venerdì 30 settembre 2011

La Turchia ed il nuovo ordine mondiale... Articolo di Maurizio Blondet con introduzione di Giorgio Vitali




Introduzione di Giorgio Vitali:
Questo articolo eccezionale deve essere letto e meditato. COME DA NOI previsto, esclusivamente sulla base di valutazioni puramente geopolitiche (la geopolitica è l'unica scienza obiettivamente predittiva) quanto da Blondet scritto corrisponde ad una verità lampante. Anche la questione relativa all'impossibilità da parte USA di controllare il mondo che pretende di dominare, CI RICORDA in maniera luminosa la crisi dell'Impero Romano, che cadde perchè NON era in condizione di controllare i confini, troppo estesi di fronte alle nuove potenze che stavano creando una MULTIPOLARITA' chiarissima. Solo personaggi del calibro dell'Imperatore Giuliano, nel tardo 300 era all'altezza di affronare questi problemi. Capace com'era di farsi a cavallo la traversata dalla Gallia (dove aveva annullato il rischio dell'invasione germanica) alla Persia. (Vedi caso: il teatro è sempre questo!!) ma poichè il personaggi rappresentava un grande rischio per il cristianesimo nascente fu ASSASSINATO mentrte combatteva proprio contro i persiani. RESTA il fattore TALMUD. Qui il fanatismo religiso gioca una carta che mette a repentaglio la pura esistenza della stessa NATURA VIVENTE. Mi auguro ( ci auguriamo) che questi fondamentalisti trovino proprio all'interno della loro CONGERIE il nemico più fermo. da molti segnali ciò appare con sempre maggiore evidenza.



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Corrispondenza...

«Egregio Maurizio Blondet,

Le scrivo per chiedere un Suo parere riguardo le ultime evoluzioni geopolitiche della Turchia, in particolare le dure prese di posizione di Erdogan contro lo Stato di Israele nonché la proposta di una leadership turca nel processo di democraticizzazione islamica, che potrebbe scompaginare i piani euro-americani in Africa e in Medioriente. Mi chiedo innanzitutto se questa recente virata della Turchia non possa essere un pericolo, in particolare per Israele, ed essere causa un domani (speriamo lontano) di uno scontro bellico di grande portata. È possibile secondo Lei che venga a crearsi un asse Iran-Turchia? Voglio dire: il sentimento anti-israeliano (oltre che anti-americano) è ben radicato nello spirito e nei cuori dei popoli arabi (come biasimarli), e basta una scintilla per fare esplodere una bomba di dimensioni enormi. Potrebbe venire dalla Turchia questa scintilla? Israele, secondo Lei, cercherà di trovare accordi diplomatici per evitare uno scontro del genere, oppure come al solito getterà benzina sul fuoco? In secondo luogo devo dirle che quando ho letto alcune dichiarazioni di Erdogan non ho potuto che trovarmi in completo accordo. Finalmente qualcuno che parla dei crimini e delle irresponsabilità di Israele apertamente, senza alcuna paura, e che è capace di far seguire i fatti alle parole, interrompendo i rapporti commerciali e militari con il governo israeliano. Mi chiedo però: dov’è la fregatura? Voglio dire, la Turchia è un Paese, come Lei mi insegna, fortemente influenzato dalla presenza ebraica, in particolare da quelli che un tempo erano chiamati ‘dunmeh’. Che fine hanno fatto? Come ha fatto Erdogan a sbarazzarsi dei suoi generali kemalisti? Bisogna fidarsi di questo ometto con i baffi? Infine le chiedo cortesemente: Secondo Lei siamo sull’orlo di una Nuova Guerra Mondiale

Stefano A».


Anche i commentatori occidentali mainstream si pongono la stessa domanda: fidarsi di questo ometto coi baffi? Erdogan mira ad una egemonia turca nel mondo islamico? Tutti imbarazzati al massimo grado dal suo atteggiamento verso l’intoccabile Israele. Qualcuno s’è persino chiesto: Erdogan è ormai prigioniero della sua stessa retorica?

Insomma al minimo, un esaltato, al massimo un sovvertitore, un pericoloso islamista en cachette. Nessuno, proprio nessuno che noti l’evidenza: la Turchia di Erdogan s’è levata contro Israele non in nome del diritto islamico, ma in nome delle norme del diritto internazionale, quel fondamento della civiltà che soleva chiamarsi Diritto Pubblico Europeo; quel diritto che l’Europa stessa dovrebbe invocare e applicare contro i trasgressori, e da cui invece, per paura e vile servilismo, esenta lo Stato sionista.

L’eccidio compiuto dagli assassini di Stato giudaici sulla Mavi Marmara, in acque internazionali, è un atto di pirateria, delitto internazionale secondo il diritto che la civiltà europea ha dettato al mondo, ricorda Erdogan ai nostri governanti europei ciechi e sordi. Ha chiesto le scuse e le riparazioni e, non avendole ottenute (Israele non deve chiedere scusa mai, essendo il Messia di Sé) ha ridotto al minimo i rapporti con lo Stato sionista, trattandolo cioè come merita uno Stato-canaglia, che pratica il terrorismo internazionale e che non accetta responsabilità di fronte al resto dell’umanità. Ciò è secondo il diritto europeo. Tant’è vero che il governo turco sta valutando di accusare Israele presso la Corte di Giustizia dell’Aja, che non adotta la sharia come codice.

L’indignazione furiosa che Erdogan mostrò in una memorabile apparizione su Al Jazeera, nel gennaio 2009, di fronte alla ferocia di Piombo Fuso contro i civili a Gaza, il massacro al fosforo e alle bombe al tungsteno, per di più esercitato dopo mesi e mesi di blocco dei seicentomila prigionieri palestinesi a cui Sion nega il cibo e i mezzi essenziali per vivere, corrisponde ad un riflesso di civiltà ancora più antico, ed ancor più europeo: il diritto delle genti, il romano jus gentium.

Era la ribellione in nome del semplice, elementare principio di umanità, la cui assenza – nell’Europa del tempo che fu – distingueva la barbarie dalla civiltà. Erdogan ricordò allora che nei giorni del breve conflitto tra Russia e Georgia per il Sud-Ossetia, «tutti sono intervenuti immediatamente, le Nazioni unite, l’America, la UE, la NATO, noi stessi. Ed oggi, perché non si vede nessuno muoversi per Gaza?». Era una domanda che doveva farci vergognare come europei, come pretesi portatori della civiltà cristiana e universale. (Outspoken US professors slam Palmer report, approve Turkey's position)

Il Rapporto Palmer, l’inchiesta ordinata dall’ONU per il delitto della Mavi Marmara, ha non solo assolto Sion dall’eccidio, ma ha definito il blocco e la messa alla fame di Gaza «legale», in vista della autodifesa di Israele. Non è difficile vedere da che parte stia la verità. Se mai, Israele può bloccare l’entrata di armi a Gaza, ma non del cibo, né le esportazioni verso l’estero. E a dirlo è stato il professor John Mearsheimer (il coautore con Walt del saggio sulla Israeli Lobby), rispettato giurista internazionale, ha ricordato che il blocco di Gaza e gli attacchi alla sua popolazione costituiscono un atto di punizione collettiva – evocatrice della colpa collettiva dei palestinesi che hanno scelto Hamas alle elezioni – illegale secondo le convenzioni di Ginevra, e per cui ci sono state le note impiccagioni a Norimberga.

Ora, lei si domanda: dov’è la fregatura? Erdogan ha un disegno egemonico, che la spaventa, come spaventa i giudei e gli americani?

