lunedì 7 maggio 2012

Superare il concetto del "baratro".... per approdare nel bello, nel vero, nel giusto...

sposalizio


Siamo, con tutta evidenza, in una fase di transizione, verso un "mondo", una "civiltà" i cui lineamenti non ci sono ancora del tutto chiari, anche se attualmente sembra che tutto, ineluttabilmente, vada verso uno "sfacelo", una "barbarie", un totale "non senso". Ora, siccome un obbrobrio unilaterale, un totale buco nero, non è possibile, l'unica via d'uscita, secondo me, per raccapezzarsi in tutto questo guazzabuglio, è cominciare a smetterla di vedere solo e sempre catastrofi e tirare fuori la "bellezza" che c'è in noi.

Con questo non voglio dire che in determinate realtà non esistano gravi problemi generati anche - e sottolineo anche - da un eccessivo afflusso di immigrati, perlopiù in quartieri popolari, mentre in quelli "bene" - dove vivono i benpensanti che predicano le virtù del "multiculturalismo"- non se ne vede nemmeno l'ombra. Varie situazioni sono dure da sostenere e non è nemmeno giusto che dei politici cialtroni le impongano alla gente.

Tuttavia, sta a noi - noi italiani e gli immigrati intenzionati ad "integrarsi" (il che non vuol dire trasformarsi in quello che non sono né appiattirsi su un qualche "decalogo del bravo cittadino" così come lo vuole il "mondo moderno" ateo)- uscire dalla logica del piagnisteo e proporci con una identità forte e sicura, ma non tanto per darsene una purché sia una da usare come una clava verso chi viene da fuori, bensì per "integrarlo" e, nel breve volgere di tempo, farlo sentire "come noi"; o meglio in maniera che da questo incontro emerga una sintesi, una nuova "civiltà" secondo le eterne linee di vetta del Giusto, del Bello e del Vero: qualità che l'uomo ha dentro di sé, ma che possono emergere solo grazie ad una costante ascesi. La questione è quindi: cosa sappiamo tirare fuori da dentro di noi come "italiani"? Non è che ci si lamenta e poi, come si dice a Napoli, "si piagne e si fotte"?

Siccome ho vissuto - venendo da fuori - la mia infanza a Siena, e conosco bene tutto il meccanismo del Palio e delle Contrade (concepite e vissute come tante piccole patrie che compongono la più grande Patria), pur ammettendo la singolarità della situazione senese, è quello il modello da seguire: anche il bambino giunto da fuori, attraverso tutto un rituale, un calendario di "feste" in cui "sacro" e "profano" si mescolano ecc. si sente subito "senese", anziché sentirsi "né carne né pesce", e se si farà una famiglia a Siena quella sarà una famiglia a tutti gli effetti senese. E anche i genitori, in una certa misura, poiché lo accompagnano alle varie ricorrenze e respirano perciò un dato "clima", sono aiutati a non sentirsi perennemente degli sradicati. Cosa è rimasto nel resto d'Italia a parte questa "isola felice" (che tuttavia è anch'essa assediata dalle sirene della "modernità")?

Per il resto, si fa un gran parlare di "identità", ma di contenuti davvero imperituri a me non pare di vederne.

A me, "l'italianità" così come viene propinata in ogni sua forma oggi sa di posticcio - un "nazionalismo" molto "americano", ideologico, non legato alla terra - e addirittura elemento esso stesso di perversione nella direzione qua sovente esecrata. Fino a un po' di tempo fa mi rodevo il fegato al pensiero di che fine stanno facendo l'Italia e gli Italiani, ma poi ad un certo punto in me è scattato non tanto un "menefreghismo" quanto la consapevolezza che se ad un certo punto gli autoctoni non sono in grado né di darsi dei veri capi né di vivere nel rispetto degli avi e della terra, e ancor meno di concepire e vivere il senso del sacro, tanto vale che andiamo oltre questo perpetuo stato tra l'indignato e il malinconico per i "bei tempi che furono". Secondo me, come "italiani" l'ultima occasione ce la siamo giocata settant'anni fa, ed il resto è solo un fatale decadimento.

Se poi gli immigrati fanno molti più figli, il problema non è loro, ma nostro. Una comunità sana non è quella del figlio unico o del "single".

E una comunità, quando non crede più, quando non prega più, quando smette di "ringraziare", si scava inesorabilmente la fossa. Cosa sono ormai "gli italiani"?

Hanno, a parte un'esigua minoranza, una loro religiosità? Rispettano le leggi divine? Hanno a cuore davvero il loro "patrimonio" oppure si scandalizzano a comando solo quando c'è da dare addosso a qualcuno? Guardate che queste sono domande essenziali, e prima di inorridire per una moschea o un muezzin, io mi preoccuperei e parecchio dell'ateismo dichiarato o di fatto (anche più pericoloso del primo) che informano il nostro vivere sociale, economico, politico e culturale.

Tutto questo non è discettare del "sesso degli angeli"... Se ci rivolta lo stomaco la moneta così come viene concepita e usata, se ci deprime il livello abietto della politica, se troviamo insulsa e falsa la "cultura moderna", se intuiamo che l'uomo non è la "macchina" a cui la medicina moderna cambia i "pezzi di ricambio"... beh, tutto questo dipende da un problema di fondo del nostro come di tutti i popoli "moderni", felici del loro essersi lasciati alle spalle "il passato" e la "superstizione".

Su questo tema credo che dovremo tornare, per capire il senso di una "informazione" che qui si fa circolare e non poco, ma forse senza aver chiaro dove si dovrebbe andare a parare.

Enrico Galoppini

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Commento di Giorgio Vitali:

MA IL PROBLEMA è QUESTO: IL SENSO DI APPARTENENZA AL LUOGO!! A VOLTE I NUOVI ARRIVATI LO HANNO PIù DEGLI STANZIALI!

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