merci sono gli animali della parabola e i consumatori sono la fonte del loro nutrimento.
Prendiamo il caso dei frigoriferi: una famiglia possiede un frigorifero, magari ne ha due, ma i venditori di frigoriferi hanno bisogno di vendere altri frigoriferi; per dar retta all'invito dei venditori una famiglia può comprare un altro frigorifero, forse altri due, ma se continua a comprare frigoriferi finirà per doverli mettere nella camera da letto. In altre parole la "popolazione" di frigoriferi in una economia, in un mercato, non può aumentare al di là della capacità ricettiva delle case. I venditori possono convincere i consumatori a gettare via, a "rottamare" (magari con incentivi statali) i vecchi frigoriferi, ma la massa dei rottami e il loro smaltimento finiscono per provocare danni e costi che inducono il mercato a "non" comprare nuovi frigoriferi. Per farla breve, se i fabbricanti producono frigoriferi illudendosi di venderli, devono fare i conti con un mercato limitato, che non ha soldi (il cibo della parabola) o che non sa dove metterli, finiscono per fallire e devono licenziare i lavoratori, il che restringe ulteriormente il mercato.
Un discorso simile vale per la "merce" automobile; in questo caso la crescita della popolazione di automobili che può entrare e occupare il mercato, il "pascolo" della parabola, è frenata sia dalla dimensione limitata del mercato (arriva un punto in cui una nuova automobile può essere messa soltanto nella camera da letto), sia dall'intossicazione dell'ambiente dovuta alla mancanza di parcheggi, di strade in cui circolare liberamente, dall'inquinamento. Col curioso paradosso che lo stesso "Stato" che da una parte incoraggia l'acquisto di nuove automobili, per far lavorare i fabbricanti, dall'altra parte deve limitarne la diffusione e circolazione per motivi ambientali. La parabola suggerisce che una economia "reale" può sopravvivere soltanto se i fabbricanti producono tenendo conto che la capacità ricettiva del mercato è limitata e che, al di là di un limite, devono smettere di produrre una certa merce, che ha saturato e inquina un mercato, e devono cercare di produrne un'altra. La parabola contiene perciò anche un messaggio di speranza: la produzione e l'acquisto delle merci possono ricominciare ad aumentare se saranno identificati i reali bisogni dei consumatori e i mezzi per soddisfarli con merci opportune, se si eviterà che la produzione e il metabolismo delle merci sovraffollino e avvelenino l'ambiente in cui si svolge la vita umana, l'unica cosa che conta.
Giorgio Nebbia
Stiamo vivendo in un periodo turbolento dell'economia; i prezzi di molte merci, fra cui petrolio, grano, rame, eccetera, sono saliti molto, poi sono diminuiti; molte persone hanno acquistato beni e servizi chiedendo prestiti alle banche e alcuni non sono stati in grado di pagare i debiti; molte persone rinunciano ad acquistare beni e servizi e i venditori si sono trovati con magazzini pieni di merci invendute; alcuni fabbricanti sono stati costretti a licenziare i lavoratori che, senza salario, sono entrati nella spirale di debiti non pagati e di rinuncia ad alcuni acquisti. Per evitare ulteriore disoccupazione lo Stato, con i soldi di tutti, risarcisce le banche in perdita o i produttori che non riescono a vendere. Un quadro che si è ripetuto più volte nella storia degli ultimi duecento anni. C'è una "legge" che descrive questi fenomeni?
Propongo una parabola. Uno studente universitario del primo o secondo anno di biologia impara che le popolazioni animali seguono dei cicli di crescita e declino non molto diversi da quelli dell'economia. Immaginiamo una popolazione di animali che vive in un territorio grande e ricco di alimenti e di acqua, ma non infinito: un pascolo, un bosco, un lago. Dapprima gli animali sono pochi e crescono di numero perché hanno spazio disponibile e cibo abbondante e si riproducono facilmente. A poco a poco lo spazio comincia d essere affollato da molti animali e il cibo comincia a scarseggiare e il numero di figli diminuisce e, ad un certo punto, il numero dei nati uguaglia il numero dei morti e la popolazione non aumenta e diventa stazionaria. Le cose sembrerebbero in equilibrio, ma non è così perché la vita di questa popolazione altera le condizioni dell'ecosistema e il cibo e l'acqua che sembravano sufficienti per una popolazione stazionaria, cominciano a diminuire.
Pensate ad un pascolo in cui l'erba è pestata dagli animali presenti e il terreno si indurisce e si inaridisce; inoltre il metabolismo, cioè il processo di trasformazione del cibo, degli animali presenti genera degli escrementi che si fermano nel terreno e lo rendono ancora meno fertile, e finiscono nell'acqua che diventa meno bevibile e anzi dannosa. La popolazione animale allora diminuisce perché, con la propria stessa vita, ha impoverito le fonti di cibo e di acqua. I biologi dicono che la diminuzione è dovuta alla intossicazione del mezzo ambiente; il fenomeno è stato osservato in molte popolazioni animali e la trattazione matematica della crescita e del declino delle popolazioni è stata fatta da una multinazionale di illustri matematici e biologi negli anni trenta del Novecento: l'italiano Vito Volterra (1860-1940), l'americano Alfred Lotka (1880-1949), il sovietico Giorgi Gause (1910-1986), il russo-francese Vladimir Kostitzin. (1886-1963). Poiché peraltro la vita vince sempre, quando la popolazione di animali che occupano il nostro immaginario pascolo è diminuita, diminuisce anche il disturbo dell'ecosistema, l'erba ricomincia a crescere e l'acqua ritorna abbastanza pulita e il numero di animali del pascolo ricomincia ad aumentare, almeno fino ad un certo punto, almeno finché il loro numero non diventa eccessivo rispetto alla capacità ricettiva del pascolo, dell'ecosistema.
Nella vita reale le cose sono più complicate perché spesso arrivano nello stesso territorio animali che fanno concorrenza ai primi e si verificano conflitti; gli animali di una popolazione si nutrono (li chiamano predatori) di quelli di un'altra specie; talvolta una specie collabora con l'altra. I fenomeni economici si svolgono, più o meno nella stessa maniera e non c'è da meravigliarsi perché l'economia si basa sulla occupazione, mediante merci --- i frigoriferi, le automobili, i mobili, i vestiti --- di un territorio, quello degli acquirenti umani che rappresentano il "mercato", non illimitato perché gli acquirenti sono in numero limitato ed è limitata la loro disponibilità di spesa; in un certo senso le merci sono gli animali della parabola e i consumatori sono la fonte del loro nutrimento.
Prendiamo il caso dei frigoriferi: una famiglia possiede un frigorifero, magari ne ha due, ma i venditori di frigoriferi hanno bisogno di vendere altri frigoriferi; per dar retta all'invito dei venditori una famiglia può comprare un altro frigorifero, forse altri due, ma se continua a comprare frigoriferi finirà per doverli mettere nella camera da letto. In altre parole la "popolazione" di frigoriferi in una economia, in un mercato, non può aumentare al di là della capacità ricettiva delle case. I venditori possono convincere i consumatori a gettare via, a "rottamare" (magari con incentivi statali) i vecchi frigoriferi, ma la massa dei rottami e il loro smaltimento finiscono per provocare danni e costi che inducono il mercato a "non" comprare nuovi frigoriferi. Per farla breve, se i fabbricanti producono frigoriferi illudendosi di venderli, devono fare i conti con un mercato limitato, che non ha soldi (il cibo della parabola) o che non sa dove metterli, finiscono per fallire e devono licenziare i lavoratori, il che restringe ulteriormente il mercato.
Un discorso simile vale per la "merce" automobile; in questo caso la crescita della popolazione di automobili che può entrare e occupare il mercato, il "pascolo" della parabola, è frenata sia dalla dimensione limitata del mercato (arriva un punto in cui una nuova automobile può essere messa soltanto nella camera da letto), sia dall'intossicazione dell'ambiente dovuta alla mancanza di parcheggi, di strade in cui circolare liberamente, dall'inquinamento. Col curioso paradosso che lo stesso "Stato" che da una parte incoraggia l'acquisto di nuove automobili, per far lavorare i fabbricanti, dall'altra parte deve limitarne la diffusione e circolazione per motivi ambientali. La parabola suggerisce che una economia "reale" può sopravvivere soltanto se i fabbricanti producono tenendo conto che la capacità ricettiva del mercato è limitata e che, al di là di un limite, devono smettere di produrre una certa merce, che ha saturato e inquina un mercato, e devono cercare di produrne un'altra. La parabola contiene perciò anche un messaggio di speranza: la produzione e l'acquisto delle merci possono ricominciare ad aumentare se saranno identificati i reali bisogni dei consumatori e i mezzi per soddisfarli con merci opportune, se si eviterà che la produzione e il metabolismo delle merci sovraffollino e avvelenino l'ambiente in cui si svolge la vita umana, l'unica cosa che conta.
Giorgio Nebbia
mercoledì 21 ottobre 2009
"Se un Buddha sceglie di essere donna" - Storie di yogini tibetane e dintorni...
I Tibetani che -mille anni fa- viaggiavano a piedi fino a raggiungere le grotte e le foreste dell'India, per trovare e ricevere gli insegnamenti buddhisti, scoprirono che molte donne erano di fatto grandi maestre tantriche; chiamate yogini, praticavano le discipline esoteriche seguite da un gran numero di discepole.
Dal carattere fiero, indipendente e rigoroso, le yogini trasmettevano i loro segreti spirituali agli uomini che desideravano essere iniziati, dando un grande impulso allo sviluppo del Buddhismo tantrico.
A un certo punto, queste donne straordinarie scomparvero di vista.
Ma non scomparvero dalla mente dei praticanti.
La loro corrispondente forma "beatificata" danza nel cuore dei mandala di tutto il pantheon tibetano.
"Nel campo spirituale, l´energia femminile ha le stesse capacità e possibilità di quella maschile", afferma Kyabje Gehlek Rinpoche, Lama tibetano e insegnante buddhista ("Rinpoche" significa "il prezioso") inviato in Occidente dai tutori del Dalai Lama.
Gehlek Rinpoche, noto nei circuiti spirituali per la sua vicinanza al poeta Allen Ginsberg (e per averlo assistito spiritualmente al momento della sua morte), è il fondatore dei Centri di Buddhismo tibetano di Ann Arbor (Michigan) e Soho.
Una mattina di alcuni giorni fa Gehlek Rinpoche era seduto di fronte alla
divinità Tara, raffigurata in un dipinto del diciottesimo secolo contenuto
in "Buddha femminili: donne di illuminazione nell´arte mistica tibetana",
mostra in corso di svolgimento al Rubin Museum of Arts di Chelsea.
"Ciò di cui c´è più bisogno in questa epoca è una presenza femminile", ha detto il Lama. Gehlek Rinpoche ha spiegato che Tara ha fatto voto di manifestarsi nel mondo in forma femminile.
Tutti i Bodhisattva le avrebbero detto: "Tara, tu ora potresti essere tutto ciò che desideri, potresti essere un uomo".
Tara avrebbe risposto: "Vi ringrazio, ma la mia risposta è no".
"Tara ha scelto un corpo femminile per illuminare la via di tutti gli esseri", ha detto Rinpoche "la sua immagine ci aiuta ad essere consapevoli del Buddha che esiste dentro ciascuno di noi; ci aiuta a ricordarci che non siamo soltanto esseri fisici, materiali".
Nella pratica degli insegnamenti tantrici segreti, secondo l´attuale Dalai
Lama, le donne sono addirittura avvantaggiate; gli uomini invece tendono a mettersi in evidenza nelle forme più "comuni" (non esoteriche) del Buddhismo tibetano.
Il Primo Dalai Lama (1391-1475) compose un canto mistico di ventuno lodi a Tara, che si dice sia sorta dall´oceano di lacrime della divinità principale tibetana: Avalokiteshvara, il Bodhisattva della Compassione.
Tara, il cui nome significa "Stella" (forse con riferimento alla Stella
Polare, la cui luminosità ha il potere di guidare coloro che si sono
smarriti) è l´energia dell´illuminazione personificata.
Tara è al tempo stesso una madre appassionata, una protettrice irata, una soggiogatrice di ostacoli veloce e senza paura.
Con occhi dardeggianti come fulmini, batte i piedi e semina il panico fra dei e demoni allo stesso modo, riparando i torti e le ingiustizie e adempiendo alla sua promessa di donare al mondo le divine energie femminili.
La sua intensa femminilità è tutto fuorché docile o sottomessa, come appare con lampante evidenza nella mostra del Rubin Museum e in un´altra mostra collegata (avente lo stesso nome) presso il Bruce Museum di Greenwich, Conn.
Tara e il suo seguito di yogini bevono il sangue degli avversari del Dharma, danzano nude sui corpi dei nemici sconfitti e si abbracciano a consorti maschili in un´appassionata unione sessuale. Sono liberatrici trascendenti, che si ergono a difesa della "Natura illuminata" presente in ciascuno di noi, quando ci rivolgiamo verso la nostra saggezza interiore.
Kay Larson
Dal carattere fiero, indipendente e rigoroso, le yogini trasmettevano i loro segreti spirituali agli uomini che desideravano essere iniziati, dando un grande impulso allo sviluppo del Buddhismo tantrico.
A un certo punto, queste donne straordinarie scomparvero di vista.
Ma non scomparvero dalla mente dei praticanti.
La loro corrispondente forma "beatificata" danza nel cuore dei mandala di tutto il pantheon tibetano.
"Nel campo spirituale, l´energia femminile ha le stesse capacità e possibilità di quella maschile", afferma Kyabje Gehlek Rinpoche, Lama tibetano e insegnante buddhista ("Rinpoche" significa "il prezioso") inviato in Occidente dai tutori del Dalai Lama.
Gehlek Rinpoche, noto nei circuiti spirituali per la sua vicinanza al poeta Allen Ginsberg (e per averlo assistito spiritualmente al momento della sua morte), è il fondatore dei Centri di Buddhismo tibetano di Ann Arbor (Michigan) e Soho.
Una mattina di alcuni giorni fa Gehlek Rinpoche era seduto di fronte alla
divinità Tara, raffigurata in un dipinto del diciottesimo secolo contenuto
in "Buddha femminili: donne di illuminazione nell´arte mistica tibetana",
mostra in corso di svolgimento al Rubin Museum of Arts di Chelsea.
"Ciò di cui c´è più bisogno in questa epoca è una presenza femminile", ha detto il Lama. Gehlek Rinpoche ha spiegato che Tara ha fatto voto di manifestarsi nel mondo in forma femminile.
Tutti i Bodhisattva le avrebbero detto: "Tara, tu ora potresti essere tutto ciò che desideri, potresti essere un uomo".
Tara avrebbe risposto: "Vi ringrazio, ma la mia risposta è no".
"Tara ha scelto un corpo femminile per illuminare la via di tutti gli esseri", ha detto Rinpoche "la sua immagine ci aiuta ad essere consapevoli del Buddha che esiste dentro ciascuno di noi; ci aiuta a ricordarci che non siamo soltanto esseri fisici, materiali".
Nella pratica degli insegnamenti tantrici segreti, secondo l´attuale Dalai
Lama, le donne sono addirittura avvantaggiate; gli uomini invece tendono a mettersi in evidenza nelle forme più "comuni" (non esoteriche) del Buddhismo tibetano.
Il Primo Dalai Lama (1391-1475) compose un canto mistico di ventuno lodi a Tara, che si dice sia sorta dall´oceano di lacrime della divinità principale tibetana: Avalokiteshvara, il Bodhisattva della Compassione.
Tara, il cui nome significa "Stella" (forse con riferimento alla Stella
Polare, la cui luminosità ha il potere di guidare coloro che si sono
smarriti) è l´energia dell´illuminazione personificata.
Tara è al tempo stesso una madre appassionata, una protettrice irata, una soggiogatrice di ostacoli veloce e senza paura.
Con occhi dardeggianti come fulmini, batte i piedi e semina il panico fra dei e demoni allo stesso modo, riparando i torti e le ingiustizie e adempiendo alla sua promessa di donare al mondo le divine energie femminili.
La sua intensa femminilità è tutto fuorché docile o sottomessa, come appare con lampante evidenza nella mostra del Rubin Museum e in un´altra mostra collegata (avente lo stesso nome) presso il Bruce Museum di Greenwich, Conn.
Tara e il suo seguito di yogini bevono il sangue degli avversari del Dharma, danzano nude sui corpi dei nemici sconfitti e si abbracciano a consorti maschili in un´appassionata unione sessuale. Sono liberatrici trascendenti, che si ergono a difesa della "Natura illuminata" presente in ciascuno di noi, quando ci rivolgiamo verso la nostra saggezza interiore.
Kay Larson
martedì 20 ottobre 2009
Norman Borlaug, un eroe, un Carneade, un angelo della Terra, un diavolo....?
Continuo a stupirmi per il discorso delle "coincidenze"!
Ho letto velocemente alcuni articoli del Giornaletto e mi sono dedicata alla riflessione sul "pensiero ecologico".... diciamo dal punto di vista di
"insegnante"....mi sono chiesta quali personaggi, nel corso del "tempo" hanno cercato di sensibilizzae la "gente comune" verso tematiche ecologiche. Nel pomeriggio mi sono fermata a correggere delle verifiche al bio bar dove spesso mi reco per "momenti di relax" e, con piacere, ho rivisto un vecchio amico, reduce da un'esperienza presso la Comune di URUPIA, mi ha raccontato particolari interessanti, ma soprattutto mi ha permesso di conoscere questa storia che ti allego...... legata anche alla ben nota assegnazione del premio Nobel! Grazie ancora Paolo, perchè rendi possibile queste speciali magie quotidiane!
Antonella Pedicelli
............
BORLAUG, UN EROE CANCELLATO DAGLI ECOLOGISTI
Norman Borlaug é morto, il 12 settembre 2009: un Carneade, in alcuni ambienti. In altri, un Angelo sulla Terra, e in altri ancora (curiosamente, per gli stessi motivi) un Diavolo.
Cosa ha fatto dunque di speciale questo Nobel per la Pace 1970,
premiato negli USA anche con la Medaglia della Libertà del Presidente e la Medaglia d’Oro del Congresso, e in India con il “Padma Vibhushan”, la seconda più alta onorificenza per un civile? Ha “semplicemente” salvato la vita a 245 milioni di persone. Oh, e i frutti del suo lavoro sfamano adesso circa metà dell'umanità.
