venerdì 20 settembre 2019

La passione di Renzi. "Il rottamatore rottama tutti pure l'anima dei prosciutti!"


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...L’uscita di Matteo Renzi dal Pd a pochi giorni dalla nascita del governo di coalizione con i Cinque Stelle rappresenta l’epifania di un teatrino popolato da personaggi completamente distaccati dal sentire degli elettori e incapaci di rappresentarli. La battuta più surreale delle ultime ore appartiene senza dubbio ad un Matteo Renzi che racconta di aver abbandonato i vecchi compagni del Pd per restituire all’Italia la “passione della politica”. Uno slogan che acquista significato soltanto attribuendo alla parola “passione” non il senso, vagamente calcistico, di eccitazione e trasporto, ma quello più desueto di sofferenza e martirio.

Il Matteo Renzi che dopo aver accompagnato Nicola Zingaretti all’altare del matrimonio contro-natura con Di Maio e Conte si propone come nuovo inatteso azionista del governo non è più un leader politico, ma un protagonista del teatro dell’assurdo. Un protagonista totalmente dimentico della parte recitata nelle vesti di “rottamatore” quando assicurava di voler restare sulla scena per un solo e unico mandato. Di quel passato sopravvive oggi solo uno scaltro guitto pronto, una volta di più, a tradire alleati e compagni di strada pur di ritagliarsi un ruolo di potere.

Ma se la figura del rinato Renzi riesce a riconquistare i vertici della politica lo si deve soprattutto all’irrilevanza dei suoi avversari. Forza Italia priva dell’energia politica di un Berlusconi ormai anziano è sempre più una nave in tempesta affollata di topi pronti ad aggrapparsi ai salvagenti offerti da chiunque garantisca un risicato futuro.

A sinistra non va meglio. Il Nicola Zingaretti pronto prima ad andare al voto con Salvini per liberarsi dei troppi parlamentari renziani salvo poi cedere alle profferte dello stesso Renzi e accordarsi con i Cinque Stelle è un vero campione dell’ingenuità politica. Prigioniero di un partito dominata dai nostalgici del comunismo o, peggio, da personaggi alla ricerca di rivalse e vendette come D’Alema e Bersani Zingaretti sembra condannato a trasformarsi nel capo di una forza residuale simile ai laburisti inglesi di Jeremy Corbyn.

Il professor Giuseppe Conte pronto ad atteggiarsi a neo-umanista è invece la controfigura appannata di Renzi. Una controfigura mossa dallo stesso opportunismo, ma infinitamente meno coraggiosa e meno spregiudicata. Privo di consenso popolare l’attuale premier non ha esitato a rinnegare le posizioni anti europee e anti-migratorie prima condivise con Matteo Salvini per trasformarsi in un partigiano dell’accoglienza indiscriminata e dell’europeismo più servile non appena transitato nella culla di M5S e Pd. In quest’insana gara al trasformismo Conte è, però, quello destinato a soffrire di più.

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Matteo Renzi, come dimostrato dal “stai sereno” con cui assassinò Letta, non è in grado di accettare posizioni subordinate e, presto o tardi, regalerà una definitiva serenità politica anche all’attuale Presidente del Consiglio.

Quanto a Luigi Di Maio e al resto dei Cinque Stelle tutto è ormai chiaro. Il loro unico obbiettivo è garantirsi paga e incarichi fino alla naturale scadenza di una legislatura al termine della quale passeranno alla storia come un’inconcludente meteora politica.

Quanto a Matteo Salvini, capo di una Lega forte di un crescente sostegno popolare, l’incognita più rilevante è se sia in grado di rappresentare un consenso tanto vasto e diffuso. L’epilogo della sua esperienza di governo ci ha regalato l’immagine di un leader immaturo e incapace di comprendere le trappole della politica italiana. I suoi sostenitori sono convinti che quell’immaturità sia un sintomo di sincerità e schiettezza in un mondo popolato da voltagabbana e trasformisti.

In verità la sua principale debolezza è stata proprio l’incapacità di abbandonare le felpe dell’opposizione per indossare le grisaglie di un comando esercitato anche attraverso la trattativa e il negoziato con gli avversari.

Quell’errore gli ha impedito di presentarsi come un simbolo del cambiamento l’ha isolato sia in Italia, sia in Europa e l’ha, alla fine, trasformato in un bersaglio da abbattere. Fino a quando non imparerà quella dura lezione trasformando irruenza e supponenza in capacità negoziale lui e il suo popolo dovranno accontentarsi di governare i prati di Pontida.

 Gian Micalessin  

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Fonte: https://it.sputniknews.com/opinioni/201909188107514-litalia-alla-deriva/

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