Temo che una simile domanda riveli la subalternità alla degradazione del mostro talmudico armato, speculativo e globale, che ha usurpato il nome di Occidente, e per odio al mondo islamico si maschera da cristianismo crociato. Per questo mostro armato, che è subnormale anche filosoficamente e mentalmente, egemonia ha il solo significato di brutale oppressione, occupazione e violenza, guerra infinita. Ora, quella che Erdogan e il suo gruppo esprimono, è una egemonia dei principi universali, della legittimità e della sovranità (senza cui legittimità non esiste) e anche della verità (quella verità che non si osa dire sul sionismo terrorista), che – bisogna perlomeno riconoscerlo – ha qualità opposte rispetto alle egemonia del mostro: quest’ultima è devastatrice e da oltre un decennio destabilizza, saccheggia, trasforma in deserti umani e civili i luoghi umani dove si espande ed esporta la democrazia o il mercato. Quella del governo turco è strutturante, cordiale, e la sua forza è nel suo richiamare il mostro ai principii universali della civiltà tout-court.

Non voglio fare un ritratto angelista del governo turco. Voglio dire che, forse, Erdogan ha capito quel che i nostri politici, e il centro del potere di contro-civiltà globale che fa capo a Washington, a Wall Street e a Gerusalemme, non ha compreso: che il sistema egemonico d’oggi, pur gigantesco, è in via di autodistruzione, soffocato dalle sue corazze di armamenti e dai suoi debiti e soprusi, che lo costringono a vivere di spada e di menzogna. Penso che la nuova Turchia abbia fatto la scommessa politica che il Sistema di contro-civiltà si stia autodemolendo in una catena di crisi convergenti e mai viste, e che il futuro non gli appartenga. Che il futuro appartenga ad un mondo multipolare, dove sarà importante affermare le sovranità, la loro legittimità, la loro identità e la loro convivenza in un quadro di diritto.

Naturalmente, si teme invece (la propaganda loro ci è entrata dentro a tutti noi) che la nuova Turchia neo-ottomana voglia mettersi alla testa dell’Islam. Dopotutto, Erdogan è stato acclamato come una rockstar dalla piazza del Cairo, durante il suo ben organizzato tour delle primavere arabe, di cui palesemente vuol presentarsi come leader morale – nel senso però dell’esempio di un islamismo moderato, a suo agio nella modernità, senza complessi d’inferiorità, il solo Stato musulmano che vanti un successo economico stupefacente, con una crescita del 7% annuo, di cui può essere legittimamente fiero.

Anche ad Ankara, palesemente, le primavere arabe non erano state previste; ma solo Ankara ha potuto mostrare che non le considera un rischio, laddove gli occidentali sono inquieti, colti di sorpresa, imbarazzati dalle richieste di giustizia sociale e politica, diffidenti, pronti a giudicarle un pericolo come vuole Israele... per non parlare della vergognosa aggressione franco-inglese in Libia.
I temi sviluppati da Erdogan in Egitto, Libia e Tunisia hanno fatto appello alla volontà di emancipazione dei Paesi arabi, ma attento a non aderire a velleità pan-islamiste e di rivincita panislamica (con i pesi e le costrizioni legate a un regionalismo religioso, ad una sharia). Ha fatto appello al nuovo Egitto per una partnership che sia «un’àncora di stabilità» nella regione, non per un ritorno alla scimitarra e al turbante.

Ahmet Devatoglu
C’è un pensiero collettivo dietro la politica turca, la cui potenza intellettuale è stata colta dal New York Times: non a proposito di Erdogan ma del suo ministro degli Esteri, Ahmet Devatoglu: «Un intellettuale più che un politico, anche se con un dono diplomatico per gettare ponti», uno che è stato capace di parlare «ai ribelli libici a Bengasi – in arabo» (cioè senza interprete), e che ha detto ai tunisini appena liberatisi del loro caporione: «Non siamo qui per insegnarvi nulla, voi sapete cosa fare. I nipoti di Ibn Khaldoun meritano il miglior sistema politico».

Ibn Khaldoun fu il massimo filosofo del mondo arabo, e nacque a Tunisi nel 14mo secolo. Evocare il suo nome sarà stato una sorpresa per gli osservatori occidentali, ed anche, penso, per molti tunisini. Ai quali, nella loro pochezza odierna, Devatoglu ha detto, in fondo: «Tunisini, siate all’altezza della vostra storia, della vostra grandezza». Si attende con ansia, qui, un politico capace di una simile esortazione ad europei ridotti a volare basso nella dipendenza da USA e da Israele, perdenti dell’oceano della globalizzazione, culturalmente subalterni fino al ridicolo. (Turkey Predicts Alliance With Egypt as Regional Anchors)

Il lettore mi chiede come Erdogan sia riuscito a liberarsi dei generali kemalisti, appartenenti (lo ammette anche Wikipedia in inglese) alla setta cripto-giudea dei dunmeh, antichi seguaci di Sabbatai Zevi che, in talmudica doppiezza, professavano esteriormente l’Islam (l’Encyclopedia Judaica dichiara che lo stesso Ataturk era un ebreo dunmeh).

Probabilmente non è informato che i kemalisti – questi golpisti corrottissimi, cui i media e le diplomazie occidentali hanno sempre perdonato, se non lodato, i successivi colpi di Stato come «salvaguardia della laicità dello Stato» contro la religione islamica – sono oggi sbandati da un’iniziativa giudiziaria che ha smantellato il gruppo clandestino Ergenekon (una specie di Gladio dunmeh) accusato, con buoni motivi, di sovversione contro il governo eletto di Erdogan e del suo partito, AKP. Ritengo che i generali, molti dei quali incarcerati, non risorgeranno tanto presto. Sotto questo dominio, la Turchia era ovviamente l’antimurale dell’Occidente contro l’URSS; e i generali kemalisti facevano affari col complesso militare industriale americano, e molti altri, mano nella mano (e sottomano) con Israele, e con la lobby a Washington.

Ora, il rivolgimento geo-politico è stato nettissimo. Nell’agosto del 2008, quando la Georgia (armata ed istigata dagli israeliani) attaccò l’Ossetia del Sud attirandosi l’immediata risposta armata della Russia, Erdogan fu il primo a volare a Mosca per assicurare Putin del sostegno turco. Si sa che il discorso che Putin pronunciò nel febbraio 2007 a Monaco, di fronte agli alleati occidentali, aveva fortemente impressionato il governo turco.

«Oggi», aveva detto Putin, «vediamo nelle relazioni internazionali un iper-uso della forza militare praticamente illimitato, forza che getta il mondo in un abisso di conflitti permanenti (...). Assistiamo ad un sempre maggiori disprezzo per i principi basilari del diritto internazionali... Un solo Stato, e naturalmente prima e soprattutto gli USA, scavalcano i loro confini nazionali in ogni modo; ciò è visibile nei campi dell’economia, della politica, nella cultura e nell’istruzione che essi impongono alle altre nazioni. Azioni unilaterali e spesso illegittime non hanno risolto nessun problema, anzi hanno causato nuove tragedie umane, creato nuovi centri di tensione. Il dominio della forza nelle relazioni internazionali induce diversi Paesi a fornirsi di armi di distruzione di massa... Sono convinto che abbiamo raggiunto il momento decisivo in cui dobbiamo seriamente pensare all’architettura della sicurezza globale».