E per questo, ovviamente, è stato pure criticato. Come diceva la canzone: “sei buono…e ti tirano le pietre”.
In realtà è difficile riuscire a sopravvalutare l’importanza di Norman
Ernest Borlaug. Nato in Iowa nel 1914, ha vissuto in prima persona la
tragedia delle tempeste di polvere che mandarono tantissimi agricoltori americani sul lastrico negli anni ’30. E così si è trovato ben piazzato per comprendere le drammatiche richieste da parte del governo messicano quando intorno al 1944 chiese aiuto alla Rockefeller Foundation per uscire da un terribile ciclo di continue carestie.
Borlaug infatti conteneva in sé le migliori caratteristiche per affrontare il problema, incluse conoscenze pratiche ma anche teoriche dell’agricoltura (grazie all’incoraggiamento del nonno, andò all’Università quando la maggior parte dei suoi coetanei dopo l'obbligo scolastico tornava semplicemente a lavorare la terra); e la consapevolezza che la "Fame nel Mondo" non è un concetto astratto, o un problema da risolvere con mirabolanti dichiarazioni o impossibili target.
E' anzi un problema estremamente concreto che milioni devono affrontare come principale preoccupazione quotidiana. E la cui soluzione dipende non tanto dal cambiamento della società o dei costumi, quanto dall’inventiva e dedizione di persone come Borlaug.
Certo in questa storia ci sono anche altre personalità, come per esempio il Prof. Elvin C Stakman, esperto in malattie delle piante che convinse il trentenne Borlaug ad abbandonare una carriera sicura alla DuPont per lavorare con la Rockefeller Foundation. E che sicuramente ebbe un ruolo nel primo successo di Borlaug, la creazione di varietà di grano resistenti alla loro peggiore malattia, causata da un fungo.
Immaginiamo però la sorpresa di contadini e funzionari messicani quando dopo pochissimi anni, le nuove varietà mostrarono incredibili capacità di aumentare i raccolti. Eppure, era solo l’inizio. Negli anni '50, infatti, grazie al lavoro di Borlaug e dei suoi collaboratori furono create varietà “semi-nane” ancora più spettacolari, piccole ma con i chicchi di dimensioni normali, e capaci di produrne quantità strabilianti (tre o quattro volte di più del solito) grazie anche all’uso di azoto come fertilizzante.
Una volta che queste idee furono applicate al riso, il cibo di base per quasi metà della popolazione umana, ecco allora che Borlaug si trovò a essere indicato come il Padre della “Rivoluzione Verde”. Il Messico divenne ben presto esportatore di cereali. Anche India e Pakistan riuscirono in pochi anni a diventare autosufficienti. Successi dopo successi anche in Cina, Brasile, le Filippine, insomma un po’ ovunque.
E se fosse vero che Cina e India abbiano… seminato con Borlaug quanto
ora sta dando frutto nella loro spinta a diventare potenze di livello
mondiale? Come scrive il New York Times, la Rivoluzione Verde di Borlaug avrebbe allora “cambiato il corso della Storia”.
E allora perché viene criticato? Ufficialmente, per aver contribuito a
far nascere una società non-ecosostenibile. Per esempio l’indiana Vandana Shiva ha detto nel 1991, che “nel percepire i limiti della natura come limitazioni alla produttività che andavano rimosse, [Borlaug e gli altri esperti americani] hanno diffuso pratiche [agricole] ecologicamente distruttive e insostenibili”. Addirittura.
Aspettiamoci allora giudizi molto aspri contro l’inventore della ruota, per aver aiutato la specie umana a spostarsi velocemente, e anche contro il povero Archimede e la sua pompa a vite, responsabile di una irrigazione che va al di là della mera speranza in piogge regolari.
Borlaug, infaticabile lavoratore fino quasi alla fine, aveva una risposta semplice ai suoi critici. Diceva loro che è facile parlare quando uno fa parte della elite, e non deve preoccuparsi da dove mai venga il prossimo pasto. E ripetutamente dimostrava invece un approccio pragmatico ai problemi ambientali: come disse nel suo discorso di accettazione del Premio Nobel:
“Il destino della civiltà dipende dalla [capacità di] provvedere uno
standard di vita decente a tutta l’umanità”. E quindi “la prima, essenziale componente della giustizia sociale è cibo adeguato per tutta l’umanità”. E infine: “Alcuni critici hanno detto che la rivoluzione verde ha creato più problemi di quanti ne abbia risolti. Questo non lo posso accettare, perché credo che sia molto meglio per l'umanità essere alle prese con nuovi problemi causati dall’abbondanza, piuttosto che con il vecchio problema della fame”.
Di fronte al rischio di tragedia impellente dunque, Borlaug non si mise a scrivere libri, fare conferenze o organizzare comitati politici internazionali. Non pubblicò decaloghi per rendere più virtuose le persone o la società, e non organizzò concerti per sensibilizzare le masse. Non si mise neanche in testa di zittire chi non credeva nella possibilità di quella tragedia.
Invece, si mise a lavorare per evitare quella tragedia. Lavorare, affrontare i problemi, risolverli? Un’idea che oggi potrebbe risultare
rivoluzionaria…
Borlaug ebbe insomma fiducia nelle capacità sue e degli altri, collaboratori e agricoltori dal Messico all’India alla Cina, e politici e funzionari: dunque, nelle capacità della migliore umanità di trovare in sé una soluzione. Perché è questo che va fatto quando si vuole evitare un rischio, specie se per l’umanità tutta.
Borlaug era preoccupato di fronte alla questione della sovrappopopolazione, che egli definiva addirittura come il “Population
Monster”. A Stoccolma si augurò che cambiasse “il percorso auto-distruttore lungo la strada della crescita irresponsabile della popolazione” e che si trovasse un modo per “regolare il tasso di crescita a livelli che consentano un livello decente di vita per tutta l'umanità”.
Ma a differenza del maltusiano Paul R Ehrlich, e di tanti nostri
contemporanei “profeti di sventura”, la preoccupazione di Borlaug non
gli impedì di affermare il suo ottimismo ”per il futuro dell'umanità,
perché in tutte le popolazioni biologiche ci sono dispositivi innati
per regolare la crescita della popolazione per la capacità di carico
dell'ambiente”.
Nel discorso a Stoccolma, Burlaug arrivò ad augurarsi che un giorno si
possa avverare la profezia di Isaia (35, 1 e seguenti): "Il deserto e
la terra arida si rallegreranno… Il luogo arido diventerà uno stagno e
la terra assetata sorgenti d'acqua".
La sua speranza era basata nel credere fermamente che “l'uomo è
potenzialmente un essere razionale [capace di] sviluppare e applicare
le competenze scientifiche e tecnologiche [per] il benessere del genere umano in tutto il mondo". Insomma, come si dice, l'uomo è la soluzione, non il problema.
Maurizio Morabito
...........
Commento con 2 proverbi: "Dare una botta al cerchio ed una alla botte..." oppure "Desiderare la botte piena e la moglie ubriaca..."
Ho letto velocemente alcuni articoli del Giornaletto e mi sono dedicata alla riflessione sul "pensiero ecologico".... diciamo dal punto di vista di
"insegnante"....mi sono chiesta quali personaggi, nel corso del "tempo" hanno cercato di sensibilizzae la "gente comune" verso tematiche ecologiche. Nel pomeriggio mi sono fermata a correggere delle verifiche al bio bar dove spesso mi reco per "momenti di relax" e, con piacere, ho rivisto un vecchio amico, reduce da un'esperienza presso la Comune di URUPIA, mi ha raccontato particolari interessanti, ma soprattutto mi ha permesso di conoscere questa storia che ti allego...... legata anche alla ben nota assegnazione del premio Nobel! Grazie ancora Paolo, perchè rendi possibile queste speciali magie quotidiane!
Antonella Pedicelli
............
BORLAUG, UN EROE CANCELLATO DAGLI ECOLOGISTI
Norman Borlaug é morto, il 12 settembre 2009: un Carneade, in alcuni ambienti. In altri, un Angelo sulla Terra, e in altri ancora (curiosamente, per gli stessi motivi) un Diavolo.
Cosa ha fatto dunque di speciale questo Nobel per la Pace 1970,
premiato negli USA anche con la Medaglia della Libertà del Presidente e la Medaglia d’Oro del Congresso, e in India con il “Padma Vibhushan”, la seconda più alta onorificenza per un civile? Ha “semplicemente” salvato la vita a 245 milioni di persone. Oh, e i frutti del suo lavoro sfamano adesso circa metà dell'umanità.
E per questo, ovviamente, è stato pure criticato. Come diceva la canzone: “sei buono…e ti tirano le pietre”.
In realtà è difficile riuscire a sopravvalutare l’importanza di Norman
Ernest Borlaug. Nato in Iowa nel 1914, ha vissuto in prima persona la
tragedia delle tempeste di polvere che mandarono tantissimi agricoltori americani sul lastrico negli anni ’30. E così si è trovato ben piazzato per comprendere le drammatiche richieste da parte del governo messicano quando intorno al 1944 chiese aiuto alla Rockefeller Foundation per uscire da un terribile ciclo di continue carestie.
Borlaug infatti conteneva in sé le migliori caratteristiche per affrontare il problema, incluse conoscenze pratiche ma anche teoriche dell’agricoltura (grazie all’incoraggiamento del nonno, andò all’Università quando la maggior parte dei suoi coetanei dopo l'obbligo scolastico tornava semplicemente a lavorare la terra); e la consapevolezza che la "Fame nel Mondo" non è un concetto astratto, o un problema da risolvere con mirabolanti dichiarazioni o impossibili target.
E' anzi un problema estremamente concreto che milioni devono affrontare come principale preoccupazione quotidiana. E la cui soluzione dipende non tanto dal cambiamento della società o dei costumi, quanto dall’inventiva e dedizione di persone come Borlaug.
Certo in questa storia ci sono anche altre personalità, come per esempio il Prof. Elvin C Stakman, esperto in malattie delle piante che convinse il trentenne Borlaug ad abbandonare una carriera sicura alla DuPont per lavorare con la Rockefeller Foundation. E che sicuramente ebbe un ruolo nel primo successo di Borlaug, la creazione di varietà di grano resistenti alla loro peggiore malattia, causata da un fungo.
Immaginiamo però la sorpresa di contadini e funzionari messicani quando dopo pochissimi anni, le nuove varietà mostrarono incredibili capacità di aumentare i raccolti. Eppure, era solo l’inizio. Negli anni '50, infatti, grazie al lavoro di Borlaug e dei suoi collaboratori furono create varietà “semi-nane” ancora più spettacolari, piccole ma con i chicchi di dimensioni normali, e capaci di produrne quantità strabilianti (tre o quattro volte di più del solito) grazie anche all’uso di azoto come fertilizzante.
Una volta che queste idee furono applicate al riso, il cibo di base per quasi metà della popolazione umana, ecco allora che Borlaug si trovò a essere indicato come il Padre della “Rivoluzione Verde”. Il Messico divenne ben presto esportatore di cereali. Anche India e Pakistan riuscirono in pochi anni a diventare autosufficienti. Successi dopo successi anche in Cina, Brasile, le Filippine, insomma un po’ ovunque.
E se fosse vero che Cina e India abbiano… seminato con Borlaug quanto
ora sta dando frutto nella loro spinta a diventare potenze di livello
mondiale? Come scrive il New York Times, la Rivoluzione Verde di Borlaug avrebbe allora “cambiato il corso della Storia”.
E allora perché viene criticato? Ufficialmente, per aver contribuito a
far nascere una società non-ecosostenibile. Per esempio l’indiana Vandana Shiva ha detto nel 1991, che “nel percepire i limiti della natura come limitazioni alla produttività che andavano rimosse, [Borlaug e gli altri esperti americani] hanno diffuso pratiche [agricole] ecologicamente distruttive e insostenibili”. Addirittura.
Aspettiamoci allora giudizi molto aspri contro l’inventore della ruota, per aver aiutato la specie umana a spostarsi velocemente, e anche contro il povero Archimede e la sua pompa a vite, responsabile di una irrigazione che va al di là della mera speranza in piogge regolari.
Borlaug, infaticabile lavoratore fino quasi alla fine, aveva una risposta semplice ai suoi critici. Diceva loro che è facile parlare quando uno fa parte della elite, e non deve preoccuparsi da dove mai venga il prossimo pasto. E ripetutamente dimostrava invece un approccio pragmatico ai problemi ambientali: come disse nel suo discorso di accettazione del Premio Nobel:
“Il destino della civiltà dipende dalla [capacità di] provvedere uno
standard di vita decente a tutta l’umanità”. E quindi “la prima, essenziale componente della giustizia sociale è cibo adeguato per tutta l’umanità”. E infine: “Alcuni critici hanno detto che la rivoluzione verde ha creato più problemi di quanti ne abbia risolti. Questo non lo posso accettare, perché credo che sia molto meglio per l'umanità essere alle prese con nuovi problemi causati dall’abbondanza, piuttosto che con il vecchio problema della fame”.
Di fronte al rischio di tragedia impellente dunque, Borlaug non si mise a scrivere libri, fare conferenze o organizzare comitati politici internazionali. Non pubblicò decaloghi per rendere più virtuose le persone o la società, e non organizzò concerti per sensibilizzare le masse. Non si mise neanche in testa di zittire chi non credeva nella possibilità di quella tragedia.
Invece, si mise a lavorare per evitare quella tragedia. Lavorare, affrontare i problemi, risolverli? Un’idea che oggi potrebbe risultare
rivoluzionaria…
Borlaug ebbe insomma fiducia nelle capacità sue e degli altri, collaboratori e agricoltori dal Messico all’India alla Cina, e politici e funzionari: dunque, nelle capacità della migliore umanità di trovare in sé una soluzione. Perché è questo che va fatto quando si vuole evitare un rischio, specie se per l’umanità tutta.
Borlaug era preoccupato di fronte alla questione della sovrappopopolazione, che egli definiva addirittura come il “Population
Monster”. A Stoccolma si augurò che cambiasse “il percorso auto-distruttore lungo la strada della crescita irresponsabile della popolazione” e che si trovasse un modo per “regolare il tasso di crescita a livelli che consentano un livello decente di vita per tutta l'umanità”.
Ma a differenza del maltusiano Paul R Ehrlich, e di tanti nostri
contemporanei “profeti di sventura”, la preoccupazione di Borlaug non
gli impedì di affermare il suo ottimismo ”per il futuro dell'umanità,
perché in tutte le popolazioni biologiche ci sono dispositivi innati
per regolare la crescita della popolazione per la capacità di carico
dell'ambiente”.
Nel discorso a Stoccolma, Burlaug arrivò ad augurarsi che un giorno si
possa avverare la profezia di Isaia (35, 1 e seguenti): "Il deserto e
la terra arida si rallegreranno… Il luogo arido diventerà uno stagno e
la terra assetata sorgenti d'acqua".
La sua speranza era basata nel credere fermamente che “l'uomo è
potenzialmente un essere razionale [capace di] sviluppare e applicare
le competenze scientifiche e tecnologiche [per] il benessere del genere umano in tutto il mondo". Insomma, come si dice, l'uomo è la soluzione, non il problema.
Maurizio Morabito
...........
Commento con 2 proverbi: "Dare una botta al cerchio ed una alla botte..." oppure "Desiderare la botte piena e la moglie ubriaca..."
venerdì 9 ottobre 2009
"Donna, oggetto in vendita" - L'apparenza esteriore come "valore" nella femminilità superficiale - Analisi critica di Chiara Zamboni
Che credito ha la bellezza femminile ai tempi di Berlusconi?
Apparentemente molto alto: sembra si possa scambiare facilmente bellezza con potere, denaro, lavoro e la bellezza femminile é una moneta al rialzo rispetto ad altre monete sui mercati che contano di più. Si é verificato però un ribaltamento misogino che osservo a partire da me e che mi ha impressionato.
Guardando soprapensiero delle ragazze camminare per strada, alcune vestite e truccate stile modelle degli inserti femminili del "Corriere della sera" e di "Repubblica", accanto ad altre vestite in modo casuale, delle prime ho pensato: dai, come le escort. Identiche. E l'immaginazione é filata via veloce. Poi mi sono bloccata per l'attacco di stupidità che il pensiero fluttuante rivelava. Perché identiche alle escort sì, ma anche identiche a tante mie studentesse all'università e a tante giovani amiche, che amano vestirsi così.
Mi sono detta poi: il pensiero era sì stupido, ma rivelatore di quanto i
comportamenti della classe politica amplificati dai media, anche nella forma della critica, trasformino la percezione che abbiamo degli altri. Che lo si voglia o no, il modo di apparire della classe al potere, il suo modo di comportarsi, il linguaggio adoperato - e le donne e gli uomini che gli sono vicini - ha effetti profondi sull'immaginario e sulla percezione della realtà.
Mi sono anche resa conto che quella misoginia serpeggiante nei confronti delle ragazze disinvolte e impeccabilmente alla moda, dopo mesi di
notizie sulla querelle Berlusconi, non aveva toccato solo me ma anche altri. Soprattutto uomini.
Mi sono allora domandata quale sia la molla profonda che guida certe
studentesse, che incontro ogni giorno all'università, ad essere così
sapientemente truccate e vestite. Belle per una pratica sul proprio corpo
molto esercitata, pazientemente costruita sui modelli della moda,
interpretati in modo non banale. Mi sono detta che rispondere a questa
domanda poteva fare luce anche sul particolare tipo di bellezza, che é poi
un certo atteggiamento nei confronti del mondo, che certe ragazze esibiscono per avere in cambio denaro e lavoro nello scambio con gli uomini di potere.
La risposta che mi sono data é che sono accomunate da una coazione
all'essere perfette. Un perfezionismo per il quale non c'e' piu' la vecchia distinzione ormai antiquata: bella, ma stentata agli esami. Queste ragazze sono perfette sia nel modo di curare il loro corpo sia nel modo di preparare gli esami. Insomma, impeccabili in tutto. La loro linea d'ombra si disegna altrove: tra una solarità mostrata nella visibilità pubblica, che deve risultare perfetta, e una contrazione di sé e del proprio corpo, che in genere chiamiamo depressione, e che le porta ad essere distruttive di sé, degli altri, e delle relazioni, alla prima avvisaglia di cedimento.
