mercoledì 27 febbraio 2019

Luigi Caroli: "1969… 2019 dall’egualitarismo al populismo" - Resoconto

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"Volevamo cambiare il mondo"
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… quello che si è svolto la mattina del 16 febbraio 2019 alla Casa della Cultura di Milano:  1969… 2019  dall’egualitarismo al populismo.

Come ormai sempre succede, il più giovane aveva …. quarantadue anni. Tutti coloro che partecipavano alle manifestazioni (che diventano sempre più rare) in difesa dei valori della sinistra lo conoscono (fa il fotografo). Qualche bel ricordo del biennio rosso 68-69 e tanti rimpianti hanno accomunato gli intervenuti. Non mi ha entusiasmato il lungo intervento del relatore. Tantomeno il suo bis finale. Quasi sempre – l’avete notato anche voi? – al momento delle domande del pubblico … manca il tempo per rispondere. 

L’intervento che mi è piaciuto di più è stato quello di Emilio Molinari che non ha parlato – non ci crederete – del problema dell’acqua pubblica ma della sua lunga attività come sindacalista alla Borletti (famosa società milanese che – probabilmente – alcuni di voi non conoscono).

Pregevole quello della storica del lavoro Maria Grazia MERIGGI. Ha disceso la ripida scaletta appoggiandosi al bastone a seguito di un infortunio.

Posato e apprezzabile quello del sindacalista (CUBSIP-la nonna di Telecom) Francesco FORCOLINI, ora felicemente “pentastellato”. Felicemente? Ha votato come il 41% dei commilitoni e spero che ne alzi il livello.

Molinari ha rievocato – con arguzia – diversi episodi che, se raccontati tre o quattro anni fa, avrebbero provocato forti rimostranze tra i convenuti.

Mi è piaciuto molto l’intervento dell’importante dirigente CGIL Carlo GHEZZI e gli ho chiesto di mandarmi – se poteva – il testo del suo intervento. Ve ne faccio volentieri dono. Qualche grosso taglio – per ragioni di tempo – l’aveva fatto lui. Qualche altro l’ho fatto io, con alcune piccole aggiunte (in corsivo).
Buona lettura. A rate, naturalmente.

Luigi Caroli – 27 febbraio 2019 


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Quando, nel novembre del 1989, cadde il muro di Berlino la stragrande maggioranza dei progressisti manifestò sentimenti di entusiasmo mescolati alla sensazione che tante angosce e tante contraddizioni fossero finalmente alle spalle.

Dopo la caduta del muro, quasi tutti i paesi del continente europeo premiarono gli schieramenti di sinistra o di centro-sinistra chiamandoli alla prova di governo mentre avanzava nel mondo un possente processo di globalizzazione privo di ogni regola ma sostenuto dalla fiducia nelle capacità del mercato di autogovernarsi e di ridistribuire la ricchezza. Per dirla con Tony Blair (il bugiardo reo confesso): “quando si sarebbe innalzata la marea, si sarebbero alzate tutte le barche, sia quelle grandi che quelle più piccole”. Immersi in queste illusioni, i governi progressisti che hanno guidato l’Europa e gli Stati Uniti negli anni novanta non seppero o non vollero indirizzare, nè tantomeno contrastare, quei processi; anzi, tesero a favorirli facendo pochi sforzi per limitarne le conseguenze dirompenti. Le stesse sinistre non mantennero come riferimento fondamentale la rappresentanza del lavoro e non seppero proporre  una cultura politica che offrisse un nuovo orizzonte per scelte diverse. Nessun “sol dell'avvenire”, antico o nuovo che fosse, fu indicato ai popoli del mondo in alternativa ai desiderata delle élites mentre le diseguaglianze arrivarono ad eccessi mai prima registrati. Lo stipendio del direttore della General Motors 500 volte più grande della paga di un operaio comune! Alla fine degli anni 60 era più grande di 30 volte e qualcuno protestava trovando il rapporto eccessivo.

Emblematico il solenne incontro dell’Ulivo mondiale di Firenze nel 1999 con la presenza di Clinton, Prodi, Cardoso, Blair, D'Alema, Schroder e Jospin. Un forum che  discusse del futuro del mondo ma che non seppe cogliere nè il carattere che la globalizzazione aveva assunto ormai da più di un decennio nè il ruolo che la finanza si era  progressivamente attribuito. Soprattutto, nessuno aveva paventato la terribile crisi economica che sarebbe esplosa da lì a qualche anno. Fu Clinton che cancellò la distinzione tra banca di risparmio e banca d'affari, imposta da Roosvelt nei primi anni trenta, aprendo così la via ai grossi scempi commessi dalla finanza.
Con la creazione di migliaia di trilioni di derivati, buona parte dei quali sono ancora celati tra gli attivi(?) delle banche.

Le componenti più radicali della sinistra, che non avevano condiviso le illusioni blairiane, non hanno tuttavia saputo contrapporre altro che generose testimonianze di antichi valori senza però riuscire ad elaborare analisi adeguate né, tantomeno, costruire piattaforme politico-programmatiche credibili agli occhi delle masse popolari. E' in questa fase storica, a cavallo della fine del millennio, che, a mio giudizio, vanno individuate le radici delle attuali grandi difficoltà della sinistra mondiale, europea e italiana.