Mentre il segretario della NATO, l’olandese De Hoop, rispondeva accusando la «disconnessione fra la crescente partnership dell’Occidente» (sic) e le dichiarazioni di Putin, i turchi hanno capito che un’altra potenza faceva appello ai principii del diritto europeo e della legittimità, che l’Occidente calpesta da un decennio. Principii universali (eredi del diritto romano) non, ripeto, una sharia islamica – la quale non ha mai potuto concepirli.

Il massacro di inermi di Piombo Fuso e l’aggressione alla Mavi Marmara, poi, hanno convinto il nuovo governo turco che quei princìpi andavano difesi con intransigenza, e nello stesso tempo con partner e alleati di un diverso ordine mondiale. Ed essendo la Turchia «al centro di tutto» (come ha detto il suo presidente Gul), cerniera tra Europa ed Asia, fra nord russo-caucasico e sud mediterraneo, fra Islam e modernità, e (fatto non trascurabile) tra Iran e la contro-civiltà occidentale, sa approfittare di questa privilegiata situazione geo-politica con consumata abilità.

Insomma, il governo Erdogan gioca le sue carte. Nessuno può garantire che non commetta errori in questo attivismo non privo di rischi dove ha un nemico di cui conosciamo la potenza presso i goym, la ferocia e la paranoia (e la capacità di montare attentati terroristici false-flag); nessuno può assicurare che la popolarità non gli monti la testa, che evolva in neo-ottomanismo, in nasserismo o in bonapartismo (aggressivo, espansionista) islamista. Ma questa incertezza è inerente all’instabilità dei tempi, alla fine dei blocchi che non ci hanno lasciato strade tracciate e tranquillanti a cui avevamo fatto la (brutta) abitudine.

Quel che possiamo dire è che, per ora, Erdogan e il pensiero collettivo che gli è dietro si muove a difesa di principi alti, prima che per propri ottusi interessi. Che ha posto gli interessi della nuova Turchia nella scommessa di una restaurazione della legittimità e dignità, non solo la propria, ma quella degli altri, a cui la offre.

Questo è, oso dirlo, spirito europeo. Che allontana ancor più la prospettiva di entrata della Turchia in quest’Europa, dove le ostilità alla sua integrazione si espandono, con l’esibizione di «difesa dei valori cristiani», che va da Sarkozy ai neocon ed agli atei devoti di stampo giudaico, abili a manipolare un Papato giudaizzante e disinformato. Ma è la Turchia che ci guadagna da questa esclusione: «Entrare in Europa» adesso, sarebbe contribuire a pagare i conti dei debiti pubblici dei PIIGS, aderire ad una moneta rovinosa di incerto futuro, ad una politica servile verso “Usrael” e che lega le mani; entrare nella corrente destrutturante e dissolvente in atto di rivolgersi nella propria autodistruzione, di cui la UE fa parte integrante ancorché subalterna. Se c’è un difensore dei valori cristiani (di universalità, di diritto eguale, di cordiale offerta di dignità dei popoli) certo è più Erdogan che Sarkozy o Giuliano Ferrara, o popolazioni che di cristiano non hanno più nulla, nemmeno il ricordo storico.

Siamo sull’orlo della guerra mondiale?

Anche questo domanda alla fine il lettore. E ne dà quelli che gli paiono segni premonitori, nella parte della lettera che metto sotto in nota (1). Non tacerò che in ambienti americani, contigui al Pentagono e a quei centri neocon che stilarono il progetto Rebuilding the american Defense (quel programma di riarmo mostruoso per rendere accettabile il quale i Wolfowitz, Cheney, Kagan auspicavano «una nuova Pearl Harbor») (2), in questi mesi si sta valutando lo scatenamento di una grande guerra come opzione per far uscire l’impero dalla crisi. Visto che gli USA uscirono dalla Depressione innescata nel 1929 solo con l’entrata nella Seconda Guerra Mondiale che rimise in moto il potente sistema industriale inceppato dalla scarsa domanda, aumentò prodigiosamente i consumi e garantì il pieno impiego – ragionano costoro – perché non riprovarci?

Il sito DoDBuzz, che riporta certe indiscrezioni dal Pentagono, ha recentemente rivelato che uno studio di fattibilità è stato condotto (commissionato da chi?) dal Center for Strategic and Budgetary Assessment, considerato il miglior think-tank (formalmente privato) per quel che riguarda la valutazione della potenza militare USA. Il suo sito può essere studiato con prefitto: http://www.csbaonline.org/

La conclusione dello studio, condotto da due tecnocrati del settore, Barry Watt e Tod Harrison, pare sconsolata: oggi gli Stati Uniti non sono più in grado di «innescare il grande sforzo industriale pari a quello che formò ‘l’arsenale della democrazia’ nella seconda Guerra Mondiale». (America’s hidden industrial ‘surge’ weakness)

E ciò non solo perché l’America di allora era la prima potenza industriale dell’epoca, le cui industrie in crisi poterono facilmente essere risvegliate, mentre oggi è una potenza de-industrializzata che conduce le sue guerre a credito e su scarponi Made in China; ma soprattutto perché il progetto stesso di una grande guerra, necessariamente mondiale e dai mezzi enormemente divoratori di ricchezza, si avvicina alla sua impossibilità industriale ed economica.

Già le attuali guerricciole contro nemici risibili e selezionati dagli USA per vincere facile, hanno mostrato che la superpotenza ha un bassissimo livello di riserve: «La US Navy ha sparato 200 missili da crociera Tomahawk nei primi giorni dell’intervento in Libia, ossia la quantità che il Pentagono acquista in un anno. Peggio: i sistemi di lancio verticale della Marina da guerra non possono essere ricaricati in mare, il che significa che se il vostro incrociatore spara tutte le sue armi, poi è fuori gioco finché non raggiunge un porto amico».

Durante la Seconda Guerra Mondiale, le industrie normali poterono essere facilmente riconvertite agli armamenti, la Ford dalla produzione di auto passò a sfornare componenti importanti del bombardiere B-24. Oggi, la specificità dei prodotti bellici, la loro altissima tecnologia e i metodi di produzione rendono impossibile tale riconversione, se non altro perché esigono una notevole manodopera di una qualità introvabile nel settore metalmeccanico.

Dagli anni ‘70, a cui risalgono gli F-15, F-16 ed F-18, il sistema americano non è più riuscito a completare un programma di produzione di aerei da combattimento. La messa in cantiere di quattro apparecchi, tutti a tecnologia invisibile (F-117, A-12, B-2 ed F-22) doveva concludersi con la produzione di 2.378 esemplari; la produzione dei quattro aerei ha raggiunto a malapena i 267 esemplari, e le restrizioni di bilancio rendono problematica la continuazione. Dell’F-35 non è nemmeno il caso di parlare, tante sono le difficoltà e i sovraccosti che incontra. Beninteso, la preparazione per la terza guerra mondiale potrebbe comunque essere tentata; ma, dicono Watts ed Harrison, a prezzo di una «politica industriale» radicale, che implicherebbe la nazionalizzazione del complesso militare-industriale e la trasmutazione dell’intera economia in senso socialista: il che, nel clima ideologico e di opinione corrente, è al disopra delle forze di un potere politico debolissimo, in mano agli interessi privati.