Nell'ultimo film di Woody Allen, "Basta che funzioni", a mio parere
irrimediabilmente misogino, il protagonista sessantenne decide di divorziare dalla moglie architetta, bella, intelligente, raffinata. Il matrimonio non va male, ma non ha più una sua storia. Dopo qualche tempo da scapolo, entra nella sua casa e nella sua vita una ragazza giovane, carina, ingenua, che sembra non ragionare con la sua testa, ma con quella degli uomini che ama.
Le giovani donne perfezioniste, che conosco, assomigliano -potenzialmente-
alla moglie con lavoro, intelligenza, bellezza molto costruita. E' questo
genere di donna ad entrare in depressione, quando qualcosa crolla. Una delle battute del protagonista sulla moglie é: non avendo super-io ha dovuto costruire il suo io. Battuta significativa sotto molti punti di vista. Dopo anni di neoliberismo che ha invitato a puntare sul proprio io, a farsi manager di se stessi - e le donne sono effettivamente la novità più interessante nell'attuale mercato del lavoro - le donne hanno affinato le tecniche di perfezionamento dell'io in ogni aspetto che le riguardi: capacità a scuola e all'università, modellamento del proprio corpo,
dinamicità.
In genere ormai lo so: quando mi trovo di fronte una studentessa vestita e curata alla moda é quasi automaticamente anche molto preparata. Il fatto é che Allen ha ragione, oggi il super-io non é vincolante. Non c'é un simbolico che faccia ordine in modo complesso, e che venga fatto proprio in modo inconscio. Non a caso non circola molto il senso di colpa come riparazione di una qualche trasgressione.
La "fine" del patriarcato come sappiamo ha portato disordine sotto il cielo, oltre che vantaggi notevoli per le donne. Uno degli elementi del disordine - indice comunque di libertà - é che non ci sono più verità date, ma ogni verità va guadagnata ogni volta da capo. Ed un altro é che il simbolico dominante é estremamente povero, semplificato, rozzo.
Così per queste giovani donne la bellezza é una moneta circolante
scambiabile con molte cose. In genere vale sul mercato del lavoro, ma anche dell'amore e della sicurezza. Solo alcune vanno ad uno scambio diretto con il potere. Comunque per tutte quelle che hanno fatto della pratica di modellamento del corpo un punto di forza, la bellezza é un elemento tra gli altri di costruzione del proprio io. Di costruzione di un curriculum pubblico. E' il genere di ragazze - ne conosco alcune - che sono più esposte alla linea d'ombra della depressione, alla contrazione distruttiva di sé e degli altri, quando qualche crepa si presenta irrimediabile nel loro progetto di vita centrato sulla costruzione di un io perfetto.
Di fronte ad un simbolico dominante così povero e rozzo, quello che
possiamo fare é invitarle a trovare parole di verità riguardo alla loro
esperienza e al loro desiderio. Solo così il simbolico si può arricchire
di potenzialità, di modi d'essere, di stili di pensiero che in modo
molteplice siano alternativi a quello unidimensionale dato dal potere e
dall'industria della moda. Solo quando c'é un riconoscimento di sè
nell'immagine che lo specchio ci riflette e nello sguardo degli altri -
quando cioé c'é armonia tra il nostro corpo e il suo lato inconscio -
allora il rapporto con la moda e i modelli di bellezza risulta un gioco
affascinante. Altrimenti é alienazione.
Problema, va da sé, del tutto estraneo alla produzione industriale del settore.
Chiara Zamboni
(Da Il Manifesto 7.10.09)
Apparentemente molto alto: sembra si possa scambiare facilmente bellezza con potere, denaro, lavoro e la bellezza femminile é una moneta al rialzo rispetto ad altre monete sui mercati che contano di più. Si é verificato però un ribaltamento misogino che osservo a partire da me e che mi ha impressionato.
Guardando soprapensiero delle ragazze camminare per strada, alcune vestite e truccate stile modelle degli inserti femminili del "Corriere della sera" e di "Repubblica", accanto ad altre vestite in modo casuale, delle prime ho pensato: dai, come le escort. Identiche. E l'immaginazione é filata via veloce. Poi mi sono bloccata per l'attacco di stupidità che il pensiero fluttuante rivelava. Perché identiche alle escort sì, ma anche identiche a tante mie studentesse all'università e a tante giovani amiche, che amano vestirsi così.
Mi sono detta poi: il pensiero era sì stupido, ma rivelatore di quanto i
comportamenti della classe politica amplificati dai media, anche nella forma della critica, trasformino la percezione che abbiamo degli altri. Che lo si voglia o no, il modo di apparire della classe al potere, il suo modo di comportarsi, il linguaggio adoperato - e le donne e gli uomini che gli sono vicini - ha effetti profondi sull'immaginario e sulla percezione della realtà.
Mi sono anche resa conto che quella misoginia serpeggiante nei confronti delle ragazze disinvolte e impeccabilmente alla moda, dopo mesi di
notizie sulla querelle Berlusconi, non aveva toccato solo me ma anche altri. Soprattutto uomini.
Mi sono allora domandata quale sia la molla profonda che guida certe
studentesse, che incontro ogni giorno all'università, ad essere così
sapientemente truccate e vestite. Belle per una pratica sul proprio corpo
molto esercitata, pazientemente costruita sui modelli della moda,
interpretati in modo non banale. Mi sono detta che rispondere a questa
domanda poteva fare luce anche sul particolare tipo di bellezza, che é poi
un certo atteggiamento nei confronti del mondo, che certe ragazze esibiscono per avere in cambio denaro e lavoro nello scambio con gli uomini di potere.
La risposta che mi sono data é che sono accomunate da una coazione
all'essere perfette. Un perfezionismo per il quale non c'e' piu' la vecchia distinzione ormai antiquata: bella, ma stentata agli esami. Queste ragazze sono perfette sia nel modo di curare il loro corpo sia nel modo di preparare gli esami. Insomma, impeccabili in tutto. La loro linea d'ombra si disegna altrove: tra una solarità mostrata nella visibilità pubblica, che deve risultare perfetta, e una contrazione di sé e del proprio corpo, che in genere chiamiamo depressione, e che le porta ad essere distruttive di sé, degli altri, e delle relazioni, alla prima avvisaglia di cedimento.
Nell'ultimo film di Woody Allen, "Basta che funzioni", a mio parere
irrimediabilmente misogino, il protagonista sessantenne decide di divorziare dalla moglie architetta, bella, intelligente, raffinata. Il matrimonio non va male, ma non ha più una sua storia. Dopo qualche tempo da scapolo, entra nella sua casa e nella sua vita una ragazza giovane, carina, ingenua, che sembra non ragionare con la sua testa, ma con quella degli uomini che ama.
Le giovani donne perfezioniste, che conosco, assomigliano -potenzialmente-
alla moglie con lavoro, intelligenza, bellezza molto costruita. E' questo
genere di donna ad entrare in depressione, quando qualcosa crolla. Una delle battute del protagonista sulla moglie é: non avendo super-io ha dovuto costruire il suo io. Battuta significativa sotto molti punti di vista. Dopo anni di neoliberismo che ha invitato a puntare sul proprio io, a farsi manager di se stessi - e le donne sono effettivamente la novità più interessante nell'attuale mercato del lavoro - le donne hanno affinato le tecniche di perfezionamento dell'io in ogni aspetto che le riguardi: capacità a scuola e all'università, modellamento del proprio corpo,
dinamicità.
In genere ormai lo so: quando mi trovo di fronte una studentessa vestita e curata alla moda é quasi automaticamente anche molto preparata. Il fatto é che Allen ha ragione, oggi il super-io non é vincolante. Non c'é un simbolico che faccia ordine in modo complesso, e che venga fatto proprio in modo inconscio. Non a caso non circola molto il senso di colpa come riparazione di una qualche trasgressione.
La "fine" del patriarcato come sappiamo ha portato disordine sotto il cielo, oltre che vantaggi notevoli per le donne. Uno degli elementi del disordine - indice comunque di libertà - é che non ci sono più verità date, ma ogni verità va guadagnata ogni volta da capo. Ed un altro é che il simbolico dominante é estremamente povero, semplificato, rozzo.
Così per queste giovani donne la bellezza é una moneta circolante
scambiabile con molte cose. In genere vale sul mercato del lavoro, ma anche dell'amore e della sicurezza. Solo alcune vanno ad uno scambio diretto con il potere. Comunque per tutte quelle che hanno fatto della pratica di modellamento del corpo un punto di forza, la bellezza é un elemento tra gli altri di costruzione del proprio io. Di costruzione di un curriculum pubblico. E' il genere di ragazze - ne conosco alcune - che sono più esposte alla linea d'ombra della depressione, alla contrazione distruttiva di sé e degli altri, quando qualche crepa si presenta irrimediabile nel loro progetto di vita centrato sulla costruzione di un io perfetto.
Di fronte ad un simbolico dominante così povero e rozzo, quello che
possiamo fare é invitarle a trovare parole di verità riguardo alla loro
esperienza e al loro desiderio. Solo così il simbolico si può arricchire
di potenzialità, di modi d'essere, di stili di pensiero che in modo
molteplice siano alternativi a quello unidimensionale dato dal potere e
dall'industria della moda. Solo quando c'é un riconoscimento di sè
nell'immagine che lo specchio ci riflette e nello sguardo degli altri -
quando cioé c'é armonia tra il nostro corpo e il suo lato inconscio -
allora il rapporto con la moda e i modelli di bellezza risulta un gioco
affascinante. Altrimenti é alienazione.
Problema, va da sé, del tutto estraneo alla produzione industriale del settore.
Chiara Zamboni
(Da Il Manifesto 7.10.09)
giovedì 8 ottobre 2009
A proposito di proteine dagli alberi: “Frutti in guscio che contengono tutto il necessario alla vita” - L’esempio afghano di Marinella Correggia
Frutteto afghano
Guerra. Siccità. Fame. Cambiamenti climatici. Una corona di tragedie cinge lo strategico Afghanistan: la guerra da decenni impedisce di migliorare i sistemi di irrigazione e distribuzione idrica, aggravando l'effetto della siccità, aumentata anche a causa del caos climatico mondiale che metterà alla prova i ghiacciai da cui ha origine l'acqua in questo paese dalle scarse piogge, dove meno piove e più aumenta la penuria alimentare e il costo degli alimenti. In certi villaggi mangiano il fieno. Eppure non è farneticante immaginare buona parte dell'Afghanistan rigogliosa di frutteti, una successione di alberi longevi e portatori di cibi fra i più nutrienti e adatti al futuro: la vitaminica frutta essiccata, la proteica frutta in guscio.
C'era una volta e in buona parte c'è ancora ma fino a quando?, fra le province orientali di Herat e Baghdis e al confine con il Turkmenistan, una stupefacente foresta di pistacchi su terre statali. Ce la fa sognare Naser Jami, di Herat, partecipante a Terra madre: «Ben 90.000 ettari di soli alberi di pistacchi, e ce ne sono 300.000, di ettari, se si considera tutto il nostro paese. L'albero che lo produce è adatto a climi secchi, non ha bisogno di nulla. Il pistacchio è raccolto da oltre 500 anni, è afghano di origine. Oltre a nutrire a livello locale, potrebbe dare un buon reddito anche con l'export a chi raccoglie ma...molte piante diventano legna da ardere vista la penuria energetica, e poi nella raccolta sono coinvolti caporali e ingiustizie. Ma di recente sono nate due cooperative di raccoglitori; dovrebbero essere sostenute». La foresta di pistacchi sopravviverà alla guerra?
Heratr è il paradiso dell'uvetta più buona del mondo.
Fino alla fine degli anni 70 l'abjosh era il principale prodotto agricolo del paese e con le sue 120 varietà copriva il 60 per cento del mercato mondiale. Particolarissima la tecnica di coltivazione - in profonde trincee - adatta alle condizioni pedoclimatiche; così come le bellissime 'case' (kishmish) per essiccare il prodotto. Viene in mente l'Iraq, primo produttore mondiale di datteri fino al 1990. E adesso? «Adesso», dice Naser, figlio di un anziano produttore e referente del presidio Slow Food dell'abjosh «esportiamo ancora verso India (che poi trasforma, confeziona e secondo me rivende all'estero sotto altro nome), Russia, Iran. Ma temo che da qui a due anni, se non si sviluppano tecniche di trasformazione che rispondano alle richieste delle certificazioni internazionali, questo mercato si chiuderà». Il commercio equo potrebbe avere un ruolo, come ce l'ha il Presidio di Slow Food che lavora con l'università di Herat e il Progetto internazionale per la frutticoltura Phdp di Kabul.
Il clima delle regioni centrali del paese è molto adatto all'albero di albicocco. Altra ex eccellenza afghana le albicocche fresche ed essiccate al sole con varie tecniche. Importanti nell'autoconsumo interno e locale, ricche come sono di vitamine A e C, e ferro, e fosforo e magnesio. Anche il mercato interno è consolidato, e continuano le esportazioni verso India e Pakistan soprattutto. Hedayatullah, produttore e anch'egli collaboratore del progetto Phdp, spiega però che «si potrebbero coltivare più superfici e con migliori rese, ma la siccità colpisce duramente, così come l'assenza di sistemi di irrigazione.
Marinella Correggia
Guerra. Siccità. Fame. Cambiamenti climatici. Una corona di tragedie cinge lo strategico Afghanistan: la guerra da decenni impedisce di migliorare i sistemi di irrigazione e distribuzione idrica, aggravando l'effetto della siccità, aumentata anche a causa del caos climatico mondiale che metterà alla prova i ghiacciai da cui ha origine l'acqua in questo paese dalle scarse piogge, dove meno piove e più aumenta la penuria alimentare e il costo degli alimenti. In certi villaggi mangiano il fieno. Eppure non è farneticante immaginare buona parte dell'Afghanistan rigogliosa di frutteti, una successione di alberi longevi e portatori di cibi fra i più nutrienti e adatti al futuro: la vitaminica frutta essiccata, la proteica frutta in guscio.
C'era una volta e in buona parte c'è ancora ma fino a quando?, fra le province orientali di Herat e Baghdis e al confine con il Turkmenistan, una stupefacente foresta di pistacchi su terre statali. Ce la fa sognare Naser Jami, di Herat, partecipante a Terra madre: «Ben 90.000 ettari di soli alberi di pistacchi, e ce ne sono 300.000, di ettari, se si considera tutto il nostro paese. L'albero che lo produce è adatto a climi secchi, non ha bisogno di nulla. Il pistacchio è raccolto da oltre 500 anni, è afghano di origine. Oltre a nutrire a livello locale, potrebbe dare un buon reddito anche con l'export a chi raccoglie ma...molte piante diventano legna da ardere vista la penuria energetica, e poi nella raccolta sono coinvolti caporali e ingiustizie. Ma di recente sono nate due cooperative di raccoglitori; dovrebbero essere sostenute». La foresta di pistacchi sopravviverà alla guerra?
Heratr è il paradiso dell'uvetta più buona del mondo.
Fino alla fine degli anni 70 l'abjosh era il principale prodotto agricolo del paese e con le sue 120 varietà copriva il 60 per cento del mercato mondiale. Particolarissima la tecnica di coltivazione - in profonde trincee - adatta alle condizioni pedoclimatiche; così come le bellissime 'case' (kishmish) per essiccare il prodotto. Viene in mente l'Iraq, primo produttore mondiale di datteri fino al 1990. E adesso? «Adesso», dice Naser, figlio di un anziano produttore e referente del presidio Slow Food dell'abjosh «esportiamo ancora verso India (che poi trasforma, confeziona e secondo me rivende all'estero sotto altro nome), Russia, Iran. Ma temo che da qui a due anni, se non si sviluppano tecniche di trasformazione che rispondano alle richieste delle certificazioni internazionali, questo mercato si chiuderà». Il commercio equo potrebbe avere un ruolo, come ce l'ha il Presidio di Slow Food che lavora con l'università di Herat e il Progetto internazionale per la frutticoltura Phdp di Kabul.
Il clima delle regioni centrali del paese è molto adatto all'albero di albicocco. Altra ex eccellenza afghana le albicocche fresche ed essiccate al sole con varie tecniche. Importanti nell'autoconsumo interno e locale, ricche come sono di vitamine A e C, e ferro, e fosforo e magnesio. Anche il mercato interno è consolidato, e continuano le esportazioni verso India e Pakistan soprattutto. Hedayatullah, produttore e anch'egli collaboratore del progetto Phdp, spiega però che «si potrebbero coltivare più superfici e con migliori rese, ma la siccità colpisce duramente, così come l'assenza di sistemi di irrigazione.
Marinella Correggia
Etichette:
Afghanistan,
India e Pakistan,
Kabul,
pistacchio,
proteine dagli alberi
mercoledì 7 ottobre 2009
Luca Bellincioni: “Progetto di sviluppo economico della Sabina reatina e romana in chiave bioregionale ed ecologica”
Premessa: mi scrive Luca Bellincioni invitandomi ad un prossimo convegno, previsto a Magliano Sabina, per parlare di un progetto di sviluppo culturale ed economico della Sabina. Ritengo l’argomento da lui proposto oltremodo interessante ed utile alla causa bioregionale, andando in ciò incontro alla proposta fatta dall’avv. Gianfranco Paris sulla riaggregazione della Provincia Sabina, che potete leggere in URL (http://www.google.com/search?sourceid=gmail&q=proposta%20bioregionale%20per%20la%20sabina%20di%20Gianfranco%20Paris%202009).
