Secondo una certa prosa “moderata”, Mario Draghi avrebbe salvato l’Italia, per il semplice fatto di avere dato al governo italiano una credibilità ed una autorevolezza che prima non aveva.
Non è assolutamente così.
Occorrerebbe altro, ben altro. Occorrerebbe fare piazza pulita degli ultimi trent’anni di vita politica italiana e ritornare a prima della riforma bancaria, del “Britannia” e dell’Unione Europea. Non che prima della globalizzazione e delle privatizzazioni fossero tutti rose e fiori… Tutt’altro. Ma – se facciamo un po’ mente locale – ci accorgiamo che, prima di quella infame stagione di “riforme”, si riusciva bene o male a sopravvivere.
I nostri guai sono cominciati il 30 luglio 1990, con la privatizzazione del sistema bancario nazionale; sono proseguiti il 16 settembre 1992, quando quel galantuomo di George Soros sferrò una manovra speculativa che causò la svalutazione della lira italiana del 30% (il 30%, quasi un terzo del suo valore); ed hanno infine raggiunto l’apice il 1° novembre 1993, con la nascita dell’Unione Europea.
Certo, non è possibile cancellare quelle tre date e tornare indietro nel tempo; ma non vi è dubbio che, per uscire dal cul de sac in cui ci siamo cacciati, sia necessario un serio processo di revisione, cercando quanto meno di correre ai ripari, di correggere gli effetti maggiormente negativi di quegli eventi. Occorre riportare gradualmente il sistema bancario nell’alveo dell’interesse pubblico, occorre attrezzarsi per garantire la salvaguardia degli interessi nazionali contro i meccanismi della speculazione dei “mercati”, ed occorre promuovere una revisione profonda di quelle istituzioni europee che si sono rivelate incapaci di tutelare gli interessi di una parte almeno degli Stati associati, Italia in testa.
Ora, a me pare che Mario Draghi sia persona poco adatta a perseguire questi tre obiettivi. È certamente bravo, è certamente capace, è certamente autorevole… Ma é anche, altrettanto certamente, un manager allevato e cresciuto nelle amorevoli braccia delle grandi banche d’affari americane, la cui filosofia é alla base del processo di globalizzazione economica e di mondializzazione politica che ha dato il via al nostro declino politico-economico-sociale, ivi comprese le tre infauste date che ho ricordato.
In proposito, riporto un passo tratto dal mio opuscolo “La Crociera del Britannia” (2015): «... quel Mario Draghi che, benché allora poco noto al grande pubblico, poteva a buon diritto essere considerato un’autentica eminenza grigia dell’economia italiana nell’ultimo scorcio della prima repubblica. Manager dalle indubbie capacità, Draghi era cresciuto professionalmente in àmbito anglosassone, ricoprendo per un lungo periodo – dal 1984 al 1990 – la carica di Direttore esecutivo della World Bank, la Banca Mondiale. Per avere un’idea dell’ambiente frequentato da Draghi nel periodo forse più importante per la sua formazione culturale e professionale, basti pensare che, negli anni della sua direzione, presidenti della WB erano stati un dirigente della Bank of America e, in un secondo tempo, un senatore dello Stato di New York. Fra i loro successori – tanto per rendere l’idea del “clima” – vi saranno, fra gli altri, un dirigente della J.P.Morgan ed un top manager della Goldman & Sachs. (...)
Tornando a Draghi, questi – nonostante gli inizi più che promettenti di una luminosa carriera in quel di Wall Street – nel 1990 lasciava l’America e rientrava in Italia, dove però – provvidenzialmente – l’anno seguente era chiamato a ricoprire la carica di Direttore Generale del Ministero del Tesoro. Ministro del tempo era Guido Carli, ex governatore della Banca d’Italia e co-autore con Giuliano Amato della legge-delega che ne aveva avviato la privatizzazione. Carli era uno dei pionieri e degli alfieri della politica di privatizzazioni in Italia, ed apparteneva alla medesima cordata del senatore Beniamino Andreatta, l’unico uomo di governo – credo – ad essere stato invitato alla crociera del “Britannia”. Guido Carli darà anche il via libera a Draghi per partecipare al medesimo incontro, stando almeno a quanto lo stesso Draghi dichiarerà in una successiva audizione alla Commissione Bilancio della Camera dei Deputati (“chiesi l’autorizzazione al ministro dell’epoca, che non sollevò alcuna obiezione ed anzi mi invitò a parteciparvi”).»
E continuavo: «Il nostro manteneva la poltrona di Direttore Generale del Tesoro fino al 2001, attraversando indenne 10 anni di intemperie politiche e 10 diversi governi, di destra e di sinistra. Dall’anno successivo alla crociera del “Britannia” – e anche qui fino al 2001 – andava ad occupare un’altra ambíta ed assai strategica poltrona, quella di Presidente del Comitato Privatizzazioni. In tale veste – apprendo da Wikipedia – “è stato artefice delle più importanti privatizzazioni delle aziende statali italiane”. (...)
Nel 2001 lasciava la Direzione del Tesoro e il Comitato Privatizzazioni, e nel 2002 approdava leggiadramente in Goldman & Sachs. Non da semplice manager, ma addirittura da Vicepresidente con competenza sull’area europea, oltre che da membro del suo Management Committee Worldwide. Scelta forse poco elegante, considerato che la G&S era stata fra i protagonisti delle dismissioni del patrimonio pubblico italiano: non soltanto era stata advisor (cioè consulente e valutatore) per la privatizzazione di Credito Italiano, Fintecna e probabilmente anche di altre aziende, ma aveva acquistato in prima persona consistenti pezzi del nostro patrimonio nazionale: in particolare, l’intera proprietà immobiliare dell’ENI, che si era aggiunta ad altre importanti acquisizioni immobiliari (provenienti da Fondazione Cariplo, RAS, Toro, eccetera). Draghi, comunque, restava in Goldman Sachs fino all’ultimo giorno del 2005. Nel 2006, con un altro dei suoi folgoranti rientri in patria, era nominato Governatore della Banca d’Italia.»
Fin qui il curriculum di Mario Draghi, prima della sua nomina a governatore della Banca Centrale Europea. Ma, visto che sono in vena di autocitazioni, non posso resistere alla tentazione di riportare un altro breve passaggio di quell’opuscolo, che oggi acquista un sapore vagamente premonitore: «A meno che – scrivevo nel lontano 2015 – il “Colle più alto” non venga destinato (chissà da chi?) proprio a Mario Draghi.»
Ma torniamo a chi vede in Draghi una sorta di Uomo-della-Provvidenza degli anni 2000. Veramente qualcuno pensa che un personaggio con quel po’ po’ di curriculum (Wall Street, “Britannia”, Goldman Sachs, privatizzazioni, eccetera) possa essere il “salvatore dell’Italia”? Io non credo proprio.
E certi segnali mi sembrano tutt’altro che rassicuranti. Penso alla sua entusiastica sottolineatura della collocazione dell’Italia nell’ámbito NATO (alla vigilia della figuraccia in Afghanistan). E penso anche alla sua difesa della politica dei porti aperti della Lamorgese, una politica che – non a caso – ha il plauso dei poteri forti dell’alta finanza.
E il bello deve ancora venire, quando sir Drake o i suoi successori dovranno necessariamente attuare una politica lacrime-e-sangue per rispettare i parametri di un risorto “patto di stabilitá” e, piú tardi, per restituire “i soldi dell’Europa”. In realtá hanno giá cominciato, programmando una stangata sulla casa.
No, decisamente Draghi non mi sembra l’uomo giusto al posto giusto.
Michele Rallo - ralmiche@gmail.com
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