A vantaggio degli USA c’è il fatto che gli avversari nell’ipotetica guerra mondiale, essenzialmente Cina e Russia, non hanno lo stesso grado di sofisticazione bellica, né la stessa capacità di proiezione planetaria, essendo le loro forze dimensionate per il controllo della sicurezza nei rispettivi teatri regionali. Ma proprio questo le mette in posizione difensiva – più facile da reggere – mentre la sola potenza capace di portare la guerra a lunga distanza (gli USA) rischiano di degradare velocemente nell’impasse e nella impotenza. Gli avversari per contro hanno potenzialità di mobilitazione molto superiori. Si pensi che nel 2007, un progetto di fattibilità del Pentagono per un attacco di terra contro l’Iran (progetto ben più limitato che una guerra mondiale), valutò necessaria la mobilitazione di un milione di uomini, il cui addestramento ed equipaggiamento avrebbe richiesto due-tre anni.

La smetto qui. Ciò che ho detto basta a concludere che non solo l’idea di innescare una ripresa economica appiccando una guerra mondiale è assurda («Peggio che un delitto, una scemenza», avrebbe detto Talleyrand), ma che simili progetti possono essere seriamente studiati solo dal mostro talmudico, dalla contro-civiltà che si arroga il nome di Occidente. E che non ha ancora capito che l’aver puntato tutta l’egemonia sulla minaccia della unica superpotenza rimasta e sulla forza bruta, accusa la sua arretratezza politica e mentale, prima ancora che morale. In certo senso, la guerra e la ultra strapotenza bellica come unico mezzo delle relazioni internazionali è in qualche modo un ferrovecchio, che solo Israele (e il suo Golem a Washington) continuano ad agitare fuori tempo massimo.

La Turchia ha un potente esercito, e lo sta usando quando occorre (nei giorni scorsi i suoi aerei hanno bombardato installazioni kurde in Iraq; la sua Marina mostra i muscoli sui campi petroliferi di Cipro); ma – se è questo il senso della domanda del lettore – non vedo come si lascerebbe trascinare in un conflitto, dove il suo avversario più ostile (Israele) ha centinaia di testate atomiche, quando poi usa così bene e lealmente l’arma del diritto internazionale e della dignità nazionale – una forza troppo sottovalutata, la forza della verità.

Se terza guerra mondiale sarà, non sarà la Turchia a cominciarla. Il che non significa che non avverrà. Per le ragioni che abbiamo visto sopra illustrate da Watts e da Harris, a chi conserva l’opzione della guerra mondiale non resta altro mezzo che un puro e semplice – e breve – conflitto nucleare. Ovviamente, questa opzione scavalca completamente persino il calcolo cinico di uscire con il conflitto dalla crisi economica, perché non ci sarebbe un dopo che il vincitore possa godere.

Qui, si esula completamente dalla ragione; solo una classe dirigente di estrema instabilità psichica, o animata da messianismo paranoico, può esser tentata di sferrare una simile apocalisse. Sappiamo, ahimè, che esiste un simile Paese; che al fondo della sua dottrina militare cova l’esempio di Sansone che muore sotto le rovine del tempio di Dagon con tutti i filistei; e che di fronte al fallimento dei suoi deliri di superiorità messianica, cova il complesso di Masada.





1) La lettera così continua:

«Ci sono tanti elementi che possono fare intendere un esito di questo genere: la crisi economica irreversibile, in qualche modo ‘programmata’ già a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, da Bretton Woods a Camp David, fino all’Euro e alla moltiplicazione incontrollata dei dollari e dei debiti degli Stati sovrani; l’incredibile crescita degli armamenti, anch’essa cominciata dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, prima con la strategia della tensione ‘fredda’, poi con la propaganda del ‘terrorismo globale’, che non ha subìto arresti nemmeno con la recente crisi economica; l’occupazione dell’Iraq, che è un avamposto militare perfetto nell’ottica di una guerra che impegni l’Occidente contro il Mediorente e magari un giorno anche contro la Cina, così come la vergognosa guerra libica, voluta dai francesi per assicurarsi in tempi difficili rifornimenti sicuri di oro nero. A questi elementi, se ne potrebbero aggiungere altri. Ma resta il fatto che lo scenario sembra essere sempre più chiaramente indirizzato a una guerra epocale. Aggiungo la famosa corrispondenza tra Albert Pike e Mazzini, nella quale più di un secolo e mezzo fa veniva tratteggiato lo scenario odierno in vista della Terza Guerra Mondiale. Cosa ne pensa? In fondo, se il motto è ‘Ordo ab Chao’ (ordine dal caos) e l'obiettivo è il ‘Nuovo Ordine Mondiale’, non c’è altra strada se non quella della guerra in Asia: Occidente contro Oriente. Probabilmente qualcuno l’aveva già programmato da parecchi decenni, se non da secoli. Spero tanto di sbagliarmi... ».

2) Il documento Rebuilding the American Defense, che si presentava come una documentata esortazione al futuro presidente americano, fu elaborato nel 2000 da una fondazione culturale o think-tank chiamato Project for a New American Century (PNAC) oggi chiusa avendo compiuto la sua missione. Fondata dai neocon ebrei William Kristol e Robert Kagan, la PNAC si dava come missione «la promozione della leadership globale americana»; in realtà premeva per la distruzione del regime iracheno e di quello iraniano, che preoccupano Israele. Il costoso programma di riarmo, diceva il documento del PNAC, non sarà accettato dalla popolazione americana «se non accade un evento drammatico e catalizzatore, come una nuova Pearl Harbor». Un numero impressionante di membri della PNAC e firmatari del documento Rebuilding the american defense passò nel governo Bush jr. Fra essi: Dick Cheney (vicepresidente), Donald Rumsfeld (ministro della Difesa), Paul Wolfowitz (vice ministro Difesa), rabbi Dov Zakheim (viceministro Difesa col compito di comptroller) Elliot Abrams, assistente speciale del presidente per i diritti umani e le operazioni internazionali, Richard Armitage (vice-segretario di Stato), John Bolton (vicesegretario di Stato per il controllo degli armamenti e poi ambasciatore all’ONU), Paula Dobriansky (sottosegretario di Stato), Aaron Friedberg (Deputy Assistant for National Security Affairs and Director of Policy Planning, Office of the Vice President), Robert Zoewllick (vicesegretario di Stato), Zalman Khalikzad (ambasciatore in Afghanistan), Lewis Scooter Libby (capo dello staff di Cheney), Richard Perle (presidente del Defense Policy Board, un comitato di consulenza inserito nel Pentagono), Eliot Cohen (membro del Defense Policy Board). Erano tutti al loro posto quando l’auspicata nuova Pearl Harbor ebbe luogo l’11 settembre 2001.



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L'inno alla crisi... di Anthony Ceresa

"Distruzione della frutta in sovrappiù, per motivi economici..." (Saul Arpino)


INNO ALLA CRISI.

I miei migliori amici sono i nemici
Che mi scrivono per contraddire
Il mio pensiero di uomo quadro.

Non so leggere ne scrivere e
per complimento li chiamo
randagi che passano da un letto all’altro,
Da un Partito all’altro.
Non so se è offensivo perché il mio lessico
È elementare, limitato ai meriti.

Parlo come vedo e porto occhiali a fondo di bottiglia
Per osservare e leggere nelle anime smarrite.
Loro non ci stanno perché si ritengono
Dottori in Filosofie Politiche,
Scienziati in Economia e nel Linguaggio,
soltanto gli Aborigeni li possono capire.

Hanno il Potere in mano.
Da Corsari dei mari, finiti a terra.
Le loro abitudini tramandate per tradizione,
fottere il prossimo è tutto ciò che sanno fare,
rinnegando Dio, i loro genitori e fratelli.