Paolo D'Arpini
Introduzione: finalità e caratteristiche generali:
La Sabina ha conservato un paesaggio collinare di rara bellezza, fra i più suggestivi e caratteristici del Centro Italia: il verde intenso dei boschi che avvolgono i monti dalle sagome arrotondate, i piccoli vigneti, i colori cangianti dei pascoli e dei campi coltivati, i vasti e magnifici uliveti che rivestono i poggi, gli innumerevoli borghi arroccati formano insieme un importante esempio di "paesaggio medievale", di notevole valore estetico e tutt'oggi miracolosamente salvo da pesanti fenomeni di deterioramento di tipo para-metropolitano, nonostante la vicinanza con Roma. Straordinaria inoltre la produzione agricola locale, che dà vista ad un olio extravergine d’oliva fra i più pregiati al mondo, conosciuto sin dall’epoca romana ed insignito – primo fra tutti gli oli italiani – del marchio DOP (denominazione d’origine protetta). Tale produzione (che comprende differenti qualità come la Raja, la Carboncella, il Frantoio, il Leccino, il Pendolino) è favorita da particolari condizioni geologiche e climatiche, le stesse che permettono altre notevoli coltivazioni locali, come ad esempio i frutteti, che potrebbero nel tempo ottenere simili riconoscimenti.
L’immenso patrimonio agricolo, paesaggistico e culturale della Sabina, tuttavia, non gode attualmente né di un’adeguata tutela né – tanto meno – di un’adeguata politica di valorizzazione e promozione sul mercato agroalimentare e turistico nazionale ed internazionale. Le amministrazioni locali hanno finora agito al di fuori di un progetto condiviso e complessivo, proponendo ognuna soluzioni di sviluppo diverse ed episodiche, nel complesso ancora lontane dagli standard qualitativi offerti dalle aree più sviluppate in Italia in fatto di turismo culturale, ambientale ed enogastronomico.
Tali lacune hanno indotto l’Autore a concepire l’idea di un Parco Agricolo e Culturale della Sabina, finalizzato alla salvaguardia e allo sviluppo della società rurale sabina. Il Parco doterebbe i Comuni di una pianificazione dello sviluppo economico e urbanistico, evitando così ogni ulteriore consumo di terreni agricoli e ponendo le basi per un utilizzo più equilibrato e razionale del territorio.
Va ribadito infatti come la mancanza di tutela nella Sabina sia oggi un grave freno ad uno sviluppo turistico di un certo rilievo, e recenti progetti ad altissimo impatto ambientale, come il Polo Logistico di Passo Corese, rischiano di stravolgere la vocazione naturale di questo territorio, che è evidentemente agricola e turistica.
Una seria politica di tutela attira investimenti di qualità nel territorio ed è presupposto essenziale per la sua valorizzazione e quindi per la sua promozione. Sul trinomio tutela-valorizzazione-promozione, infatti, si gioca il futuro della Sabina, ed un progetto come il Parco Agricolo e Culturale della Sabina può esserne la sintesi più efficace.
Un parco vastissimo, che comprenderebbe tutte le aree rurali della Sabina Laziale (Sabina Tiberina, Farfense, Lucretile, Turanense e Reatina) e di quella Umbra (i territori cioè di Stroncone, Otricoli, Calvi e in parte di Narni), per dar vita a un grandioso progetto di valorizzazione e promozione dell’intera sub-regione sabina e delle sue straordinarie peculiarità paesaggistiche e per sviluppare un turismo culturale, ambientale ed enogastronomico ai livelli delle più rinomate zone turistiche dell’Umbria, della Toscana, dell'Emilia-Romagna, del Piemonte e di altre realtà. L’enorme diffusione di agriturismi negli ultimi tempi rappresenta fra l’altro un segnale di fondamentale importanza per la Sabina, che pian piano sta iniziando a proporsi come una nuova meta del turismo enogastronomico e culturale, grazie anche all’eccezionale posizione strategica e alla comodità dei collegamenti viari. Un “paradiso rurale” a due passi dalla Città Eterna, quindi, dove il paesaggio è sempre verde, dove i tramonti sono irripetibili e la primavera incomparabile, dove l’atmosfera paesana è rimasta quella di sessant’anni fa.
Un parco tuttavia differente dalle tradizionali aree protette nazionali e regionali con i loro stretti (e spesso discutibili) vincoli che rischiano di rendere impopolari le scelte volte alla salvaguardia del territorio e che comunque risultano inadatti ad un’area prettamente rurale come quella del Parco da noi proposto. Il Parco Agricolo e Culturale non prevede infatti alcuna limitazione delle attività tradizionali, fra cui la caccia e la pesca, che potranno continuare a svolgersi nei limiti già previsti dalla Legge. Anzi, come suggerisce l’aggettivo “agricolo”, una delle finalità principali del Parco sarà proprio quella di difendere le attività tradizionali, agro-silvo-pastorali e venatorie, che d’altro canto dalla migliore salvaguardia del territorio nei confronti della speculazione e dell’abusivismo edilizi non potranno che trarre giovamento.
Concludendo, confidiamo nell’interessamento al progetto del Parco da parte di tutte le associazioni ambientaliste e culturali della zona nonché delle amministrazioni locali, nella consapevolezza della necessità di iniziare a proporre qualcosa di innovativo e costruttivo sul territorio sabino. Di seguito forniamo pertanto un’analisi della variegata realtà sabina rispetto alle sue potenzialità turistiche e agli interventi auspicabili nel contesto del Parco Agricolo e Culturale.
1. Zonizzazione del territorio del Parco
Il Parco Agricolo e Culturale della Sabina dovrà comprendere le aree agricole di pregio paesaggistico e ambientale dell'intera sub-regione sabina. Un "parco diffuso" quindi, di carattere diverso da quello dei normali parchi naturali, e più legato alla tutela, valorizzazione e promozione delle specificità culturali del territorio più che di quelle strettamente naturalistiche; senza nulla togliere ovviamente alla possibilità di realizzazione un Parco Regionale dei Monti Sabini, o almeno di una Riserva Naturale dei Monti Tancia e Pizzuto. Le aree interessate dal Parco sono le seguenti:
1-La Sabina Tiberina (Comuni: Poggio Mirteto, Poggio Catino, Gavignano, Magliano Sabina, Collevecchio, Roccantica, Casperia, Otricoli, Calvi dell'Umbria, ecc.)
2-La Sabina Farfense (Comuni: Poggio Mirteto, Poggio Nativo, Fara Sabina, Montepoli in Sabina, Toffia, Mompeo, Salisano, Castelnuovo di Farfa, ecc.)
3-La Sabina Reatina (Comuni: Contigliano, Greccio, ecc.)
4-La Sabina Turanense (Comuni: Collalto Sabino, Castel di Tora, Colle di Tora, Paganico, Ascrea, Rocca Sinibalda, ecc.)
5-La Sabina Lucretile e Romana (Comuni: Nerola, Scandriglia, Palombara Sabina, Orvinio, Moricone, Percile, Licenza, ecc.)
6-La Sabina interna (Comuni: Belmonte Sabino, Monteleone Sabino, Montenero Sabino, Torricella in Sabina, Poggio San Lorenzo, Casaprota, ecc.)
Le sei aree individuate corrispondono ad altrettanti ambiti omogei dal punto di vista geografico, paesaggistico e culturale. Spicca la presenza di tre Comuni amministrativamente umbri, quali cioè Calvi, Stroncone ed Otricoli, che dà al Parco una dimensione interregionale e ha lo scopo di riunire sotto un progetto unitario anche il pregiato territorio della "Sabina Umbra", divisa oggi dal resto della Sabina soltanto da un confine immaginario ma ad essa in realtà strettamente legata per motivi geografici (i Monti Sabini e la Valle del Tevere) e turistici (con gli itinerari legati alla Via Flaminia e alla SP 313). Ai tre Comuni citati potrebbe inoltre essere aggiunta parte del territorio comunale di Narni, che - com'è noto - comprende alcune frazioni storicamente "sabine".
2. Analisi degli ambiti paesaggistici
Essendo il territorio sabino assai vasto e variegato sotto il profilo delle morfologie, delle colture agrarie, degli insediamenti e della storia urbanistica, occorre studiare le diverse situazioni locali per comprendere gli interventi specifici da avviare tramite il Parco Agricolo e Culturale. Qui di seguito, pertanto, offriamo una breve pamoramica sulle diverse realtà della Sabina, con una particolare attenzione alle condizioni del paesaggio e allo stato di sviluppo turistico.
2a- La Sabina Tiberina:
La Sabina Tiberina è una delle aree più caratteristiche del paesaggio agrario sabino, e forse la più rappresentativa. Nonostante una recente tendenza all'insediamento sparso, in alcuni punti già notevole (e caratterizzato non solo da case sparse ma dalla formazione di veri e propri villaggi "di strada" e "di cresta"), qui è ancora ravvisabile il paesaggio agrario "medievale" che si distingue per l'alternarsi di colture arboree e seminative e del pascolo incolto, dando forma a quel paesaggio "a mosaico", apprezzabile soprattutto da lontano o dall'alto (il Monte Pizzuto costituisce un punto di vista preferenziale), che avvicina questa porzion della Sabina al classico paesaggio agreste del Centro Italia, in particolare a quello umbro, di cui costituisce del resto una sorta di prolungamento meridionale. A ciò si aggiungono i numerosi centri storici (per lo più di piccole dimensioni), che - fatta qualche eccezione, in primis Poggio Mirteto - appaiono quasi sempre perfettamente integrati nel paesaggio agreste, donando scorci magnifici e sorprendenti (Torri in Sabina, Rocchette, Roccantica, Casperia, Catino, Fianello, Montasola, Cottanello, Stimigliano, Poggio Sommavilla, Vacone, ecc.). Quasi assenti inoltre gli insediamenti produttivi (per lo più piccoli scali vallivi di natura artigianale, come quelli di Poggio Mirteto, Magliano Sabina, Gavignano Sabino, ecc.), secondo una peculiarità propria della Sabina, che oggi si presenza - per sua fortuna - come un'area praticamente deindustrializzata.
La mancata industrializzazione del territorio - che è d'altro canto naturalmente una causa dell'impoverimento e dello spopolamento di queste plaghe - non è stata mai colta come una risorsa dalle amministrazioni locali, che quasi mai dal Dopoguerra ad oggi hanno avviato progetti di valorizzazione del paesaggio agrario, lasciando anzi aggredire da un'anarchia edilizia nelle forme e nelle ubicazioni delle nuove costruzioni, rurali e non. Il risultato è un'eccessiva varietà delle costruzioni nel paesaggio agreste, che spesso tende a banalizzarlo. Tuttavia tale promiscuità edilizia tende a diminuire con l'allontanarsi da Roma, in particolare da Casperia in poi, assieme allo stesso insediamento sparso, che comunque - occorre sottolinearlo - si concentra soprattutto nella fascia pedemontana lungo la 313 o nelle sue vicinanze, lasciando invece integre le innumerevoli splendide vallette che dalle quote più alte della fascia collinare si susseguono fino al solco del Tevere. Tale ubicazione lascia pensare come l'urbanistica sabina dal Dopoguerra ad oggi abbia cercato di coniugare la duplice esigenza di mantenere l'agricoltura nei terreni più fertili (quelli vallivi) e di fornire nuove abitazioni (nei pressi delle strade) agli abitanti che facevano da pendolari per Roma. Quel che è però mancato è stato un insieme di direttive su come costruire i nuovi edifici in ambito rurale, sebbene i danni apportati al paesaggio siano ancora tutto sommato rimediabili ed anzi oggi si assista ad una spontanea tendenza ad un’edilizia di maggiore qualità.
Ad ogni modo, dopo decenni di spopolamento ed abbandono, la Sabina Tiberina negli ultimi tempi ha subito una sorta di piccola rinascita turistica: accanto ai sempre più numerosi visitatori, molte persone lungimiranti, provenienti da altre parti d'Italia e spesso anche dall'estero, hanno iniziato ad investire in quest'area della Provincia di Rieti, sia per i prezzi ancora relativamente bassi degli immobili sia per la consapevolezza del potenziale straordinario di una zona ancora genuina, fuori dal turismo di massa e a meno di un'ora da Roma; in una delle zone più belle del comprensorio, quella fra Casperia, Torri in Sabina e Roccantica, ormai si parla di addirittura "Sabinashire", riportando alla mente lo sviluppo che - ormai molti decenni addietro - ebbe il Chianti, in Toscana, divenuto una meta classica del turismo culturale a livello internazionale e soprattutto di matrice inglese.
La Sabina Tiberina, dunque, oggi si trova in una situazione molto particolare e contrastante: da un lato un rinnovato interesse ed un enorme, evidente potenziale di sviluppo turistico, dall'altro le solite spinte al degrado urbanistico derivanti dalla vicinanza con Roma e dalla richiesta (esogena ed endogena) di prime case ben collegate o di singole ville di campagna. Un'immediata riposta di tutela come il Parco Agricolo e Culturale potrebbe invece sviluppare l'interesse turistico per la Sabina Tiberina, incanalando la vicinanza di Roma in una direzione giusta e costruttiva (trasformandola cioè da problema a risorsa) e allo stesso tempo tutelando il territorio e ponendo i presupposti per la creazione - in pochi anni - di uno dei distretti del turismo culturale ambientale ed enogastronomico più importanti del Centro Italia. Notevole, del resto, è già l'offerta in fatto di agriturismi, b&b e case-vacanza, che in questa zona raggiungono livelli di qualità molto alti rispetto al resto della Sabina, avvicinandosi spesso al livello delle medesime strutture turistiche rurali umbre e toscane.
2b- La Sabina Farfense:
Imperniata sul corso del Fiume Farfa, la Sabina Farfense ospita la celebre ed antichissima Abbazia di Farfa, custode della cultura occidentale nei secoli difficili dell'Alto Medioevo. Tale presenza costituisce già di per sé un richiamo di un certo spessore e ha contribuito a sviluppare turisticamente - seppure in maniera modesta - alcuni centri abitati limitrofi (Castelnuovo di Farfa, Fara in Sabina, Toffia, Montopoli in Sabina, Bocchignano, ecc.), che spiccano fra l'altro per un'apprezzabile (e nel caso di Bocchignano eccezionale) integrità urbanistica. Il paesaggio agrario poi si mostra fra i più caratteristici della Sabina: simile a quello della contigua Sabina Tiberina, se ne distingue però per la maggiore presenza di frutteti, che oltre a variare notevolmente il paesaggio, lo rendono magnifico nel periodo delle fioriture (aprile). L'avvenuta realizzazione di una rete di sentieri nella Valle del Farfa, con tanto di segnaletica e cartellonistica didattica, permette al visitatore - pur parzialmente - di apprezzare la bellezza del corso del Farfa. Da sottolineare inoltre un discreto patrimonio di edilizia rurale storica (che comprende alcuni mulini in rovina), che andrebbe salvaguardato e valorizzato meglio. Un'altra presenza importante è il cosiddetto Ulivone di Canneto, albero millenario che da solo costituirebbe un'attrattiva turistica di straordinario valore, ma tuttora scarsamente valorizzata. Splendido e ancora poco valorizzato è infine il borgo di Frasso Sabino, in cui fra l'altro sono in corso dei lavori per un parcheggio che si auspica non sconvolga l'estetica delicatissima del luogo.
Il pregio storico e paesaggistico della zona non ha mai indotto le amministrazioni locali ad un'attenta tutela del territorio. Notiamo subito infatti un acuirsi di quell'insediamento sparso che già caratterizza parzialmente la Sabina Tiberina. L'urbanizzazione praticamente aumenta in maniera proporzionale all'avvicinarsi a Roma, raggiungendo un risultato notevole lungo la SS313 da Poggio Mirteto a Passo Corese, da Frasso Sabino ad Osteria Nuova e da Fara Sabina al bivio per Borgo Quinzio sulla Salaria. In più punti, soprattutto presso Passo Corese, è da rilevare la presenza di svariati manufatti abusivi, alcuni dei quali addirittura abbandonati allo stato di scheletro. Detto ciò, si immagini il destino di quest'area nel caso venisse effettivamente realizzato il Polo Logistico di Passo Corese, sia dal punto di vista del traffico sua dal punto di vista del potenziale sviluppo urbanistico.
La Sabina Farfense si pone dunque come l'area più indifesa e delicata dell'intera Sabina, e anche come una delle più preziose per il connubio fra ambiente agreste e testimonianze del passato (l'abbazia, i borghi, i casolari, ecc.), cui va aggiunta la produzione d'olio extravergine d'oliva dop (la zona annovera alcune fra le aziende più importanti) la presenza stessa di un fiume di grande valore naturalistico come il Farfa: quest'ultimo andrebbe tutelato come riserva naturale, da inserire nel Parco Agricolo e Culturale, potenziandone fra l'altro la sentieristica.
2c- La Sabina Reatina:
Si tratta dell'area forse più "turistica" dell'intera sabina, poiché favorita dalla collocazione all'interno del comprensorio della Valle Santa di Rieti, recentemente interessato da notevole sviluppo turistico, anche grazie al progetto del Cammino di San Francesco, che unisce ad anello i quattro importanti santuari francescani. Dominata da vari santuari e conventi, fra i quali naturalmente quello di San Francesco a Greccio, la zona è suddivisa in appena tre Comuni, Contigliano e Greccio e la stessa Rieti, in cui ricade parte del territorio montano e pianeggiante del comprensorio dei Monti Sabini rivolto alla conca. Nell'ambito di quest'ultima, però, rimane fuori dalla perimetrazione del Parco tutto il versante dei Monti Reatini, con Poggio Bustone, Cantalice, ecc., intendendo il Parco Agricolo e Culturale comprendere esclusivamente le aree della Sabina "classica", essendo fra l'altro l'area del Reatino vero e proprio più legata al comprensorio del Terminillo che al resto della Sabina.
Il paesaggio agrario è fra i più integri e pregevoli non solo della Sabina ma dell'intero Lazio, e la Piana Reatina, dal canto suo, è considerata una delle più belle vallate montane dell'Italia appenninica. L'ambiente rurale e gli insediamenti umani appaiono infatti quasi perfettamente integrati, con la straordinaria presenza di edifici rurali d'epoca o di veri e propri monumenti di interesse storico-architettonico sparsi nella campagna (è il caso in primis della restaurata Abbazia di San Pastore). Fondamentale - ai fini della tutela del territorio - la sussistenza di vastissime tenute d'origine nobiliare e altresì di colture specializzate e di pregio (granicoltura), che fanno da cornice alla bella Riserva Naturale dei Laghi Lungo e Ripasottile, e che pure dovranno ricadere nel Parco Agricolo e Culturale. Presenti in zona numerose strutture agrituristiche di alta qualità (spesso circondate dalle suddette grandi tenute), che fanno di questo comprensorio uno dei meglio attrezzati e dei più accoglienti della Sabina in fatto di turismo culturale.
