Che cosa c’é dietro la
mossetta di Renzi? Tante, tantissime cose. Vediamo quali sono, o quali
potrebbero essere.
Primo: tornare ad avere
un ruolo. Il Pifferaio dell’Arno non ne aveva piú dall’indomani
della scissione dal PD. La sua Italia Viva era inchiodata al 3% nei
sondaggi e, se si fosse per avventura andati al voto, rischiava
seriamente di rimanere fuori dal parlamento. Adesso, invece, malgrado
la proverbiale coerenza del suo capo, la creatura renziana é tornata
ad essere un soggetto politico di cui tenere conto.
Secondo: la marginalitá
nella coalizione di governo. Democratici e Cinque Stelle erano gli
azionisti di maggioranza, e i renziani erano considerati i parenti
poveri, un po’ come LEU. Ora Renzi si é ripreso la scena o,
almeno, un settore della scena, pari almeno a quelli di Zingaretti e
di quel titáno di Di Maio.
Terzo: l’insopportabile
padreternismo di Conte, la sua arroganza, la sua sicumera, il suo
credere di essere piú furbo degli altri. Renzi lo ha voluto
richiamare alla realtá, dicendogli chiaro e tondo di essere in grado
di buttarlo giú dal trono.
Quarto:
la spartizione della torta politica. Che Giuseppi si togliesse dalla
testa di poter “gestire” in prima persona (con la foglia di fico
di una cabina di regía) i 200 e passa miliardi del Recovery Fund,
con l’unico fastidio di dare qualche contentino a PD e 5S. Idem per
la prossima infornata di nomine di sottogoverno. Renzi non chiede di
avere “pari dignitá” rispetto ai due soci di maggioranza, ma
muove un attacco frontale a Giuseppi, intimandogli di smettere di
fare il padrone del pastificio. Il Mattacchione toscano non si
accontenterá – voglio credere che sia vero – di uno strpuntino
accanto alle seggiole di Zinga e Giggino, ma pretende che Giuseppi
rinunzi alla sua pretesa (di assi dubbia costituzionalitá) di
bypassare sistematicamente governo e parlamento, a colpi di DPCM e di
task force.
Quest’ultimo punto é
quello piú interessante, quello maggiormente carico di incognite e
di interrogativi. Non c’é dubbio, infatti, che Renzi abbia
lanciato un vero e proprio guanto di sfida a Conte. O il premier si
rimangia il suo incredibile comitato di gestione dei 200 miliardi, o
Italia Viva gli ritira la fiducia e lo manda a casa. Il che
significherebbe costringere Giuseppi a perdere la faccia. Perché, in
caso contrario, a perdere la faccia sarebbe il Rodomonte fiorentino;
cosa che, con i suoi precedenti, Renzi non puó assolutamente
permettersi.
Fin qui gli scenari
ipotizzabili, almeno a mio modesto parere. Ma – volendo spingersi
un po’ oltre – ci si potrebbe anche chiedere come mai Renzi si
sia spinto tanto in lá, fino a un punto di non ritorno. Per un
azzardo? Per semplice antipatia verso un personaggino indisponente?
Non credo. Credo, piuttosto, che il Mattacchione sappia qualcosa che
altri non sanno.
Naturalmente, siamo nel
campo delle semplici illazioni. Ma, se dovessi fare una scommessa,
scommetterei sull’ipotesi che in qualche salotto buono ci si sia
finalmente stancati di Giuseppi e si sia decretata la sua uscita di
scena. Naturalmente – é sempre la mia personale opinione – la
fine di Giuseppi non preluderebbe ad elezioni anticipate; ipotesi che
ai salotti non piace.
Allora, il Renzi potrebbe
aver avuto la quasi certezza che si vorrebbe scaricare il gabinetto
di Giuseppi II e sostituirlo con il piú volte evocato “governo di
unitá nazionale” guidato – guarda un po’ – da Mario Draghi.
E che qualcuno pensasse a
un governo di cosiddetta unitá nazionale (una specie di Monti bis)
potrebbe forse desumersi anche da certe mezze aperture sussurrate a
bassa voce dall’altro Matteo, il lombardo. Quello di un governo del
genere , infatti, é un vecchio pallino di quel tal Giorgetti che ha
la fissazione di togliere la felpa a Salvini e di agghindarlo con
giacca e cravatta, di trasformarlo da capopopolo d’assalto
in moderato di complemento. Fortuna che una
prospettiva del genere é stata stoppata da Giorgia Meloni che in questo frangente ha dimostrato lungimiranza...
Michele Rallo
N.B. All'ultimo momento,
apprendo che il governo giallorosso sarebbe in mistica adorazione
delle regole di assoluto rigore varate dalla cancelliera Merkel per
fronteggiare il Covid nei giorni di festa. A Conte, Casalino, Arcuri
e Associati, peró, sfugge un particolare di non poco conto: e cioé
che il governo tedesco versa in pronta cassa il 90% dei mancati
guadagni alle imprese costrette a sacrificarsi. Avete capito?
Rimborsi in moneta sonante, non “ristori”. Aiuti veri, non
elemosine...