Stanno creando un mondo alla rovescia
E se ne infischiano del prossimo,
condizionati da escort, droga e alcolici.

La crisi non li spaventa perché
Essi stessi sono la perversione,
Guidati dalla dolce vita
Su barche a vela e vetture Tedesche,
Viaggiano di continuo a nostre spese,
Vivono senza principi, ne famiglia,
Scoreggiano dalla bocca parole insensate
Per convincere gli stolti.

Siedono comodi in poltrone soffici
E campano del sudore dei lavoratori.
Il Paese ne ha fin troppi,
solo Dio sa quanto ci costano, ma per cambiare
Bisognerà attendere quel giorno nel quale,
dietro al feretro con un mazzolino di fiori,
e perché no, anche una preghiera,
dopo tutto sono stati compagni dei nostri tempi di crisi.

Essi non sanno che vanno a bruciare
per riscaldare le anime che hanno tanto sofferto
le loro innumerevoli mascalzonate terrene,
mentre noi continueremo a vivere gli effetti della crisi
con una tazzina di buon caffè all’Italiana.

Anthony Ceresa

giovedì 29 settembre 2011

Buone notizie dell'estate 2011 - Meno incendi in Italia e più alberi in crescita...




Estate 2011: Meno incendi e più alberi in Italia

Finalmente due buone notizie: l'estate appena trascorsa è stata una delle migliori rispetto al passato relativamente agli incendi boschivi, anche se ad agosto e ai primi di settembre, soprattutto in Sardegna e in Liguria, si sono registrati importanti incendi, tuttavia meno degli anni passati.

Il motivo? Un giugno meteorologicamente incerto e un luglio piovoso, fatto questo che per 60 giorni è stato ridotto il rischio incendi nei nostri boschi. Ciò ha compensando i danni provocati ad agosto e nei primi giorni di settembre sul nostro patrimonio forestale.

E a proposito di patrimonio forestale dobbiamo, con una certa gioia, comunicare che nel territorio italiano ci sono oltre 12 miliardi di alberi. Si tratta di un importante polmone verde che consentirà all’Italia di risparmiare oltre 2 miliardi di euro di sanzioni, secondo quanto previsto dal Protocollo di Kyoto.

Sono quasi 200 gli alberi per ogni cittadino italiano, con un valore medio di circa 1.360 alberi ad ettaro. L’Inventario nazionale delle foreste e dei serbatoi forestali di carbonio è stato realizzato recentemente grazie ad un lavoro congiunto tra il coordinamento scientifico del Consiglio per la ricerca in agricoltura, il Corpo Forestale e il ministero dell’Ambiente.

Tra le regioni più verdi d’Italia, primeggia l’Emilia Romagna che vanta la media più alta per ettaro con 1.816 alberi, segue quasi a pari merito l’Umbria con 1.815 e le Marche con 1.779. Le regioni meno popolate di alberi per ettaro risultano la Valle d’Aosta con 708 e la Sicilia con 760. Il Lazio conquista la posizione di mezzo.

Tra le specie di alberi più diffuse il primato spetta al faggio con oltre un miliardo di esemplari che ricoprono quasi tutti gli Appennini. I boschi italiani, si fa notare nel censimento, presentano un volume legnoso di oltre un miliardo e 260 milioni di metri cubi, mentre la biomassa presente supera gli 870 milioni di tonnellate di legname, pari a circa 435 milioni di tonnellate di carbonio stoccato. «L’anidride carbonica assorbita dai boschi - ci dice il Corpo forestale - può essere contabilizzata e contribuire al raggiungimento degli impegni assunti dall’Italia».

La componente di carbonio forestale calcolata dal Protocollo di Kyoto è quantificata tra i 750 milioni e 1 miliardo di euro per il primo periodo di impegno che va fino al 2012 per la sola parte relativa alla gestione forestale; a questa si potrà aggiungere la quota relativa all’espansione naturale dei boschi. Secondo il Protocollo di Kyoto, dal totale delle emissioni di gas serra si può scaricare il volume di legno che si trova nelle nostre foreste, compresi gli alberi morti.

In Italia, questo volume cresce dello 0,3% l’anno (4 metri cubi per ettaro). In questo modo «potremmo detrarre dalle nostre emissioni circa 25 milioni di tonnellate di carbonio, risparmiando due miliardi e mezzo di euro di sanzioni».

Beatrice Cantieri

mercoledì 28 settembre 2011

28 settembre 2011 - Tarquinia (Vt - ) Consiglio comunale per decidere sull'autostrada Livorno Civitavecchia

"La ex ridente campagna cerite)


Ultime novività sul consiglio comunale di Tarquinia sul tracciato dell'autostrada Livorno Civitavecchia:

Paolo D'Arpini a Marzia Marzoli: Facci sapere....

Marzia Marzoli: Con il miglior ottimismo del mondo...non si riesce proprio ad avere un briciolo di onestà dagli amministratori comunali...conniventi e scelti per la loro mollezza ed incapacità di amare il proprio paese anche contro il potente di turno....

Eravamo solo due ad assistere al consiglio comunale...il presidente del consiglio aveva davanti una richiesta di consiglio comunale e la sua disonestà...ha scelto di essere disonesto per raggirare le regole e la democrazia...ha chiesto alla sua maggioranza di votare una sua proposta di rimandare l'argomento ad una riunione tra capigruppo!..intortando tutta la storia in una riunione a stanze chiuse.. lavorando poi su un consiglio comunale pre-confezionato con tecnici della sat o peggio che ti spiegano che è tutto ok! SCONVOLGENTE! Consiglieri comunali muti, sordi e ciechi su un argomento cosi importante...quelli della maggioranza parlavano ognuno per i cazzi loro.. snobbando qualunque regola.. anche quella che li rende consiglieri VERGOGNOSI.. .

Il sindaco è stato epico.. nella sua più totale arroganza-ignoranza ha spiegato che i trattori potranno utilizzare l'Aurelia..(NON HA MAI VISTO IL TRACCIATO DEFINITIVO) e che il pedaggio non si pagherà!!!. che le strade complanari ci sono tutte...che i lavori inizieranno il 17 Ottobre!... come la chiamate Connivenza ..Ignoranza ...SECONDO VOI QUESTI SINDACI HANNO IL DIRITTO DI SVENDERE COSI i beni comuni?"

Altri articoli sullo stesso tema:
http://www.circolovegetarianocalcata.it/?s=autostrada+livorno+civitavecchia

Regione Lazio: "....dal deserto della Selva di Paliano al parco quadrato"

Foto di Gustavo Piccinini


Scrive Rocco Berardo (Radicali): “Il 27 settembre 2011 la commissione ambiente del
Consiglio Regionale del Lazio ha dato il via libera a uno schema di delibera della Giunta Regionale relativamente alla istituzione del monumento naturale della Selva di Paliano e Mola de’ Piscoli. Il nostro voto “decisamente” contrario è stato dettato da una perimetrazione tutt’altro che scientifica che ritaglia impropriamente pezzi della Selva. Il ritaglio del territorio sembra fatto in modo sartoriale, più che su basi scientifiche, cucendo addosso a delle proprietà private zone in cui il monumento naturale è stato escluso. La Selva di Paliano secondo la giunta ha dei confini squadrati, come si usa fare per i paesi africani confinanti in zone desertiche. Solo che è un monumento naturale, non una zona desertica. Con Angelo Bonelli dei Verdi e Ivano Peduzzi della Federazione della Sinistra approfondiremo ora nelle sedi opportune, anche legali, se questa procedura abbia favorito direttamente o indirettamente l’interesse di privati anziché l’interesse pubblico, come la salvaguardia e la tutela dell’area naturale Selva di Paliano”

martedì 27 settembre 2011

Emergenza a Lampedusa.... si mangiano cani e gatti

"Gatti a rischio a Lampedusa"


Carissime Vi prego di girare il mio appello, è una corsa contro il tempo. La mia amica Cinzia Zucal è arrivata a Lampedusa.