Lo sviluppo urbanistico sia di Greccio sia di Contigliano - entrambi borghi di rara suggestione e mirabilmente ristrutturati e mantenuti - appare ancora piuttosto ordinato, nonostante alcuni episodi di abusivismo e di speculazione edilizia nei pressi di quest'ultimo paese. Purtroppo, negli ultimi tempi sono stati rilanciati folli progetti di insediamenti produttivi e impianti eolici, a riprova di come nemmeno lo sviluppo turistico - se non accompagnato ad un'adeguata tutela formale ed effettiva tramite un'area protetta - non riesca a scongiurare interventi speculativi sul territorio.
2d- La Sabina Turanense:
E' una delle aree più marginali della Sabina e dell'intera Provincia di Rieti. Pur essendo un comprensorio molto vasto, che va dal confine con l'Abruzzo (Piana di Carsoli) sino alle propaggini dei Monti Sabini all'altezza di Rocca Sinibalda, l'intera area - imperniata sulla Valle del Turano e compresa fra i gruppi montuosi dei Lucretili, dei Carseolani e dei Sabini - presenta un'identità culturale tutta propria con ben definiti caratteri paesaggistici. Interessante anche il rapporto identitario e culturale con il vicino Cicolano, con il quale ha condiviso il destino della trasfomazione di buona parte dei terreni vallivi in lago artificiale e conseguentemente il fenomeno dello spopolamento in massa prima e del turismo poi. Ma notevole rimane - agli occhi dello storico e dell'antropologo - la differenza fra il Cicolano, area tradizionalmente non sabina e pre-aquilana, e la Sabina Turanense, territorio ove i segni dell'incastellamento del resto della Sabina medievale sono evidentissimi.
Una precisa identità - quella della Sabina Turanense - che si scopre già in auto provenendo da Carsoli e da Roma: non appena varcato il confine regionale (e provinciale), i capannoni e le ville moderne lasciano d'improvviso il posto ad un paesaggio antico, ove i segni dell'uomo si manifestano nei rari casali in pietra, adornati da pini e cipressi. Si capisce che ormai si è in Sabina, insomma, e la situazione non cambia percorrendo tutta la strada che risale la vallata del suggestivo Lago del Turano e si spinge sino allo splendido borgo di Rocca Sinibalda, arroccato nel verde e dominato dalla mole dell'imponente Castello. Anche qui praticamente assenti gli insediamenti produttivi, che danno l'impressione al visitatore di un paesaggio incontaminato e rimasto immutato nei secoli.
Una zona di straordinario pregio, quindi, ricca di centri storici stupendi e di paesaggi incantevoli, che da sola meriterebbe la tutela come parco naturale regionale (già esiste comunque la Riserva Naturale dei Monti Navegna e Cervia che tutela una porzione di territorio montano) e che invece è ancora oggi piuttosto negletta al turismo nazionale ed internazionale.
Ma i problemi di salvaguardia non mancano nemmeno qui. Mentre l'insediamento sparso rimane ben poca cosa, la speculazione edilizia ha provocato danni ingenti soprattutto a Castel di Tora, dove una recente, piccola ma volgare lottizzazione ai piedi del bel borgo medievale ha alterato profondamente il rapporto fra la campagna e l'abitato, oppure a monte di Stipes, ove un'altra (stavolta immensa) lottizzazione ha massacrato il fianco di un'intera montagna e il paesaggio di chi guardi il lago dal Monte Cervia. Situazioni simili sono in progetto in molti altri centri del comprensorio, le cui amministrazioni non paiono avere i mezzi (né la volontà) per respingere tali aggressioni. Nell'ambito del Parco Agricolo e Culturale, una delle finalità principali sarà la salvaguardia e la valorizzazione dell'immenso patrimonio paesaggistico della Sabina Turanense, con progetti di promozione del territorio e di intensificazione della sentieristica, in una delle zone della Sabina più vocate allo sviluppo del turismo escursionistico.
2e- La Sabina Romana e Lucretile:
E' questa una delle zone più vaste e problematiche della Sabina, con i suoi contrasti e le sue spiccate diversità. Sebbene sia costituita da un'area vasta ma non vastissima, al suo interno sono ravvisabili situazioni quasi opposte sotto molti aspetti. La Sabina Lucretile - quasi completamente compresa nel Parco Regionale dei Monti Lucretili - può infatti suddividersi in altre tre piccole aree: la prima è quella più vicina a Roma e facente capo grosso modo al comune di Palombara Sabina con le sue frazioni (contemplando ovviamente Sant'Angelo Romano, Marcellina e la stessa Monterotondo nella Campagna Romana più che nella Sabina vera e propria); la seconda è un'ampia zona di transizione, costituita dal territorio di Monteflavio, Moricone, Montelibretti, Montorio Romano e Nerola; una terza zona ricadente nei Comuni di Scandriglia, Poggio Moiano e Orvinio, tutti in Provincia di Rieti e - più a sud - di Licenza, Percile e Roccagiovine, in Provincia di Roma.
Iniziamo dal paesaggio, che in generale (fatta eccezione per Orvinio come vedremo) risulta eccezionalmente caratterizzato dalla coltura dell'olivo, predominante su tutte le altre colture ma che, ciò nonostante, lascia un notevole spazio alla frutticoltura; ben più vario e complesso è il discorso sulla qualità urbanistica, che varia molto da Comune a Comune: intorno a Palombara Sabina è da rilevare il maggiore insediamento sparso, che in alcuni punti ha seriamente alterato il paesaggio agrario, a causa non solo dell'edificazione in sé ma dalla realizzazione di manufatti (spesso abusivi e condonati) assolutamente incompatibili con esso (ville moderne a fini residenziali) e talvolta addirittura nei pressi di emergenze storiche ed architettoniche importantissime (come ad esempio le brutte ville che ormai quasi circondano l'Abbazia di San Giovanni in Argentella); il degrado urbanistico continua inoltre ad interessare lo stesso abitato di Palombara, mentre la vicenda dell'antenne già installate (e da installare) sul Monte Gennaro pare fortunatamente inoltrarsi su una strada positiva grazie all'interessamento da parte del FAI. Migliora decisamente la situazione negli altri Comuni del versante romano dei Lucretili, sebbene in più di un caso occorra sottolineare episodi di abusivismo edilizio e speculazione (in particolare ai piedi di Monteflavio, Moricone e Montelibretti) risalenti all'ultimo scellerato condono; un vero scempio invece appare la collocazione di un’area di esercitazione dell’Esercito e dei Vigili del Fuoco nel Comune di Montelibretti, all’interno di una zona rurale.
Venendo poi all'area ricadente in Provincia di Rieti, qui il paesaggio risulta praticamente spaccato in due, con la prevalenza del paesaggio agrario nel territorio di Scandriglia e Poggio Moiano e di quello naturale intorno ad Orvinio; entrambi questi paesaggi nella loro specie rappresentano due degli episodi più pregevoli dell'intero Lazio, arricchiti peraltro dalla presenza di notevoli testimonianze sia di edilizia rurale sia di architettura religiosa (citiamo solo le suggestive rovine di Santa Maria del Piano, presso Orvinio); negativo invece il discorso urbanistico, che purtroppo svela una gestione riprovevole dei Comuni di Scandriglia e Poggio Moiano, praticamente sdoppiatisi con lo sviluppo edile moderno, e discutibile in quello di Orvinio pur restando la bellezza del suo centro storico, recentemente inserito nel "Club dei Borghi più Belli d'Italia". Giungiamo poi alla Valle Licinese, con Percile, Licenza e Roccagiovine, che ripropone il classico paesaggio montano e collinare dei boschi, dei prati e dei pascoli della media-montagna pre-appenninica, con episodi di frutticoltura più a valle, nel territorio di Licenza. In quest'ultimo è fra l'altro da sottolineare la presenza delle rovine della villa di Orazio, citata più volte dal grande scrittore e filosofo romano, che tanto decantò il suo amato angulus sabino.
Il turismo in tutta la Sabina Romana e Lucretile è decisamente modesto, e si basa sull'escursionismo del fine settimana e sulle gite domenicali da parte di un'utenza per lo più proveniente dalla Capitale. Sporadico il turismo culturale, ambientale ed enogastronomico (diffuso praticamente solo a Palombara) che pare allontanare anni luce questo lembo di Sabina dai recenti "fasti" di Casperia e dintorni o dalla Valle Santa. Eppure i presupposti ci sarebbero tutti, e dovrebbero far leva da un lato sulle possibilità escursionistiche dei Lucretili, ancora non sufficientemente promosse, e dall'altro sulla rara bellezza del paesaggio agrario della vallata di Scadriglia e, parimenti, sull'integrità e la suggestione del paesaggio naturale fra Orvinio, Percile, Licenza e Roccagiovine e sulla bellezza stessa di questi ultimi (spesso piccolissimi) centri storici. D'altro canto è qui straordinaria la produzione dell'olio extravergine d'oliva (donde proviene una parte cospicua della DOP Sabina) che dovrebbe incentivare la valorizzazione del paesaggio agrario a fini turistici (tramite fattorie didattiche, agriturismi, percorsi escursionistici campestri, fiere agricole, ecc.), anche e soprattutto nell'area romana.
2f- La Sabina interna e la Val Canera:
Nonostante sia praticamente tagliata in due dalla Via Salaria, si tratta dell'area più tranquilla ed appartata della Sabina. Di ciò risente positivamente anche il paesaggio quasi ovunque integro e bellissimo, e caratterizzato da un cospicuo patrimonio di edilizia rurale storica, oggi purtroppo in vario stato di abbandono. I molti centri storici, che ripetono la classica tipologia sabina dei borghi di poggio, si presentano in modo piuttosto differente l'un l'altro a seconda della particolare storia amministrativa in fatto di arredo urbano e gestione urbanistica. L'area in questione è inoltre molto frazionata e in via di spopolamento, anche a causa di un isolamento stradale più marcato rispetto ad esempio alla Valle del Farfa. il paesaggio agrario risulta dal canto suo molto vario, da quello classico sabino della campagna di Casaprota, Torricella o Monteleone Sabino, a quello già più "reatino" e "montano" di Ornaro, Monte San Giovanni, Montenero Sabino e della Val Canera. Magnifica l'urbanistica di Montenero, che tuttavia è interessato da un'annosa (e discutibile) opera - ancora incompiuta - di ristrutturazione del Castello Orsini allo scopo di farne una sede distaccata dell'Università La Sapienza di Roma, e che lascia dei seri dubbi sul rispetto della struttura originaria. Splendidi poi i piccoli borghi arroccati di Ornano, Ginestra, Torricella, Collelungo ed altri, immersi in una natura rigogliosa e circondati da amene campagne. interessante il caso toponomastico di Poggio Perugino, fra l'altro anch'esso piccolo villaggio sommitale, punto d'accesso all'incantevole omonimo altopiano.
Buona nel complesso la gestione urbanistica della zona, facilitata del resto dallo spopolamento: va sottolineata però con forza la presenza di molti manufatti abusivi, alcuni dei quali purtroppo addirittura allo stato di scheletro come nei pressi di Monteleone e nella campagna fra Torricella e Poggio San Lorenzo, o come l'enorme scheletro di cemento a ridosso dell'abitato di Casaprota (e in quest'ultimo caso si può parlare tranquillamente di ecomostro). La solitudine dei luoghi infatti permette spesso anche una certa "liceità", e questa zona della Sabina ne è la conferma. Compito del Parco è quello di eliminare immediatamente tali sfregi, che troppo incidono negativamente sull'immagine dei Comuni interessati, bloccandone lo sviluppo turistico. Migliora il discorso nella Val Canera, dove peraltro si assiste ad un certo sviluppo - pur limitato rispetto alle sue notevoli potenzialità - di agriturismi e b&b: strutture ricettive, queste, che si sono diffuse negli ultimi anni un po' ovunque anche nel resto della Sabina interna, benché all'oggi il turismo sia qui ancora modestissimo.
Per valorizzare quest'area della Sabina sarebbe auspicabile l'istituzione di un Parco Naturale dei Monti Sabini, o almeno di una Riserva Naturale dei Monti Pizzuto e Tancia, entrambi fra l'altro già inseriti nell'elenco dei SIC dell'Unione Europea e quindi formalmente già assai vincolati. Inoltre, la diffusa presenza di siti archeologici - fra cui spicca quello di Trebula Mutuesca, presso Monteleone Sabino - costituisce un altro elemento su cui occorrerebbe puntare di più, anche con la creazione di un itinerario escursionistico che unisca le varie località d'interesse storico-archeologico. Dal punto di vista infine strettamente paesaggistico, un'idea sarebbe quella di realizzare dei tabelloni didattici da installare sui belvedere dei centri storici che offrano panorami particolarmente rappresentativi del paesaggio agrario sabino (ad esempio quello della stessa Monteleone Sabino) al fine di spiegarne al visitatore le caratteristiche storiche e scientifiche.
3. Interventi da attuare sul territorio del Parco
Gli interventi del Parco sono gli strumenti atti a realizzare le sua finalità di tutela, valorizzazione e promozione del patrimonio agricolo, culturale, ambientale, paesaggistico e turistico della Sabina. Molteplici i settori sui quali il Parco dovrà programmare il suo piano operativo, in accordo con il principio di fondo del Parco stesso, vale a dire "programmare" lo sviluppo della Sabina, sottraendolo così all'anarchia delle iniziative dei Comuni e dei singoli privati, spesso contrastanti e comunque quasi sempre incompatibili con uno sviluppo armonioso di questo pregiato territorio.
3a - Agricoltura e tutela e valorizzazione del paesaggio agrario:
- divieto di nuove costruzioni in tutto il territorio interessato dal Parco, tranne quelle di pubblica utilità e quelle strettamente connesse alle attività tradizionali agro-silvo-pastorali e artigianali (ad ogni modo ogni nuova costruzione dovrà rispondere a precisi parametri sia architettonici che energetici stabiliti dal piano del Parco); interventi di riqualificazione paesaggistica, con la demolizione di edifici abusivi o di costruzioni altamente deturpanti;
- interventi di ingegneria naturalistica, con il recupero delle cave dismesse e di quelle in via di chiusura, e rimboschimenti mirati, in particolare nell'area di Fara Sabina; interventi di bonifica fluviale e delle discariche abusive; divieto di avviare colture aliene dal contesto agricolo tradizionale (es. le coltivazioni in serra);
- promozione di colture ad alto valore economico e turistico, sul modello del Pian Grande di Castelluccio di Norcia (PG), da realizzarsi in uno (o più) degli altopiani del Parco che abbia le caratteristiche adatte, non solo dal punto di vista climatico ma anche da quello ambientale (cioè che sia stato fino a tempi recenti utilizzato a scopi agricoli);
- avvio di colture collegate alla produzione di biocarburanti nelle aree attualmente incolte, da incentivarsi anche tramite la creazione di piccole cooperative agricole;
- creazione di un Vivaio del Parco e fornitura gratuita di alberi ornamentali tipici della campagna sabina (quercia, pino, cipresso, ecc.) a beneficio di chi voglia piantarli nei pressi del proprio edificio rurale, al fine di attenuare l'impatto paesaggistico dell'insediamento sparso; obbligo viceversa di piantumazione di tali essenze a ridosso delle strutture produttive situate in aree rurali, allo scopo di limitarne il grave impatto estetico.
3b- Edilizia:
- incentivi per la ristrutturazione ed il riutilizzo del patrimonio di edilizia rurale al fine di salvaguardare e valorizzare il paesaggio agrario sabino; nella stessa ottica, gli incentivi dovrebbero riguardare anche la riqualificazione architettonica in stile di edifici moderni ed attualmente alieni dal contesto paesaggistico, fatto di fondamentale importanza soprattutto nelle aree a maggiore insediamento sparso;
- imposizione di precisi parametri architettonici per le nuove costruzioni, secondo i vari modelli (come forme, colori, materiali, ecc.) delle tradizionali strutture rurali sabine;
- incentivi e sgravi fiscali per le aziende edili che decidano di convertire la propria attività nella bioedilizia.
3c- Energia e gestione rifiuti:
- sviluppo di energie rinnovabili a basso impatto ambientale e paesaggistico, fra cui: l'incentivazione di coperture fotovoltaiche delle strutture produttive presenti sul territorio e di tutti gli edifici pubblici (scuole, municipi, ospedali, ec...) tranne quelli di spiccato valore storico-artistico-architettonico;
- sperimentazione negli insediamenti produttivi (sia industriali-artigianali che commerciali) di illuminazione tramite l'innovativa tecnologia del lampione eolico-fotovoltaico;
- costruzione di una piccola centrale a biomasse in un'area industriale già esistente (es. Rieti, Poggio Mirteto o Monterotondo);
- riqualificazione energetica di edifici moderni ma inefficienti dal punto di vista energetico (da attuarsi possibilmente in concomitanza alla riqualificazione architettonica) come molte costruzioni del Dopoguerra;
- incentivazione del microeolico a livello domestico, pubblico e industriale;
- imposizione di precisi parametri energetici per le nuove costruzioni;
- avvio della raccolta differenziata in tutti i Comuni del Parco.
3d- Infrastrutture:
- valorizzazione della rete stradale minore con adeguati interventi di segnaletica e cartellonistica stradali, da realizzarsi in punti strategici sia dal punto di vista viario che paesaggistico; l'entrata da ambo i versanti dei tronchi stradali interessati dovrà quindi essere segnalata al turista in automobile al fine di poter apprezzare l'integrità e la genuinità dei paesaggi sabini che proprio sulle strade minori si rivelano in tutto il loro splendore (es. la strada da Borgo Quinzio a Percile passando per Scandriglia ed Orvinio, oppure quella da Poggio Catino a Contigliano passando per Casperia, Roccantica, Montasola, Cottanello, o ancora quella fra Osteria Nuova e il Lago del Turano passando per Monteleone Sabino e Rocca Sinibalda, ecc..);
- manutenzione delle strade sterrate e riconversione in sterrate di asfaltate particolarmente impattanti;
- creazione della "Pista ciclabile più lunga del Mondo", che colleghi tutte le aree del Parco in un unico itinerario ciclistico; il tracciato dovrà utilizzare e riqualificare strade rurali già esistenti (sterrate, carrarecce, mulattiere) e soltanto in caso di necessità costituire un pista di nuova costruzione; lungo tutto il tracciato (bordato da staccionata) saranno naturalmente installati pannelli informativi ed indicazioni sull'itinerario da percorrere, le tappe consigliate e tutte le deviazioni possibili.