L'esplosione della crisi economica dell'agosto del 2007 ha disvelato tutte le illusioni mal riposte nel buon funzionamento del mercato e nella possibilità che la ricchezza arrivasse attraverso il denaro anziché attraverso il lavoro. Al contrario, ha reso evidente come si fosse prodotta nel mondo una consistente svalorizzazione del lavoro. Lavoro profondamente trasformato, vistosamente segmentato e diviso. La crisi ha evidenziato l'esplosione di insostenibili diseguaglianze in una società che non è più riuscita a rilanciare la crescita e l'occupazione, nè un modello di sviluppo sostenibile  in grado di attivare politiche pubbliche, di dare regole ai mercati e ai sistemi finanziari, di affiancare alla globalizzazione dell’economia quella dei diritti.

La ricerca dell’uguaglianza, della giustizia sociale e la difesa della dignità delle persone sono svanite sostituite da un notevole disordine internazionale, da diffuse guerre locali e dai conseguenti processi migratori di bibliche proporzioni.

Dove va oggi il mondo? Quale idea perseguiamo di società, economia, mercato, rapporto tra Stato e mercato? Esiste ancora una questione sociale o anch'essa è finita con il novecento (come qualcuno assurdamente sostiene anche a sinistra)? La sinistra dovrebbe dare delle risposte convincenti, in assenza delle quali prenderanno fiato e vigore egoismo, trasformismo, populismo e – soprattutto – razzismo. Si logorerà - sempre di più - la partecipazione democratica e proseguiranno – senza ostacoli - le insensate politiche economiche europee incentrate sul rigore e sul pareggio di bilancio che ci stringono in una assurda tenaglia tra austerità e recessione e che esasperano scompensi crescenti nelle aree territoriali storicamente più sofferenti a partire dal nostro Mezzogiorno.

Il trattato di Maastricht ha avviato l’Europa della moneta e dei mercati con la libera circolazione delle persone e delle merci ma non la costruzione di una Europa economicamente e fiscalmente protesa verso una nuova e reale unità ne tantomeno una Europa sociale e dei diritti individuali e collettivi. Le forze progressiste europee, di fronte al dominio del pensiero neo-liberista, si sono limitate al blando contrasto delle asprezze più evidenti rimanendo sostanzialmente subalterne rispetto ai processi economici e sociali che si sono sviluppati. Sono drammaticamente venute meno al compito di prospettare un’alternativa.

Non hanno saputo costruire identità valoriali, progetti convincenti fatti di programmi concreti e credibili in grado di parlare al cuore come alla mente delle persone. Sono prevalsi gli egoismi nazionali in un contesto contrassegnato da gravi limitazioni della effettiva partecipazione democratica dei cittadini dei singoli paesi con i propri Parlamenti che si sono ritrovati a gestire una sovranità limitata a fronte di un Parlamento europeo che non esprime un governo reale e legittimato democraticamente. Il solo Parlamento tedesco è divenuto l’assise parlamentare a legittimità piena. 

Dominato dalle scelte economiche di Scheuble e da una cultura politica rigorista, non riesce più ad esprimere quel respiro politico che in epoche recenti personalità quali Mitterand e Kohl avevano saputo imprimere al processo unitario europeo.

Se nei due secoli che abbiamo alle spalle il mondo del lavoro e la sinistra, che è nata per dargli voce in politica, e con essa i sindacati e il movimento cooperativo hanno saputo conquistare diritti e portare regole e democrazia a mezzo del conflitto che si sviluppa laddove si lavora e si produce, dobbiamo convenire che oggi non abbiamo analisi né strumenti per intervenire adeguatamente laddove stravince la finanza e si accumula sempre di più la grande ricchezza. Dopo la crisi del 1929 erano stati cambiati alcuni dei paradigmi economici fondamentali con il keynesismo. Dopo il 2007 non è cambiato nulla.

La sinistra e le grandi masse popolari, di fronte alla finanza, paiono impotenti(il nemico è un’ombra impalpabile), non sanno proporre nuove forme di lotta. Tantomeno  regole del gioco: il banco vince per statuto. Nel confronto dei 99 contro unodenunciato da “Occupy Wall Street”, l'uno seguita a vincere e i 99 a perdere. La finanza ha abbassato un poco i toni nello scenario economico mondiale rispetto agli anni che hanno preceduto l'esplodere della crisi, ma la musica è sempre la stessa. Così, di fronte alla mancanza di una seria offerta politica alternativa, moltissimi cittadini non partecipano più né alla vita politica né al voto. Si è, nel frattempo, notevolmente indebolito il ruolo dello Stato come garante di un sistema di diritti e di doveri per tutti mentre una effettiva statualità europea non nasce. La ricchezza si va concentrando sempre più in poche mani e non vi è oggi alcuna concreta messa in discussione di tale stato di cose. Si vanno progressivamente accentuando le tensioni e i contrasti tra i poveri e i migranti, tra gli ultimi e i penultimi sempre più gravati dalla paura del diverso.