La situazione e' drammatica, l'isola è piena di gatti, cani affamati e scheletrici ma la cosa peggiore e che molto cuccioli sono stati UCCISI E MANGIATI.
Kiwi, una cagnolina che Cinzia aveva sterilizzato l'anno scorso, è finita nel piatto.

Prima della partenza ha raccolto solo 300 euro.
Cinzia è riuscita a sterilizzare una cagnolina 150 euro.
4 gatti ( 80 euro ciascuno ).
Ci sono altri gatti da prendere, molte gattine sono incinte e dovrebbero essere sterilizzate per evitare che finiscano in padella.

Sulla spiaggia di Cala Croce c’è questa cagnolona (foto) di circa 25 kg, ha la coda tra le zampe per le percosse subite: ha partorito 9, DICO NOVE cuccioli. 6 sono morti, uno è stato mangiato di notte da una serpe (avevano 3 gg) e gli altri due resistono solo perché Cinzia ha costruito un recintino e l’ha messa al sicuro. Ogni giorno Cinzia le sta portando 600 grammi di carne.

MA IL 29 TUTTO QUESTO FINISCE. CHIEDO AI VOLONTATI SICILIANI, ANZI PREGO I VOLONTARI SICILIANI DI ACCOGLIERE MAMMA E CUCCIOLI.

Cinzia è disposta ad imbarcare almeno i cuccioli non appena saranno svezzati, non lasciamoli al loro destino.

Oltre alla mamma con i cuccioli, in un garage è stata trovata una cagnolina tg. piccola con 8 cuccioletti tg. piccola, a breve le foto.
Cosa occorre? Occorrono soldi per sterilizzare e completare almeno le colonie del porto, che e' il posto piu' pericoloso perché i piccoli vengono catturati per SFAMARE le persone.

Vi prego, mandate un'offerta e sopratutto avvertite anche con sms, in modo tale che Cinzia puo' procedere con le catture. Il veterinario va via il giorno 29 ed è disposto a sterilzzarne anche 10 di GATTE al giorno.

grazie, LOREDANA

Per INFO CONTATTARE CINZIA ZUCAL 3280414169

lunedì 26 settembre 2011

Pareri vari ed opposti sule cause controverse dietro alla formazione del debito pubblico...



Comincia il discorso Franco Pinerolo:

Mentre la Confindustria, lancia in queste ore un’offensiva sulla crisi economica, annunciando un programma di liberismo selvaggio in cinque punti, e il Governo Berlusconi si appresta all’ennesima pesante manovra economica per farci pagare il prezzo della crisi, è utile che si faccia chiarezza su ciò che sta accadendo, per assegnare le responsabilità di questo stato di cose a chi le ha.
CHI HA CAUSATO IL DEBITO PUBBLICO?

1) LO SHOCK PETROLIFERO DEL 1970, LA RIFORMA FISCALE DEL 1974 E IL DIVORZIO TRA BANCA D’ITALIA E TESORO, DECISI DAI GOVERNI DC E PSI, FURONO LA CAUSA PRIMA DEL DEBITO PUBBLICO
Il Debito Pubblico italiano ha avuto il primo scossone con lo shock petrolifero degli anni ’70 ed è stato aggravato nella prima Repubblica dalla Democrazia Cristiana e dal PSI di Craxi perché, mentre la maggior parte dei paesi avanzati introduceva all’inizio del ’900una tassa commisurata alla somma di tutte le entrate del contribuente, invece la riforma fiscale italiana del 1974, con l’introduzione dell’IRPEF non accompagnata da un’adeguata riforma della Tributaria e quindi da adeguati controlli, ha generato un’enorme evasione ed elusione fiscale, per cui se da un lato nel 1980 il 24% dei redditi imponibili da lavoro dipendente veniva evaso o eluso, questa cifra passava addirittura al 60% per i redditi di impresa e da capitale. E oggi ne paghiamo le conseguenze. Dunque se lo Stato o le amministrazioni locali aumentano la pressione fiscale o riducono la spesa pubblica per far fronte ai minori introiti fiscali (a causa dell’evasione fiscale), diminuirà la domanda aggregata inducendo una riduzione delle entrate fiscali che può peggiorare la riduzione del deficit pubblico.

Ma la vera esplosione del debito si è avuta nel 1981 (nel 1980 il Debito era al 60% del PIL, nel 1992 era al 107,7), quando fu deciso dai suddetti governi DC e PSI il divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro. Fino ad allora, la Banca d’Italia acquistava i Titoli di Stato invenduti, emettendo moneta a copertura dei costi. Dopo il “divorzio”, la sorte dei Titoli fu lasciata al mercato. Tale decisione se da un lato diminuì in parte l’inflazione per via del fatto che veniva emessa meno moneta, dall’altro fece lievitare i tassi d’interesse e di conseguenza il Debito Pubblico. Risulta che, tra i maggiori beneficiari degli alti tassi dei Titoli di Stato, ci furono la Fiat e Olivetti (se lo ricordi questo Confindustria!).

2) I PROTAGONISTI DELLE BORSE HANNO PRODOTTO GRAN PARTE DEL DEBITO PUBBLICO
Le società di intermediazione mobiliare, le istituzioni finanziarie e monetarie, i fondi pensione e i fondi d’investimento, le banche, le assicurazioni sono gli stessi che nel corso degli anni hanno prodotto la gran parte del debito pubblico italiano. Vendendo milioni di azioni essi hanno realizzato speculazioni che hanno provocato abbassamento del valore della nostra Borsa e quindi perdita di fiducia delle istituzioni finanziarie verso la nostra struttura finanziaria, e perciò è aumentata la percentuale di rischio di solvibilità del nostro Paese, la quale ha fatto salire il tasso d’interesse che serviva a comprare i nostri titoli del tesoro (cioè per acquistare BOT, BTP lo Stato italiano ha dovuto offrire più soldi), e quindi è aumentato l’indebitamento. Si stabilisce un circolo vizioso per cui più uno stato è a rischio fallimento e più genera profitti per gli investitori. Ciò è avvenuto perché oggi la quota di debito pubblico detenuta da investitori internazionali è del 52,4%, a fronte del 5,59% del 1991 (dati Bankitalia), e questi investitori internazionali hanno, al contrario di quelli nazionali, tutto l’interesse alle manovre speculative nei confronti di un qualsiasi stato.