3e- Tutela e riqualificazione dei centri storici:
- demolizione di edifici abusivi o di costruzioni altamente deturpanti situati a ridosso e nei diretti pressi dei centri storici;
- incentivi per la riqualificazione (pubblica e/o privata) degli edifici storici;
- cura ordinaria dell'arredo urbano ed eliminazione (o sostituzione) di elementi deturpanti in punti di particolare pregio nei centri storici (cartelli stradali, tubi di scarico, ecc.);
- avvio di un progetto sperimentale ("borgo ad impatto zero") per un centro storico (di modesta entità e quasi spopolato) di riqualificazione totale e straordinaria dell'arredo urbano secondo un modello da individuare a seconda delle caratteristiche storiche ed architettoniche del centro storico prescelto, con l'eliminazione estetica e il divieto di tutti gli elementi moderni e deturpanti (antenne e paraboliche, tubi di scarico in lamiera, fioriere ed insegne in plastica, cartelli stradali, spazi per manifesti politici, ecc.) e con particolare attenzione all'illuminazione pubblica, che non dovrà prevedere energia elettrica ma sistemi di illuminazione tradizionali; i proprietari degli immobili inseriti in questi centri storici sperimentali - per le scomodità pratiche connesse al progetto - avranno altresì diritto ad un incentivo mensile;
- istituzione di un concorso annuale ("Borgo di Qualità") che prevede la premiazione del borgo sabino che più si sia distinto, durante l'arco dell'anno, nell'arredo urbano ed extraurbano e nella valorizzazione del proprio centro storico.
3f- Valorizzazione dei centri storici:
- creazione di almeno due centri commerciali naturali: uno da collocarsi in un centro storico piccolo e in via di spopolamento ma notevole dal punto di vista paesaggistico ed urbanistico ed eventualmente ben collegato (es. Bocchignano, Fianello, Rocchette, Montasola, Pietraforte, ecc.), un altro da collocarsi in un centro storico di media entità e già affermato dal punto di vista turistico (es. Casperia, Poggio Catino, Fara Sabina, Poggio Mirteto, Collevecchio, ecc.);
- realizzazione di una rete di sentieri escursionistici montani, collinari e campestri, che uniscano i centri storici più suggestivi e i siti religiosi più importanti, da collegare (quale variante) al Cammino di San Francesco;
- creazione di un programma annuale di feste a tema e rievocazioni d'epoca che copra tutto l'arco dell'anno e non soltanto la stagione estiva; istituzione in un "Festival internazionale di musica medievale e rinascimentale" da svolgersi durante la stagione estiva nei più suggestivi borghi sabini, tramite la valorizzazione di piazze o di edifici storici;
- apertura alle visite turistiche di castelli e palazzi storici particolarmente pregiati dal punto di vista artistico ed architettonico, previo accordi fra il Parco e i proprietari dei monumenti; il caso più eclatante di una mancata valorizzazione di questo tipo è attualmente il magnifico Castello di Rocca Sinibalda (che se aperto favorirebbe un enorme flusso turistico sia nel paese che nella zona circostante), ma anche castelli minori come quello di Oliveto Sabino, Orvinio, Montenero Sabino, ecc. meriterebbero di essere aperti al pubblico. Caso a parte il Castello Orsini di Nerola, ormai all'interno completamente trasformato a fini di lucro, la cui visita (giustificata dal rilevante interesse architettonico) potrebbe comunque essere concessa in alcuni giorni dell'anno.
3g- Promozione del paesaggio agrario e del territorio:
- creazione di un servizio navetta, in ogni area del Parco, che esegua un tour panoramico sulle strade rurali di maggiore interesse paesaggistico con sosta ai borghi più interessanti e visite guidate;
- realizzazione di documentari turistici, guide e depliant;
- gestione dell'immagine territoriale, in modo tale da inserire il Parco nei pacchetti dei tour operator nazionali ed internazionali in fatto di turismo culturale, ambientale ed enogastronomico;
- creazione di un convengo nazionale annuale sul tema del paesaggio agrario, da tenersi ogni occasione in un Comune diverso, all'interno di un edificio storico di pregio, ove invitare esperti del settore (urbanisti, architetti, ambientalisti, proprietari di aziende agricole) e i rappresentanti di Comuni che si siano distinti per progetti virtuosi sul proprio territorio in fatto di tutela della ruralità;
- creazione di corsi sullo studio, la tutela e la valorizzazione del paesaggio agrario, da attuarsi in collaborazione con le istituzioni universitarie;
- istituzione di un concorso fotografico quadrimestrale internazionale denominato "Stagioni in Sabina" aperto a fotografi professionisti e a fotoamatori che abbia come premio una somma in denaro e un soggiorno in un agriturismo o b&b in Sabina e come finalità quella di far conoscere la bellezza del paesaggio sabino nei diversi mesi dell'anno.
4. Conclusioni
Dall'analisi condotta, appare con evidenza la necessità di nuovi strumenti di tutela, valorizzazione e promozione del territorio sabino, in merito alle sue straordinarie qualità culturali, storiche, paesaggistiche, ambientali, agrarie ed enogastronomiche. La gestione di tale inestimabile patrimonio da parte delle amministrazioni locali risulta all'oggi insufficiente e in alcuni casi addirittura dannosa. La vicinanza con Roma, dal canto suo, è finora stata soltanto un problema per gran parte della Sabina, sia dal punto di vista della salvaguardia del territorio, sia rispetto al suo sviluppo turistico. Invece, tale circostanza va trasformata in risorsa e compito del Parco Agricolo e Culturale della Sabina sarà innanzi tutto quello di respingere le aggressioni proprie della vicinanza ad una metropoli (insediamenti industriali e commerciali, abusivismo e speculazione edilizia, nuove strade) e viceversa portare in Sabina una parte dell'ingente mole turistica della Capitale. Accanto a tale sviluppo "indotto", poi, sarà fondamentale trasformare la Sabina, nelle sue diverse realtà e vocazioni, in un comprensorio turistico "autonomo" e di prestigio nazionale ed internazionale, che vada a costituire una valida alternativa - nell'ambito del turismo rurale, ambientale, culturale ed enogastronomico - a realtà italiane attualmente ben più consolidate in tal senso, come il Chianti, la Valdorcia, Le Langhe, il Montefeltro, la Valle Umbra, ecc.. Importante sarà anche attuare una sinergia con la vicina Provincia di Viterbo e con l'area nord di quella di Roma, allo scopo di realizzare un vero e proprio "distretto turistico dell'Alto Lazio", che si distingua per qualità ed innovazione, sfruttando l'immenso potenziale turistico del settore settentrionale della Regione.
Il Parco Agricolo e Culturale permetterebbe uno sviluppo più sostenibile ed armonioso del territorio sabino, esaltandone le peculiarità nel solco sicuro della tradizione ma con una sensibilità moderna ed innovativa, che permetta all'offerta turistica della Sabina di porsi agli alti livelli oggi richiesti dal turismo culturale. Un progetto, quello del Parco, che non intaccherà affatto i modi di vita attuali della popolazione sabina, ma darà ad essa nuove prospettive di lavoro, limitando il fenomeno del pendolarismo che tanto incide negativamente sulla qualità della vita dei cittadini. Il Parco darà inoltre nuova linfa all'agricoltura, permettendo alla dop “Sabina” - come merita - di immettersi con una nuova immagine e con un maggiore riscontro economico nel mercato nazionale ed internazionale: sappiamo bene, infatti, che oggi le produzioni locali di qualità sono strettamente collegate all'immagine del proprio territorio nella loro valutazione economica all'interno del mercato agroalimentare; sicché promuovere bene il territorio significa anche poter vendere meglio e a prezzi maggiori i propri prodotti.
Infine, le tante innovazioni dal punto di vista infrastrutturale, conservazionistico, energetico e di marketing territoriale, faranno del Parco Agricolo e Culturale della Sabina un modello per le altre aree rurali d'Italia, donando così lustro e visibilità alle amministrazioni locali e attirando finanziamenti e investimenti di qualità sul territorio. Soltanto con il Parco Agricolo e Culturale potrà essere conservata e sviluppata quella caratteristica di terra genuina, sana e laboriosa propria della Sabina. Alternative del resto non ci sono, ed episodi come l'Outlet del Soratte o progetti come il Polo Logistico di Passo Corese - che attualmente sembrano incontrastabili - sono il segnale che non c'è più tempo da perdere.
Luca Bellincioni - lucabellincioni@interfree.it
Paolo D'Arpini
Introduzione: finalità e caratteristiche generali:
La Sabina ha conservato un paesaggio collinare di rara bellezza, fra i più suggestivi e caratteristici del Centro Italia: il verde intenso dei boschi che avvolgono i monti dalle sagome arrotondate, i piccoli vigneti, i colori cangianti dei pascoli e dei campi coltivati, i vasti e magnifici uliveti che rivestono i poggi, gli innumerevoli borghi arroccati formano insieme un importante esempio di "paesaggio medievale", di notevole valore estetico e tutt'oggi miracolosamente salvo da pesanti fenomeni di deterioramento di tipo para-metropolitano, nonostante la vicinanza con Roma. Straordinaria inoltre la produzione agricola locale, che dà vista ad un olio extravergine d’oliva fra i più pregiati al mondo, conosciuto sin dall’epoca romana ed insignito – primo fra tutti gli oli italiani – del marchio DOP (denominazione d’origine protetta). Tale produzione (che comprende differenti qualità come la Raja, la Carboncella, il Frantoio, il Leccino, il Pendolino) è favorita da particolari condizioni geologiche e climatiche, le stesse che permettono altre notevoli coltivazioni locali, come ad esempio i frutteti, che potrebbero nel tempo ottenere simili riconoscimenti.
L’immenso patrimonio agricolo, paesaggistico e culturale della Sabina, tuttavia, non gode attualmente né di un’adeguata tutela né – tanto meno – di un’adeguata politica di valorizzazione e promozione sul mercato agroalimentare e turistico nazionale ed internazionale. Le amministrazioni locali hanno finora agito al di fuori di un progetto condiviso e complessivo, proponendo ognuna soluzioni di sviluppo diverse ed episodiche, nel complesso ancora lontane dagli standard qualitativi offerti dalle aree più sviluppate in Italia in fatto di turismo culturale, ambientale ed enogastronomico.
Tali lacune hanno indotto l’Autore a concepire l’idea di un Parco Agricolo e Culturale della Sabina, finalizzato alla salvaguardia e allo sviluppo della società rurale sabina. Il Parco doterebbe i Comuni di una pianificazione dello sviluppo economico e urbanistico, evitando così ogni ulteriore consumo di terreni agricoli e ponendo le basi per un utilizzo più equilibrato e razionale del territorio.
Va ribadito infatti come la mancanza di tutela nella Sabina sia oggi un grave freno ad uno sviluppo turistico di un certo rilievo, e recenti progetti ad altissimo impatto ambientale, come il Polo Logistico di Passo Corese, rischiano di stravolgere la vocazione naturale di questo territorio, che è evidentemente agricola e turistica.
Una seria politica di tutela attira investimenti di qualità nel territorio ed è presupposto essenziale per la sua valorizzazione e quindi per la sua promozione. Sul trinomio tutela-valorizzazione-promozione, infatti, si gioca il futuro della Sabina, ed un progetto come il Parco Agricolo e Culturale della Sabina può esserne la sintesi più efficace.
Un parco vastissimo, che comprenderebbe tutte le aree rurali della Sabina Laziale (Sabina Tiberina, Farfense, Lucretile, Turanense e Reatina) e di quella Umbra (i territori cioè di Stroncone, Otricoli, Calvi e in parte di Narni), per dar vita a un grandioso progetto di valorizzazione e promozione dell’intera sub-regione sabina e delle sue straordinarie peculiarità paesaggistiche e per sviluppare un turismo culturale, ambientale ed enogastronomico ai livelli delle più rinomate zone turistiche dell’Umbria, della Toscana, dell'Emilia-Romagna, del Piemonte e di altre realtà. L’enorme diffusione di agriturismi negli ultimi tempi rappresenta fra l’altro un segnale di fondamentale importanza per la Sabina, che pian piano sta iniziando a proporsi come una nuova meta del turismo enogastronomico e culturale, grazie anche all’eccezionale posizione strategica e alla comodità dei collegamenti viari. Un “paradiso rurale” a due passi dalla Città Eterna, quindi, dove il paesaggio è sempre verde, dove i tramonti sono irripetibili e la primavera incomparabile, dove l’atmosfera paesana è rimasta quella di sessant’anni fa.
Un parco tuttavia differente dalle tradizionali aree protette nazionali e regionali con i loro stretti (e spesso discutibili) vincoli che rischiano di rendere impopolari le scelte volte alla salvaguardia del territorio e che comunque risultano inadatti ad un’area prettamente rurale come quella del Parco da noi proposto. Il Parco Agricolo e Culturale non prevede infatti alcuna limitazione delle attività tradizionali, fra cui la caccia e la pesca, che potranno continuare a svolgersi nei limiti già previsti dalla Legge. Anzi, come suggerisce l’aggettivo “agricolo”, una delle finalità principali del Parco sarà proprio quella di difendere le attività tradizionali, agro-silvo-pastorali e venatorie, che d’altro canto dalla migliore salvaguardia del territorio nei confronti della speculazione e dell’abusivismo edilizi non potranno che trarre giovamento.
Concludendo, confidiamo nell’interessamento al progetto del Parco da parte di tutte le associazioni ambientaliste e culturali della zona nonché delle amministrazioni locali, nella consapevolezza della necessità di iniziare a proporre qualcosa di innovativo e costruttivo sul territorio sabino. Di seguito forniamo pertanto un’analisi della variegata realtà sabina rispetto alle sue potenzialità turistiche e agli interventi auspicabili nel contesto del Parco Agricolo e Culturale.
1. Zonizzazione del territorio del Parco
Il Parco Agricolo e Culturale della Sabina dovrà comprendere le aree agricole di pregio paesaggistico e ambientale dell'intera sub-regione sabina. Un "parco diffuso" quindi, di carattere diverso da quello dei normali parchi naturali, e più legato alla tutela, valorizzazione e promozione delle specificità culturali del territorio più che di quelle strettamente naturalistiche; senza nulla togliere ovviamente alla possibilità di realizzazione un Parco Regionale dei Monti Sabini, o almeno di una Riserva Naturale dei Monti Tancia e Pizzuto. Le aree interessate dal Parco sono le seguenti:
1-La Sabina Tiberina (Comuni: Poggio Mirteto, Poggio Catino, Gavignano, Magliano Sabina, Collevecchio, Roccantica, Casperia, Otricoli, Calvi dell'Umbria, ecc.)
2-La Sabina Farfense (Comuni: Poggio Mirteto, Poggio Nativo, Fara Sabina, Montepoli in Sabina, Toffia, Mompeo, Salisano, Castelnuovo di Farfa, ecc.)
3-La Sabina Reatina (Comuni: Contigliano, Greccio, ecc.)
4-La Sabina Turanense (Comuni: Collalto Sabino, Castel di Tora, Colle di Tora, Paganico, Ascrea, Rocca Sinibalda, ecc.)
5-La Sabina Lucretile e Romana (Comuni: Nerola, Scandriglia, Palombara Sabina, Orvinio, Moricone, Percile, Licenza, ecc.)
6-La Sabina interna (Comuni: Belmonte Sabino, Monteleone Sabino, Montenero Sabino, Torricella in Sabina, Poggio San Lorenzo, Casaprota, ecc.)
Le sei aree individuate corrispondono ad altrettanti ambiti omogei dal punto di vista geografico, paesaggistico e culturale. Spicca la presenza di tre Comuni amministrativamente umbri, quali cioè Calvi, Stroncone ed Otricoli, che dà al Parco una dimensione interregionale e ha lo scopo di riunire sotto un progetto unitario anche il pregiato territorio della "Sabina Umbra", divisa oggi dal resto della Sabina soltanto da un confine immaginario ma ad essa in realtà strettamente legata per motivi geografici (i Monti Sabini e la Valle del Tevere) e turistici (con gli itinerari legati alla Via Flaminia e alla SP 313). Ai tre Comuni citati potrebbe inoltre essere aggiunta parte del territorio comunale di Narni, che - com'è noto - comprende alcune frazioni storicamente "sabine".
2. Analisi degli ambiti paesaggistici
Essendo il territorio sabino assai vasto e variegato sotto il profilo delle morfologie, delle colture agrarie, degli insediamenti e della storia urbanistica, occorre studiare le diverse situazioni locali per comprendere gli interventi specifici da avviare tramite il Parco Agricolo e Culturale. Qui di seguito, pertanto, offriamo una breve pamoramica sulle diverse realtà della Sabina, con una particolare attenzione alle condizioni del paesaggio e allo stato di sviluppo turistico.
2a- La Sabina Tiberina:
La Sabina Tiberina è una delle aree più caratteristiche del paesaggio agrario sabino, e forse la più rappresentativa. Nonostante una recente tendenza all'insediamento sparso, in alcuni punti già notevole (e caratterizzato non solo da case sparse ma dalla formazione di veri e propri villaggi "di strada" e "di cresta"), qui è ancora ravvisabile il paesaggio agrario "medievale" che si distingue per l'alternarsi di colture arboree e seminative e del pascolo incolto, dando forma a quel paesaggio "a mosaico", apprezzabile soprattutto da lontano o dall'alto (il Monte Pizzuto costituisce un punto di vista preferenziale), che avvicina questa porzion della Sabina al classico paesaggio agreste del Centro Italia, in particolare a quello umbro, di cui costituisce del resto una sorta di prolungamento meridionale. A ciò si aggiungono i numerosi centri storici (per lo più di piccole dimensioni), che - fatta qualche eccezione, in primis Poggio Mirteto - appaiono quasi sempre perfettamente integrati nel paesaggio agreste, donando scorci magnifici e sorprendenti (Torri in Sabina, Rocchette, Roccantica, Casperia, Catino, Fianello, Montasola, Cottanello, Stimigliano, Poggio Sommavilla, Vacone, ecc.). Quasi assenti inoltre gli insediamenti produttivi (per lo più piccoli scali vallivi di natura artigianale, come quelli di Poggio Mirteto, Magliano Sabina, Gavignano Sabino, ecc.), secondo una peculiarità propria della Sabina, che oggi si presenza - per sua fortuna - come un'area praticamente deindustrializzata.