Le nuove drammatiche vicende della pace e della guerra, della emigrazione di massa di tantissimi diseredati nel Mediterraneo, in Africa e nel Medio Oriente così come le tensioni esplose in Ucraina hanno trovato l'Europa e le sinistre incapaci di elaborare una proposta politica unitaria e incisiva per fermare le guerre in corso, per frenare le vendite di armi, per costruire conferenze di pace e soluzioni dei conflitti, per lanciare nuovi Piani Marshall in aiuto a quei martoriati territori che vanno radicalmente ricostruiti. Solo tali iniziative potrebbero contenere i processi migratori in atto. Non si può mettere la testa sotto la sabbia lasciando solo Papa Francesco a denunciare i disastri che stanno a monte di tali giganteschi processi migratori. Non basta la nostra solidarietà con i migranti ma, se non vogliamo fornire nuovi arruolati alla malavita organizzata, occorre realizzarne oltre all'accoglienza l'integrazione con il lavoro, la casa e il welfare. Oltre all'insegnamento della lingua, così come avviene in Germania. 

Purtroppo queste tematiche riguardano anche moltissimi italiani, sopratutto i più poveri. Occorre quindi costruire un ampio fronte comune, che costruisca una forte alleanza tra gli ultimi e i penultimi. Altrimenti la contrapposizione tra loro diventerà
devastante.

E’ urgente inquadrare tutto ciò nella costruzione di un’Europa unita contrassegnata da un modello sociale caratterizzato da un welfare rinnovato nelle forme ma confermato nei suoi cardini fondanti. Ripensare l’Europa e la sinistra rappresenta oggi la vera sfida. Senza un’Europa sociale, senza il governo unitario del suo sviluppo economico, senza un sistema fiscale europeo che attui una raccolta di risorse e una redistribuzione della ricchezza, un’Unione europea, rigorista e in stagnazione, mostrerebbe il fallimento del sogno di un continente unito e solidale. L’anti-europeismo sarà sconfitto solo se sarà sconfitto il neo-liberismo e se il Social-compact prenderà il posto del Fiscal-compact.

Occorre cambiarne radicalmente le politiche economiche, ma per fare questo occorre che i progressisti escano definitivamente dalla sbornia neo-liberista e dal sostegno acritico alla globalizzazione che li ha coinvolti e illusi per troppi anni. Le forze del lavoro debbono saper promuovere un grande sindacato unitario europeo, un soggetto rivendicativo capace di produrre un’azione incisiva fondata su una autonoma funzione generale. Occorre passare dall’attuale coordinamento costituito oggi dalla Ces (Confederazione Europea Sindacati – l’attuale segretario è l’italiano Luca Visentini) a un soggetto rivendicativo capace di produrre contrattazione. Serve all’Europa un patto politico che contenga la costruzione di un organico sistema di diritti, basato su valori fondanti e condivisi che coinvolga i suoi cittadini, capace di fornire una legittimazione piena alle nuove istituzioni continentali con un patto politico che contenga un patto sociale così come realizzato nella Carta costituzionale del nostro paese e nelle esperienze costituzionali più importanti del continente.

Occorre giungere alla formazione di grandi partiti di sinistra costruiti su base continentale e dotati di una forte autonomia politica e culturale. Divisi, non si va oggi da nessuna parte; il progetto di creazione degli Stati Uniti d’Europa non ha alternative pena una drammatica sconfitta dalla quale, di fronte agli Usa, alla Cina o alla Russia, non si salverebbe nessun paese, nemmeno quelli apparentemente più forti.
Di fronte al fallimento delle ricette neo-liberiste e delle élites che le hanno sostenute e di fronte alla mancanza di un convincente progetto della sinistra, le destre raccoglieranno inevitabilmente malumori, insicurezze, paure e disagi che animano ampi settori popolari. Quanto successo nelle elezioni presidenziali americane è stato emblematico: tante forze del lavoro hanno finito per votare per Donald Trump così come in Francia molti lavoratori si sono orientati a votare per Marine Le Pen, come tanta parte dei ceti popolari votano in Italia per la Lega o per il movimento ideato da Beppe Grillo che dichiara non essere né di destra né di sinistra. Tra il politico amico dei banchieri e il populista l'uomo della strada tendenzialmente è portato a scegliere il populista (se non intravvede una credibile alternativa) che si faccia davvero carico dei suoi problemi e dei suoi travagli.

E tutto ciò non può che sollecitare una sinistra troppo pigra nel produrre analisi, progetti, programmi, identità; una sinistra troppo incerta nel riaffermare il proprio antico sistema di valori declinandolo adeguatamente e confrontandosi con le novità che le società moderne le pongono a partire dal rapporto con il lavoro, con l’ambiente e con la finitezza delle risorse mentre le diseguaglianze stanno esplodendo come mai nella storia dell’umanità.

Una sinistra è utile se non si limita a testimoniare, ma se è capace di contribuire a cambiare il presente stato delle cose.

Carlo Ghezzi

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