3) LA SCARSA CREDIBILITÀ PERSONALE DI BERLUSCONI È CONCAUSA DELLA CRISI
Nel 1993 il debito pubblico era di 1.528.561 miliardi di lire. Nel 1994 va al governo Berlusconi che in un solo anno lo porta a 1.781.074 miliardi di lire. Quindi primo governo Berlusconi + 200.000 miliardi di lire, secondo Governo Berlusconi +290.000 miliardi di lire, terzo Governo Berlusconi + 300.000 miliardi di lire. Totale deficit provocato dal centrodestra: + 790.000 miliardi di lire. Non è tanto il rapporto debito/pil a creare instabilità, quanto piuttosto la stessa instabilità politica della compagine di governo ad attirare le attenzioni speculative sull’Italia. Secondo l’autorevole economista Nouriel Roubini, il solo annuncio delle dimissioni di Silvio Berlusconi da Palazzo Chigi porterebbe a ridurre lo spread fra i btp e i bund tedeschi decennali fra i 50 e i 100 punti base, in modo permanente. Alcuni studi hanno provato a quantificare gli effetti degli annunci degli scandali sessuali del premier sui rendimenti dei nostri titoli di stato trovando che questi hanno contribuito ad allargare lo spread in modo statisticamente significativo. Invece la prospettiva di nuovi equilibri più solidi e duraturi tramite nuove elezioni offrirebbe la speranza di un qualche cambiamento in tempi più ravvicinati, come dimostra la Spagna, che era penalizzata da uno spread inferiore al nostro e dopo l’annuncio di Zapatero di lasciare andando a nuove elezioni, oggi la Spagna è ritenuta più credibile dell'Italia.

4) L’ESPLOSIONE DEL DEBITO PUBBLICO NON DIPENDE AFFATTO DALLA SPESA SOCIALE. il debito pubblico italiano a luglio ha stabilito un nuovo record, raggiungendo quota 1.911,807 miliardi di euro. Il vincolo stabilito dal Trattato di Maastricht e dal Patto di stabilità e crescita è del 60 per cento. Molti paesi europei prima della crisi avevano bilanci in ordine e bassi debiti pubblici. Gli squilibri derivano dall’ingentissima mobilitazione di risorse necessarie per salvare le banche e dal crollo della domanda interna causata dalla riduzione dell’occupazione e del reddito.


DUNQUE COL DEBITO NON C’ENTRANO NIENTE I SALARI TROPPO ELEVATI, LE PENSIONI TROPPO ALTE, I SERVIZI PUBBLICI GARANTITI ANCHE SE POI, AL MOMENTO DEL BISOGNO, SI RIVOLGONO AI LAVORATORI IN CARNE ED OSSA, FAMIGLIE, GIOVANI E PENSIONATI PER RIPAGARE I DEBITI CHE VENGONO PRODOTTI AD OGNI MOVIMENTO SPECULATIVO E AD OGNI CRISI.

Franco Pinerolo


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Commento di Giorgio Quarantotto:

Non voglio creare problemi, ma ho il dovere di mettere a conoscenza albamed che c'è una raffinata propaganda in rete per gli intellettuali sprovveduti che va raccogliendo voti per mettere la sinistra al governo. Scopo "Britannia2"
Ho ricevuto quanto sopra e mi sto accingendo a fare la dovuta contoinformazione in rete per un pubblico vasto e meno manipolabile.
Qualche ragguaglio su quanto afferma il prestanome Pinerolo sulla causa del debito, mi aiuterebbe a controbattere senza fare errori. Non ho l'indirizzo mail di M. Saba, sicuramente lui preciserebbe che nel debito Italiano ci sono anche la AmLire e Marco Luna avrebbe da dire molte cose sul signoraggio Bancario. E poi che dire del trio Ciampi -Amato- Draghi . Prodi lo sappiamo e l'uomo chiave della Goldman Schas..
Saluti

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Commento di Giorgio Vitali:

PER procedere con ordine, occorre porre alcuni punti fermi.
1) Intanto girano su YOUTUBE informazioni essenziali, soprattutto a proposito di signoraggio.
Andare a vedere, sempre su Youtube, oltre ai servizi, beninteso, di Albamediterranea, anche i video inseriti da:
informazionevera e scorpione 1952.
2) Da questi si può risalire ad altri inserimenti, sempre sul sistema signoraggio.
3) Marco Saba, facilmente reperibile su facebook, ha, a suo tempo, conteggiato quanto "lorsignori" ci hanno defraudato con le AMLIRE. I cosiddetti aiutini del PIANO MARSHALL sono ben poca cosa di fronte al furto delle AMLIRE, che possiamo così riassumere: a) Furto istantaneo, che corrisponde ad una vera e propria REQUISIZIONE. b) Furto dilazionato costituito dalla svalutazione della £ira. c) PERDITA di sovranità contingente, in quanto fino ed oltre il 1946 non esisteva Stato italiano, ma tutte le decisioni erano delegate al governo alleato d'okkupazione. ASSOLUTAMENTE DA RICORDARE: forse qualcuno è al corrente che il cosiddetto "governo badoglio" del regnicolo del Sud, dichiarò guerra a Germania e Giappone. Nelle regole internazionali che contano, ad una dichiarazione di guerra dovrebbe seguire un trattato di pace. NEL NOSTRO CASO non ce ne è stato bisogno perchè tali dichiarazioni di guerra NON hanno alcun valore, NON AVENDO il regnicolo, e tanto meno il fellone badoglio, alcuna autonomia operativa. Al contrario, la R.S.I. chiuse l'attività operativa durata un anno e mezzo con un attivo di cassa di svariati miliardi di £ire NON svalutate, che il ministro Pellegrini Gianpietro consegnò ad elementi del governo fellone. SICURAMENTE li avranno rubati. ( Interpellare sull'argomento Antonio Pantano che di recente ha fatto una onferenza sul ministro nel suo paese natale.)
4) La perdita della sovranitàSTATUALE viene sempre a coincidere con la perdita della sovranità economica. E' ovvio. Ma basterebbe leggere le opere del Preziosi, che ne ha scritto fin dall'inizio del XX secolo per rendersene conto. E' un processo che si protrae nel tempo e che è ben conosciuto.
5) In un recente scritto, a me pervenuto sabato scorso e che io ho distribuito immediatamente, un importante scritto di Paolo Barnard descrive il VERO potere mondialista CON NOMI e COGNOMI. Da cui si evince la SUDDITANZA totale degli uomini politici, e NON solo quelli citati, che sono le teste di cazzo di turno. VEDERE: http//igienistamentale.wordpress.com/2011/09/24/paolo-barnard-questo-e-il-potere/
CONCLUSIONE: Marco Tarchi, in un recente scritto: < NESSUN SUCCESSO DUREVOLE ATTENDE CHI, AI NOSTRI GIORNI, NON HA VOLUTO PRATICARE UN'AZIONE DI SEMINA DI IDEE E MODELLI DI COMPORTAMENTO SUL PIANO CULTURALE, DICOSTUME E DEGLI STIMOLI ALL'IMMAGINARIO COLLETTIVO.

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Ed ora il parere composito di Antonio Miclavez:

Meccanismo di creazione del Debito Pubblico: differenza fra Stato Sovrano e Stato Schiavo.

“Il Debito Pubblico è il debito scritturale che Stato e Cittadini hanno contratto col cartello bancario privato che ha creato denaro usurpando la Sovarnità monetaria.”

Questa definizione, trattada “Euroschiavi” e da “Euflazione”, è esatta ma incompleta; anche uno Stato con la Sovranità Monetaria infatti può ricorrere al Debito Pubblico quando vuole vuole limitare l’eccesso di liquidità per tornare all’Euflazione.

Non è chiaro? Cerco di spiegarlo.

Definiamo prima la situazione dello Stato Sovrano, ovvero dello Stato che ha conservato la Sovranità Monetaria.

Diciamo che lo Stato ha emesso molto denaro, troppo rispetto al punto di Euflazione, al punto “G” dell’economia; i prezzi stanno salendo per eccesso di liquidità in circolazione. (Nota Bene: di “denaro in circolazione”; se il denaro c’è ma è sequestrato dal circuito speculativo borsistico, è come non ci fosse; anzi, è un parassita che sta succhiando sangue all’ospite creando furti continui al e instabilità.)