La mancata industrializzazione del territorio - che è d'altro canto naturalmente una causa dell'impoverimento e dello spopolamento di queste plaghe - non è stata mai colta come una risorsa dalle amministrazioni locali, che quasi mai dal Dopoguerra ad oggi hanno avviato progetti di valorizzazione del paesaggio agrario, lasciando anzi aggredire da un'anarchia edilizia nelle forme e nelle ubicazioni delle nuove costruzioni, rurali e non. Il risultato è un'eccessiva varietà delle costruzioni nel paesaggio agreste, che spesso tende a banalizzarlo. Tuttavia tale promiscuità edilizia tende a diminuire con l'allontanarsi da Roma, in particolare da Casperia in poi, assieme allo stesso insediamento sparso, che comunque - occorre sottolinearlo - si concentra soprattutto nella fascia pedemontana lungo la 313 o nelle sue vicinanze, lasciando invece integre le innumerevoli splendide vallette che dalle quote più alte della fascia collinare si susseguono fino al solco del Tevere. Tale ubicazione lascia pensare come l'urbanistica sabina dal Dopoguerra ad oggi abbia cercato di coniugare la duplice esigenza di mantenere l'agricoltura nei terreni più fertili (quelli vallivi) e di fornire nuove abitazioni (nei pressi delle strade) agli abitanti che facevano da pendolari per Roma. Quel che è però mancato è stato un insieme di direttive su come costruire i nuovi edifici in ambito rurale, sebbene i danni apportati al paesaggio siano ancora tutto sommato rimediabili ed anzi oggi si assista ad una spontanea tendenza ad un’edilizia di maggiore qualità.
Ad ogni modo, dopo decenni di spopolamento ed abbandono, la Sabina Tiberina negli ultimi tempi ha subito una sorta di piccola rinascita turistica: accanto ai sempre più numerosi visitatori, molte persone lungimiranti, provenienti da altre parti d'Italia e spesso anche dall'estero, hanno iniziato ad investire in quest'area della Provincia di Rieti, sia per i prezzi ancora relativamente bassi degli immobili sia per la consapevolezza del potenziale straordinario di una zona ancora genuina, fuori dal turismo di massa e a meno di un'ora da Roma; in una delle zone più belle del comprensorio, quella fra Casperia, Torri in Sabina e Roccantica, ormai si parla di addirittura "Sabinashire", riportando alla mente lo sviluppo che - ormai molti decenni addietro - ebbe il Chianti, in Toscana, divenuto una meta classica del turismo culturale a livello internazionale e soprattutto di matrice inglese.
La Sabina Tiberina, dunque, oggi si trova in una situazione molto particolare e contrastante: da un lato un rinnovato interesse ed un enorme, evidente potenziale di sviluppo turistico, dall'altro le solite spinte al degrado urbanistico derivanti dalla vicinanza con Roma e dalla richiesta (esogena ed endogena) di prime case ben collegate o di singole ville di campagna. Un'immediata riposta di tutela come il Parco Agricolo e Culturale potrebbe invece sviluppare l'interesse turistico per la Sabina Tiberina, incanalando la vicinanza di Roma in una direzione giusta e costruttiva (trasformandola cioè da problema a risorsa) e allo stesso tempo tutelando il territorio e ponendo i presupposti per la creazione - in pochi anni - di uno dei distretti del turismo culturale ambientale ed enogastronomico più importanti del Centro Italia. Notevole, del resto, è già l'offerta in fatto di agriturismi, b&b e case-vacanza, che in questa zona raggiungono livelli di qualità molto alti rispetto al resto della Sabina, avvicinandosi spesso al livello delle medesime strutture turistiche rurali umbre e toscane.
2b- La Sabina Farfense:
Imperniata sul corso del Fiume Farfa, la Sabina Farfense ospita la celebre ed antichissima Abbazia di Farfa, custode della cultura occidentale nei secoli difficili dell'Alto Medioevo. Tale presenza costituisce già di per sé un richiamo di un certo spessore e ha contribuito a sviluppare turisticamente - seppure in maniera modesta - alcuni centri abitati limitrofi (Castelnuovo di Farfa, Fara in Sabina, Toffia, Montopoli in Sabina, Bocchignano, ecc.), che spiccano fra l'altro per un'apprezzabile (e nel caso di Bocchignano eccezionale) integrità urbanistica. Il paesaggio agrario poi si mostra fra i più caratteristici della Sabina: simile a quello della contigua Sabina Tiberina, se ne distingue però per la maggiore presenza di frutteti, che oltre a variare notevolmente il paesaggio, lo rendono magnifico nel periodo delle fioriture (aprile). L'avvenuta realizzazione di una rete di sentieri nella Valle del Farfa, con tanto di segnaletica e cartellonistica didattica, permette al visitatore - pur parzialmente - di apprezzare la bellezza del corso del Farfa. Da sottolineare inoltre un discreto patrimonio di edilizia rurale storica (che comprende alcuni mulini in rovina), che andrebbe salvaguardato e valorizzato meglio. Un'altra presenza importante è il cosiddetto Ulivone di Canneto, albero millenario che da solo costituirebbe un'attrattiva turistica di straordinario valore, ma tuttora scarsamente valorizzata. Splendido e ancora poco valorizzato è infine il borgo di Frasso Sabino, in cui fra l'altro sono in corso dei lavori per un parcheggio che si auspica non sconvolga l'estetica delicatissima del luogo.
Il pregio storico e paesaggistico della zona non ha mai indotto le amministrazioni locali ad un'attenta tutela del territorio. Notiamo subito infatti un acuirsi di quell'insediamento sparso che già caratterizza parzialmente la Sabina Tiberina. L'urbanizzazione praticamente aumenta in maniera proporzionale all'avvicinarsi a Roma, raggiungendo un risultato notevole lungo la SS313 da Poggio Mirteto a Passo Corese, da Frasso Sabino ad Osteria Nuova e da Fara Sabina al bivio per Borgo Quinzio sulla Salaria. In più punti, soprattutto presso Passo Corese, è da rilevare la presenza di svariati manufatti abusivi, alcuni dei quali addirittura abbandonati allo stato di scheletro. Detto ciò, si immagini il destino di quest'area nel caso venisse effettivamente realizzato il Polo Logistico di Passo Corese, sia dal punto di vista del traffico sua dal punto di vista del potenziale sviluppo urbanistico.
La Sabina Farfense si pone dunque come l'area più indifesa e delicata dell'intera Sabina, e anche come una delle più preziose per il connubio fra ambiente agreste e testimonianze del passato (l'abbazia, i borghi, i casolari, ecc.), cui va aggiunta la produzione d'olio extravergine d'oliva dop (la zona annovera alcune fra le aziende più importanti) la presenza stessa di un fiume di grande valore naturalistico come il Farfa: quest'ultimo andrebbe tutelato come riserva naturale, da inserire nel Parco Agricolo e Culturale, potenziandone fra l'altro la sentieristica.
2c- La Sabina Reatina:
Si tratta dell'area forse più "turistica" dell'intera sabina, poiché favorita dalla collocazione all'interno del comprensorio della Valle Santa di Rieti, recentemente interessato da notevole sviluppo turistico, anche grazie al progetto del Cammino di San Francesco, che unisce ad anello i quattro importanti santuari francescani. Dominata da vari santuari e conventi, fra i quali naturalmente quello di San Francesco a Greccio, la zona è suddivisa in appena tre Comuni, Contigliano e Greccio e la stessa Rieti, in cui ricade parte del territorio montano e pianeggiante del comprensorio dei Monti Sabini rivolto alla conca. Nell'ambito di quest'ultima, però, rimane fuori dalla perimetrazione del Parco tutto il versante dei Monti Reatini, con Poggio Bustone, Cantalice, ecc., intendendo il Parco Agricolo e Culturale comprendere esclusivamente le aree della Sabina "classica", essendo fra l'altro l'area del Reatino vero e proprio più legata al comprensorio del Terminillo che al resto della Sabina.
Il paesaggio agrario è fra i più integri e pregevoli non solo della Sabina ma dell'intero Lazio, e la Piana Reatina, dal canto suo, è considerata una delle più belle vallate montane dell'Italia appenninica. L'ambiente rurale e gli insediamenti umani appaiono infatti quasi perfettamente integrati, con la straordinaria presenza di edifici rurali d'epoca o di veri e propri monumenti di interesse storico-architettonico sparsi nella campagna (è il caso in primis della restaurata Abbazia di San Pastore). Fondamentale - ai fini della tutela del territorio - la sussistenza di vastissime tenute d'origine nobiliare e altresì di colture specializzate e di pregio (granicoltura), che fanno da cornice alla bella Riserva Naturale dei Laghi Lungo e Ripasottile, e che pure dovranno ricadere nel Parco Agricolo e Culturale. Presenti in zona numerose strutture agrituristiche di alta qualità (spesso circondate dalle suddette grandi tenute), che fanno di questo comprensorio uno dei meglio attrezzati e dei più accoglienti della Sabina in fatto di turismo culturale.
Lo sviluppo urbanistico sia di Greccio sia di Contigliano - entrambi borghi di rara suggestione e mirabilmente ristrutturati e mantenuti - appare ancora piuttosto ordinato, nonostante alcuni episodi di abusivismo e di speculazione edilizia nei pressi di quest'ultimo paese. Purtroppo, negli ultimi tempi sono stati rilanciati folli progetti di insediamenti produttivi e impianti eolici, a riprova di come nemmeno lo sviluppo turistico - se non accompagnato ad un'adeguata tutela formale ed effettiva tramite un'area protetta - non riesca a scongiurare interventi speculativi sul territorio.
2d- La Sabina Turanense:
E' una delle aree più marginali della Sabina e dell'intera Provincia di Rieti. Pur essendo un comprensorio molto vasto, che va dal confine con l'Abruzzo (Piana di Carsoli) sino alle propaggini dei Monti Sabini all'altezza di Rocca Sinibalda, l'intera area - imperniata sulla Valle del Turano e compresa fra i gruppi montuosi dei Lucretili, dei Carseolani e dei Sabini - presenta un'identità culturale tutta propria con ben definiti caratteri paesaggistici. Interessante anche il rapporto identitario e culturale con il vicino Cicolano, con il quale ha condiviso il destino della trasfomazione di buona parte dei terreni vallivi in lago artificiale e conseguentemente il fenomeno dello spopolamento in massa prima e del turismo poi. Ma notevole rimane - agli occhi dello storico e dell'antropologo - la differenza fra il Cicolano, area tradizionalmente non sabina e pre-aquilana, e la Sabina Turanense, territorio ove i segni dell'incastellamento del resto della Sabina medievale sono evidentissimi.
Una precisa identità - quella della Sabina Turanense - che si scopre già in auto provenendo da Carsoli e da Roma: non appena varcato il confine regionale (e provinciale), i capannoni e le ville moderne lasciano d'improvviso il posto ad un paesaggio antico, ove i segni dell'uomo si manifestano nei rari casali in pietra, adornati da pini e cipressi. Si capisce che ormai si è in Sabina, insomma, e la situazione non cambia percorrendo tutta la strada che risale la vallata del suggestivo Lago del Turano e si spinge sino allo splendido borgo di Rocca Sinibalda, arroccato nel verde e dominato dalla mole dell'imponente Castello. Anche qui praticamente assenti gli insediamenti produttivi, che danno l'impressione al visitatore di un paesaggio incontaminato e rimasto immutato nei secoli.
Una zona di straordinario pregio, quindi, ricca di centri storici stupendi e di paesaggi incantevoli, che da sola meriterebbe la tutela come parco naturale regionale (già esiste comunque la Riserva Naturale dei Monti Navegna e Cervia che tutela una porzione di territorio montano) e che invece è ancora oggi piuttosto negletta al turismo nazionale ed internazionale.
Ma i problemi di salvaguardia non mancano nemmeno qui. Mentre l'insediamento sparso rimane ben poca cosa, la speculazione edilizia ha provocato danni ingenti soprattutto a Castel di Tora, dove una recente, piccola ma volgare lottizzazione ai piedi del bel borgo medievale ha alterato profondamente il rapporto fra la campagna e l'abitato, oppure a monte di Stipes, ove un'altra (stavolta immensa) lottizzazione ha massacrato il fianco di un'intera montagna e il paesaggio di chi guardi il lago dal Monte Cervia. Situazioni simili sono in progetto in molti altri centri del comprensorio, le cui amministrazioni non paiono avere i mezzi (né la volontà) per respingere tali aggressioni. Nell'ambito del Parco Agricolo e Culturale, una delle finalità principali sarà la salvaguardia e la valorizzazione dell'immenso patrimonio paesaggistico della Sabina Turanense, con progetti di promozione del territorio e di intensificazione della sentieristica, in una delle zone della Sabina più vocate allo sviluppo del turismo escursionistico.
2e- La Sabina Romana e Lucretile:
E' questa una delle zone più vaste e problematiche della Sabina, con i suoi contrasti e le sue spiccate diversità. Sebbene sia costituita da un'area vasta ma non vastissima, al suo interno sono ravvisabili situazioni quasi opposte sotto molti aspetti. La Sabina Lucretile - quasi completamente compresa nel Parco Regionale dei Monti Lucretili - può infatti suddividersi in altre tre piccole aree: la prima è quella più vicina a Roma e facente capo grosso modo al comune di Palombara Sabina con le sue frazioni (contemplando ovviamente Sant'Angelo Romano, Marcellina e la stessa Monterotondo nella Campagna Romana più che nella Sabina vera e propria); la seconda è un'ampia zona di transizione, costituita dal territorio di Monteflavio, Moricone, Montelibretti, Montorio Romano e Nerola; una terza zona ricadente nei Comuni di Scandriglia, Poggio Moiano e Orvinio, tutti in Provincia di Rieti e - più a sud - di Licenza, Percile e Roccagiovine, in Provincia di Roma.
Iniziamo dal paesaggio, che in generale (fatta eccezione per Orvinio come vedremo) risulta eccezionalmente caratterizzato dalla coltura dell'olivo, predominante su tutte le altre colture ma che, ciò nonostante, lascia un notevole spazio alla frutticoltura; ben più vario e complesso è il discorso sulla qualità urbanistica, che varia molto da Comune a Comune: intorno a Palombara Sabina è da rilevare il maggiore insediamento sparso, che in alcuni punti ha seriamente alterato il paesaggio agrario, a causa non solo dell'edificazione in sé ma dalla realizzazione di manufatti (spesso abusivi e condonati) assolutamente incompatibili con esso (ville moderne a fini residenziali) e talvolta addirittura nei pressi di emergenze storiche ed architettoniche importantissime (come ad esempio le brutte ville che ormai quasi circondano l'Abbazia di San Giovanni in Argentella); il degrado urbanistico continua inoltre ad interessare lo stesso abitato di Palombara, mentre la vicenda dell'antenne già installate (e da installare) sul Monte Gennaro pare fortunatamente inoltrarsi su una strada positiva grazie all'interessamento da parte del FAI. Migliora decisamente la situazione negli altri Comuni del versante romano dei Lucretili, sebbene in più di un caso occorra sottolineare episodi di abusivismo edilizio e speculazione (in particolare ai piedi di Monteflavio, Moricone e Montelibretti) risalenti all'ultimo scellerato condono; un vero scempio invece appare la collocazione di un’area di esercitazione dell’Esercito e dei Vigili del Fuoco nel Comune di Montelibretti, all’interno di una zona rurale.
Venendo poi all'area ricadente in Provincia di Rieti, qui il paesaggio risulta praticamente spaccato in due, con la prevalenza del paesaggio agrario nel territorio di Scandriglia e Poggio Moiano e di quello naturale intorno ad Orvinio; entrambi questi paesaggi nella loro specie rappresentano due degli episodi più pregevoli dell'intero Lazio, arricchiti peraltro dalla presenza di notevoli testimonianze sia di edilizia rurale sia di architettura religiosa (citiamo solo le suggestive rovine di Santa Maria del Piano, presso Orvinio); negativo invece il discorso urbanistico, che purtroppo svela una gestione riprovevole dei Comuni di Scandriglia e Poggio Moiano, praticamente sdoppiatisi con lo sviluppo edile moderno, e discutibile in quello di Orvinio pur restando la bellezza del suo centro storico, recentemente inserito nel "Club dei Borghi più Belli d'Italia". Giungiamo poi alla Valle Licinese, con Percile, Licenza e Roccagiovine, che ripropone il classico paesaggio montano e collinare dei boschi, dei prati e dei pascoli della media-montagna pre-appenninica, con episodi di frutticoltura più a valle, nel territorio di Licenza. In quest'ultimo è fra l'altro da sottolineare la presenza delle rovine della villa di Orazio, citata più volte dal grande scrittore e filosofo romano, che tanto decantò il suo amato angulus sabino.
Il turismo in tutta la Sabina Romana e Lucretile è decisamente modesto, e si basa sull'escursionismo del fine settimana e sulle gite domenicali da parte di un'utenza per lo più proveniente dalla Capitale. Sporadico il turismo culturale, ambientale ed enogastronomico (diffuso praticamente solo a Palombara) che pare allontanare anni luce questo lembo di Sabina dai recenti "fasti" di Casperia e dintorni o dalla Valle Santa. Eppure i presupposti ci sarebbero tutti, e dovrebbero far leva da un lato sulle possibilità escursionistiche dei Lucretili, ancora non sufficientemente promosse, e dall'altro sulla rara bellezza del paesaggio agrario della vallata di Scadriglia e, parimenti, sull'integrità e la suggestione del paesaggio naturale fra Orvinio, Percile, Licenza e Roccagiovine e sulla bellezza stessa di questi ultimi (spesso piccolissimi) centri storici. D'altro canto è qui straordinaria la produzione dell'olio extravergine d'oliva (donde proviene una parte cospicua della DOP Sabina) che dovrebbe incentivare la valorizzazione del paesaggio agrario a fini turistici (tramite fattorie didattiche, agriturismi, percorsi escursionistici campestri, fiere agricole, ecc.), anche e soprattutto nell'area romana.
2f- La Sabina interna e la Val Canera:
Nonostante sia praticamente tagliata in due dalla Via Salaria, si tratta dell'area più tranquilla ed appartata della Sabina. Di ciò risente positivamente anche il paesaggio quasi ovunque integro e bellissimo, e caratterizzato da un cospicuo patrimonio di edilizia rurale storica, oggi purtroppo in vario stato di abbandono. I molti centri storici, che ripetono la classica tipologia sabina dei borghi di poggio, si presentano in modo piuttosto differente l'un l'altro a seconda della particolare storia amministrativa in fatto di arredo urbano e gestione urbanistica. L'area in questione è inoltre molto frazionata e in via di spopolamento, anche a causa di un isolamento stradale più marcato rispetto ad esempio alla Valle del Farfa. il paesaggio agrario risulta dal canto suo molto vario, da quello classico sabino della campagna di Casaprota, Torricella o Monteleone Sabino, a quello già più "reatino" e "montano" di Ornaro, Monte San Giovanni, Montenero Sabino e della Val Canera. Magnifica l'urbanistica di Montenero, che tuttavia è interessato da un'annosa (e discutibile) opera - ancora incompiuta - di ristrutturazione del Castello Orsini allo scopo di farne una sede distaccata dell'Università La Sapienza di Roma, e che lascia dei seri dubbi sul rispetto della struttura originaria. Splendidi poi i piccoli borghi arroccati di Ornano, Ginestra, Torricella, Collelungo ed altri, immersi in una natura rigogliosa e circondati da amene campagne. interessante il caso toponomastico di Poggio Perugino, fra l'altro anch'esso piccolo villaggio sommitale, punto d'accesso all'incantevole omonimo altopiano.
Buona nel complesso la gestione urbanistica della zona, facilitata del resto dallo spopolamento: va sottolineata però con forza la presenza di molti manufatti abusivi, alcuni dei quali purtroppo addirittura allo stato di scheletro come nei pressi di Monteleone e nella campagna fra Torricella e Poggio San Lorenzo, o come l'enorme scheletro di cemento a ridosso dell'abitato di Casaprota (e in quest'ultimo caso si può parlare tranquillamente di ecomostro). La solitudine dei luoghi infatti permette spesso anche una certa "liceità", e questa zona della Sabina ne è la conferma. Compito del Parco è quello di eliminare immediatamente tali sfregi, che troppo incidono negativamente sull'immagine dei Comuni interessati, bloccandone lo sviluppo turistico. Migliora il discorso nella Val Canera, dove peraltro si assiste ad un certo sviluppo - pur limitato rispetto alle sue notevoli potenzialità - di agriturismi e b&b: strutture ricettive, queste, che si sono diffuse negli ultimi anni un po' ovunque anche nel resto della Sabina interna, benché all'oggi il turismo sia qui ancora modestissimo.
Per valorizzare quest'area della Sabina sarebbe auspicabile l'istituzione di un Parco Naturale dei Monti Sabini, o almeno di una Riserva Naturale dei Monti Pizzuto e Tancia, entrambi fra l'altro già inseriti nell'elenco dei SIC dell'Unione Europea e quindi formalmente già assai vincolati. Inoltre, la diffusa presenza di siti archeologici - fra cui spicca quello di Trebula Mutuesca, presso Monteleone Sabino - costituisce un altro elemento su cui occorrerebbe puntare di più, anche con la creazione di un itinerario escursionistico che unisca le varie località d'interesse storico-archeologico. Dal punto di vista infine strettamente paesaggistico, un'idea sarebbe quella di realizzare dei tabelloni didattici da installare sui belvedere dei centri storici che offrano panorami particolarmente rappresentativi del paesaggio agrario sabino (ad esempio quello della stessa Monteleone Sabino) al fine di spiegarne al visitatore le caratteristiche storiche e scientifiche.
3. Interventi da attuare sul territorio del Parco
Gli interventi del Parco sono gli strumenti atti a realizzare le sua finalità di tutela, valorizzazione e promozione del patrimonio agricolo, culturale, ambientale, paesaggistico e turistico della Sabina. Molteplici i settori sui quali il Parco dovrà programmare il suo piano operativo, in accordo con il principio di fondo del Parco stesso, vale a dire "programmare" lo sviluppo della Sabina, sottraendolo così all'anarchia delle iniziative dei Comuni e dei singoli privati, spesso contrastanti e comunque quasi sempre incompatibili con uno sviluppo armonioso di questo pregiato territorio.
3a - Agricoltura e tutela e valorizzazione del paesaggio agrario:
- divieto di nuove costruzioni in tutto il territorio interessato dal Parco, tranne quelle di pubblica utilità e quelle strettamente connesse alle attività tradizionali agro-silvo-pastorali e artigianali (ad ogni modo ogni nuova costruzione dovrà rispondere a precisi parametri sia architettonici che energetici stabiliti dal piano del Parco); interventi di riqualificazione paesaggistica, con la demolizione di edifici abusivi o di costruzioni altamente deturpanti;
- interventi di ingegneria naturalistica, con il recupero delle cave dismesse e di quelle in via di chiusura, e rimboschimenti mirati, in particolare nell'area di Fara Sabina; interventi di bonifica fluviale e delle discariche abusive; divieto di avviare colture aliene dal contesto agricolo tradizionale (es. le coltivazioni in serra);
- promozione di colture ad alto valore economico e turistico, sul modello del Pian Grande di Castelluccio di Norcia (PG), da realizzarsi in uno (o più) degli altopiani del Parco che abbia le caratteristiche adatte, non solo dal punto di vista climatico ma anche da quello ambientale (cioè che sia stato fino a tempi recenti utilizzato a scopi agricoli);
- avvio di colture collegate alla produzione di biocarburanti nelle aree attualmente incolte, da incentivarsi anche tramite la creazione di piccole cooperative agricole;
- creazione di un Vivaio del Parco e fornitura gratuita di alberi ornamentali tipici della campagna sabina (quercia, pino, cipresso, ecc.) a beneficio di chi voglia piantarli nei pressi del proprio edificio rurale, al fine di attenuare l'impatto paesaggistico dell'insediamento sparso; obbligo viceversa di piantumazione di tali essenze a ridosso delle strutture produttive situate in aree rurali, allo scopo di limitarne il grave impatto estetico.
3b- Edilizia:
- incentivi per la ristrutturazione ed il riutilizzo del patrimonio di edilizia rurale al fine di salvaguardare e valorizzare il paesaggio agrario sabino; nella stessa ottica, gli incentivi dovrebbero riguardare anche la riqualificazione architettonica in stile di edifici moderni ed attualmente alieni dal contesto paesaggistico, fatto di fondamentale importanza soprattutto nelle aree a maggiore insediamento sparso;
- imposizione di precisi parametri architettonici per le nuove costruzioni, secondo i vari modelli (come forme, colori, materiali, ecc.) delle tradizionali strutture rurali sabine;
- incentivi e sgravi fiscali per le aziende edili che decidano di convertire la propria attività nella bioedilizia.
3c- Energia e gestione rifiuti:
- sviluppo di energie rinnovabili a basso impatto ambientale e paesaggistico, fra cui: l'incentivazione di coperture fotovoltaiche delle strutture produttive presenti sul territorio e di tutti gli edifici pubblici (scuole, municipi, ospedali, ec...) tranne quelli di spiccato valore storico-artistico-architettonico;
- sperimentazione negli insediamenti produttivi (sia industriali-artigianali che commerciali) di illuminazione tramite l'innovativa tecnologia del lampione eolico-fotovoltaico;
- costruzione di una piccola centrale a biomasse in un'area industriale già esistente (es. Rieti, Poggio Mirteto o Monterotondo);
- riqualificazione energetica di edifici moderni ma inefficienti dal punto di vista energetico (da attuarsi possibilmente in concomitanza alla riqualificazione architettonica) come molte costruzioni del Dopoguerra;
- incentivazione del microeolico a livello domestico, pubblico e industriale;
- imposizione di precisi parametri energetici per le nuove costruzioni;
- avvio della raccolta differenziata in tutti i Comuni del Parco.
3d- Infrastrutture:
- valorizzazione della rete stradale minore con adeguati interventi di segnaletica e cartellonistica stradali, da realizzarsi in punti strategici sia dal punto di vista viario che paesaggistico; l'entrata da ambo i versanti dei tronchi stradali interessati dovrà quindi essere segnalata al turista in automobile al fine di poter apprezzare l'integrità e la genuinità dei paesaggi sabini che proprio sulle strade minori si rivelano in tutto il loro splendore (es. la strada da Borgo Quinzio a Percile passando per Scandriglia ed Orvinio, oppure quella da Poggio Catino a Contigliano passando per Casperia, Roccantica, Montasola, Cottanello, o ancora quella fra Osteria Nuova e il Lago del Turano passando per Monteleone Sabino e Rocca Sinibalda, ecc..);
- manutenzione delle strade sterrate e riconversione in sterrate di asfaltate particolarmente impattanti;
- creazione della "Pista ciclabile più lunga del Mondo", che colleghi tutte le aree del Parco in un unico itinerario ciclistico; il tracciato dovrà utilizzare e riqualificare strade rurali già esistenti (sterrate, carrarecce, mulattiere) e soltanto in caso di necessità costituire un pista di nuova costruzione; lungo tutto il tracciato (bordato da staccionata) saranno naturalmente installati pannelli informativi ed indicazioni sull'itinerario da percorrere, le tappe consigliate e tutte le deviazioni possibili.
3e- Tutela e riqualificazione dei centri storici:
- demolizione di edifici abusivi o di costruzioni altamente deturpanti situati a ridosso e nei diretti pressi dei centri storici;
- incentivi per la riqualificazione (pubblica e/o privata) degli edifici storici;
- cura ordinaria dell'arredo urbano ed eliminazione (o sostituzione) di elementi deturpanti in punti di particolare pregio nei centri storici (cartelli stradali, tubi di scarico, ecc.);
- avvio di un progetto sperimentale ("borgo ad impatto zero") per un centro storico (di modesta entità e quasi spopolato) di riqualificazione totale e straordinaria dell'arredo urbano secondo un modello da individuare a seconda delle caratteristiche storiche ed architettoniche del centro storico prescelto, con l'eliminazione estetica e il divieto di tutti gli elementi moderni e deturpanti (antenne e paraboliche, tubi di scarico in lamiera, fioriere ed insegne in plastica, cartelli stradali, spazi per manifesti politici, ecc.) e con particolare attenzione all'illuminazione pubblica, che non dovrà prevedere energia elettrica ma sistemi di illuminazione tradizionali; i proprietari degli immobili inseriti in questi centri storici sperimentali - per le scomodità pratiche connesse al progetto - avranno altresì diritto ad un incentivo mensile;
- istituzione di un concorso annuale ("Borgo di Qualità") che prevede la premiazione del borgo sabino che più si sia distinto, durante l'arco dell'anno, nell'arredo urbano ed extraurbano e nella valorizzazione del proprio centro storico.
3f- Valorizzazione dei centri storici:
- creazione di almeno due centri commerciali naturali: uno da collocarsi in un centro storico piccolo e in via di spopolamento ma notevole dal punto di vista paesaggistico ed urbanistico ed eventualmente ben collegato (es. Bocchignano, Fianello, Rocchette, Montasola, Pietraforte, ecc.), un altro da collocarsi in un centro storico di media entità e già affermato dal punto di vista turistico (es. Casperia, Poggio Catino, Fara Sabina, Poggio Mirteto, Collevecchio, ecc.);
- realizzazione di una rete di sentieri escursionistici montani, collinari e campestri, che uniscano i centri storici più suggestivi e i siti religiosi più importanti, da collegare (quale variante) al Cammino di San Francesco;
- creazione di un programma annuale di feste a tema e rievocazioni d'epoca che copra tutto l'arco dell'anno e non soltanto la stagione estiva; istituzione in un "Festival internazionale di musica medievale e rinascimentale" da svolgersi durante la stagione estiva nei più suggestivi borghi sabini, tramite la valorizzazione di piazze o di edifici storici;
- apertura alle visite turistiche di castelli e palazzi storici particolarmente pregiati dal punto di vista artistico ed architettonico, previo accordi fra il Parco e i proprietari dei monumenti; il caso più eclatante di una mancata valorizzazione di questo tipo è attualmente il magnifico Castello di Rocca Sinibalda (che se aperto favorirebbe un enorme flusso turistico sia nel paese che nella zona circostante), ma anche castelli minori come quello di Oliveto Sabino, Orvinio, Montenero Sabino, ecc. meriterebbero di essere aperti al pubblico. Caso a parte il Castello Orsini di Nerola, ormai all'interno completamente trasformato a fini di lucro, la cui visita (giustificata dal rilevante interesse architettonico) potrebbe comunque essere concessa in alcuni giorni dell'anno.
3g- Promozione del paesaggio agrario e del territorio:
- creazione di un servizio navetta, in ogni area del Parco, che esegua un tour panoramico sulle strade rurali di maggiore interesse paesaggistico con sosta ai borghi più interessanti e visite guidate;
- realizzazione di documentari turistici, guide e depliant;
- gestione dell'immagine territoriale, in modo tale da inserire il Parco nei pacchetti dei tour operator nazionali ed internazionali in fatto di turismo culturale, ambientale ed enogastronomico;
- creazione di un convengo nazionale annuale sul tema del paesaggio agrario, da tenersi ogni occasione in un Comune diverso, all'interno di un edificio storico di pregio, ove invitare esperti del settore (urbanisti, architetti, ambientalisti, proprietari di aziende agricole) e i rappresentanti di Comuni che si siano distinti per progetti virtuosi sul proprio territorio in fatto di tutela della ruralità;
- creazione di corsi sullo studio, la tutela e la valorizzazione del paesaggio agrario, da attuarsi in collaborazione con le istituzioni universitarie;
- istituzione di un concorso fotografico quadrimestrale internazionale denominato "Stagioni in Sabina" aperto a fotografi professionisti e a fotoamatori che abbia come premio una somma in denaro e un soggiorno in un agriturismo o b&b in Sabina e come finalità quella di far conoscere la bellezza del paesaggio sabino nei diversi mesi dell'anno.
4. Conclusioni
Dall'analisi condotta, appare con evidenza la necessità di nuovi strumenti di tutela, valorizzazione e promozione del territorio sabino, in merito alle sue straordinarie qualità culturali, storiche, paesaggistiche, ambientali, agrarie ed enogastronomiche. La gestione di tale inestimabile patrimonio da parte delle amministrazioni locali risulta all'oggi insufficiente e in alcuni casi addirittura dannosa. La vicinanza con Roma, dal canto suo, è finora stata soltanto un problema per gran parte della Sabina, sia dal punto di vista della salvaguardia del territorio, sia rispetto al suo sviluppo turistico. Invece, tale circostanza va trasformata in risorsa e compito del Parco Agricolo e Culturale della Sabina sarà innanzi tutto quello di respingere le aggressioni proprie della vicinanza ad una metropoli (insediamenti industriali e commerciali, abusivismo e speculazione edilizia, nuove strade) e viceversa portare in Sabina una parte dell'ingente mole turistica della Capitale. Accanto a tale sviluppo "indotto", poi, sarà fondamentale trasformare la Sabina, nelle sue diverse realtà e vocazioni, in un comprensorio turistico "autonomo" e di prestigio nazionale ed internazionale, che vada a costituire una valida alternativa - nell'ambito del turismo rurale, ambientale, culturale ed enogastronomico - a realtà italiane attualmente ben più consolidate in tal senso, come il Chianti, la Valdorcia, Le Langhe, il Montefeltro, la Valle Umbra, ecc.. Importante sarà anche attuare una sinergia con la vicina Provincia di Viterbo e con l'area nord di quella di Roma, allo scopo di realizzare un vero e proprio "distretto turistico dell'Alto Lazio", che si distingua per qualità ed innovazione, sfruttando l'immenso potenziale turistico del settore settentrionale della Regione.
Il Parco Agricolo e Culturale permetterebbe uno sviluppo più sostenibile ed armonioso del territorio sabino, esaltandone le peculiarità nel solco sicuro della tradizione ma con una sensibilità moderna ed innovativa, che permetta all'offerta turistica della Sabina di porsi agli alti livelli oggi richiesti dal turismo culturale. Un progetto, quello del Parco, che non intaccherà affatto i modi di vita attuali della popolazione sabina, ma darà ad essa nuove prospettive di lavoro, limitando il fenomeno del pendolarismo che tanto incide negativamente sulla qualità della vita dei cittadini. Il Parco darà inoltre nuova linfa all'agricoltura, permettendo alla dop “Sabina” - come merita - di immettersi con una nuova immagine e con un maggiore riscontro economico nel mercato nazionale ed internazionale: sappiamo bene, infatti, che oggi le produzioni locali di qualità sono strettamente collegate all'immagine del proprio territorio nella loro valutazione economica all'interno del mercato agroalimentare; sicché promuovere bene il territorio significa anche poter vendere meglio e a prezzi maggiori i propri prodotti.
Infine, le tante innovazioni dal punto di vista infrastrutturale, conservazionistico, energetico e di marketing territoriale, faranno del Parco Agricolo e Culturale della Sabina un modello per le altre aree rurali d'Italia, donando così lustro e visibilità alle amministrazioni locali e attirando finanziamenti e investimenti di qualità sul territorio. Soltanto con il Parco Agricolo e Culturale potrà essere conservata e sviluppata quella caratteristica di terra genuina, sana e laboriosa propria della Sabina. Alternative del resto non ci sono, ed episodi come l'Outlet del Soratte o progetti come il Polo Logistico di Passo Corese - che attualmente sembrano incontrastabili - sono il segnale che non c'è più tempo da perdere.
Luca Bellincioni - lucabellincioni@interfree.it
Etichette:
bioregionalismo,
Centro Italia,
Luca Bellincioni
Iscriviti a:
Post (Atom)