Questo può esser dovuto perchè la produzione cala o perchè il prelievo fiscale non è stato sufficiente; fattostà che c’è troppo denaro in circolazione.

Una manovra che lo Stato PUO’ fare è di emettere obbligazioni, BOT appunto.

Diciamo che il Cittadino acquisisce 100.000€ di Bot al 5% a scadenza un anno. Egli versa 100.000€ allo Stato, e pertanto 100.000€ escono dalla circolazione per un anno entrando provvisoriamente nella cassa dello Stato; dopo un anno il Cittadino si riprende 100.000€ + 5.000€ di interessi.

Bilancio finale; i 100.000 son tornati in circolazione (erano i suoi e son tornati suoi), e i 5.000€ di interessi lo Stato ha dovuto recuperarli con le tasse per pagarglieli; se egli fosse l’unico Cittadino di quello Stato, avrebbe dovuto pagarli lui con le tasse, e se li ritrova come interessi; bilanci o in pareggio quindi.

In pareggio non proprio; manca lo 0.75% di commissione che se li tiene la Banca che ha mediato la transazione; il Cittadino quindi deve pagare 5.750€ di tasse per ritrovarsi 5.000€ in tasca dopo un anno.

Il bello di questa operazione è che ora lo Stato è SENZA Debito Pubblico; ha chiuso la posizione aperta, e se vuole emette altre obbligazioni, altrimenti no.

Il vantaggio dell’operazione c’è, ma a conti facci chi ci guadagna è solo lo Stato, e quindi anche il Cittadino; lo Stato si è finanziato coi soldi del Cittadino. Il Cittadino pensa di averci guadagnato, ma nell’esempio riportato ci ha rimesso *

Inoltre, il Cittadino deve soffrire per l’inflazione economica; ha perso diciamo il 5% - ovvero 5.000€ - di potere di acquisto. Inoltre, ha subito il rischio reale di perdere tutti I 100.000€ perchè lo Stato è saltato.

Chiaramente il Cittadino in realtà è uno dei 60 milioni di saggi Italiani, per cui i 5.000€ di tasse per pagare i suoi interessi sui BOT sono spalmati sulle tasse dell’intera popolazione. Volete sapere qual’è il punto di pareggio allo stato attuale in cui il DP (Debito Pubblico) è 1.900 Miliardi con I cedolini (utili) del 5%, ovvero 95 miliardi?

Beh, 95 miliardi spalmati su 60 milioni di cittadini fanno 1.583€ a testa; questa la cifra che ogni anno ogni cittadino paga per coprire gli interessi dei BOT e CCT.

Metti che tu possegga BOT al 5%; allo stato attuale devi averne per 31.600€ per andare in pareggio.

Definiamo ora la situazione dello Stato Schiavo, ovvero dello Stato che ha perso la Sovranità Monetaria. Osservate il tabellone del gioco “Bankopoli” che ho creato su consiglio di Marco Della Luna.

Lo Stato Schiavo DEVE emettere obbligazioni per avere denaro (ovviamente denaro creato dal nulla senza rischi, senza oro a garanzia etc), e quindi DEVE avere un DP.Il DP è parte integrante di questo sistema, fa parte della sua struttura, è INELIMINABILE. Per annullare il DP, lo Stato deve creare allo stato attuale 1.900 Miliardi di Euro, per creare I quali deve emettere 1.900 miliardi di BOT portando il DP a 3.800 Miliardi.

Lo Stato ha perso il potere di creare denaro; può solo creare BOT con cui mendicare denaro; che si tratti di denaro neocreato o di denaro già in circolazione, poco cambia. Oggi, il DP è quasi tutto nelle pance delle banche, che senza far nulla, come al solito, incassano i dividendi con le tasse dei cittadini.

Senza che vi riscriva tutto il percorso, andate all’inizio di questo articolo, e vedrete che ora capirete cosa ha portato la perdita della Sovranità monetaria.

Come Uscirne?

Riprendersi la sovranità monetaria e recusare il Debito Pubblico. Alternative? No.

Bufale delle bufale telematiche.. il ddl 733 ritorna! Quando la realtà è più incredibile della fantasia

"C'era una volta il palo" - Foto di Gustavo Piccinini


Care, cari,

ci risiamo… il governo berlusconi sta riproponendo il ddl (ex 733) in nuova veste, la famosa “legge bavaglio” ritorna (in formato bis)… Dovuto alle recenti vicende giudiziarie del premier che si vede assediato da intercettazioni telefoniche e articoli su internet le Camere, ed i camerieri “nominati” deputati e “nominati” senatori si preparano ad approvare (non possono esimersi pena la caduta della legislatura e la fine dei privilegi acquisiti) a varare norme ammazza libertà d’informazione.. forse anche peggiori di quelle contenute nel precedente tentativo di ddl (quello 773).

Su internet, malgrado il ddl (733) fosse stato a suo tempo ritirato (vedi articolo http://altracalcata-altromondo.blogspot.com/search?q=bufale+telematiche) aveva continuato a girare come fosse ancora valido… ed ora la raeltà berlusconica si dimostra più forte di ogni fantasia.. e lo riporta in auge.. quindi non è più una “bufala” ma si prepara a divenire una triste realtà. Ecco.. forse anche il Giornaletto di Saul verrà dichiarato incostituzionale e pure i vari blog: Circolo Vegetariano VV.TT., Altra Calcata.. altro mondo, Paolo D’Arpini Blog, Bioregionalismo Treia, La Rete delle Reti, La Rete Bioregionale…

Insomma viviamo in piena dittatura e non ce n’eravamo nemmeno accorti.. alla fine saranno più liberi in Cina od in Burundi di quanto lo siamo in Italia…. Ah, siccome non ho intenzione di rinunciare a comunicare liberamente preparatevi, nel caso, a venire al gabbio con il cesto di arance….

(Saul Arpino / Paolo D’Arpini)

domenica 25 settembre 2011

Giuseppe Turrisi: "La democrazia.. ovvero la vaselina per l'imperocrazia finanziaria"

"4 oche"

Ci può essere un “fronte comune” se c’è un “obiettivo comune” e soprattutto se si capisce il vero “nemico comune” da sconfiggere, purtroppo ancora troppi “Tenenti” o al massimo “mezzi colonnelli” che nell’illusione di aver capito come funziona il mondo intraprendono battaglie private e privatistiche, con quattro soldati di cui si sono attorniati pensando di salvare il mondo. Questi soldati (ma di più i loro capi) sono poco istruiti e sopratutto disarmati intellettualmente (proprio perché credono di conoscere il nemico, e le sue strategie, ma di fatto non immaginano nemmeno di quale mostro sia: perverso, fine, subdolo, organizzato, preparato, prepotente, straricco, strutturato, potente, corruttore, raffinato e soprattutto che si presenta sempre con la faccia di quello che sembra stia combattendo affianco a te).

Questa situazione di stallo intellettuale (ma sopratutto politico) in cui non si trova il modo di fare scacco, dipende proprio dal fatto che non si riesce a comunicare bene al mondo e ai “ mezzi colonnelli” (almeno quelli in buona fede) che l’era della “economia del debito” è finita. L’economia del debito produce: ricchi sempre più ricchi e sempre di meno e poveri sempre più poveri e sempre più numerosi. Una economia dove la “ricchezza è prospettata” e propagandata affinché tutti la “devono” rincorrere ma di fatto, questa è solo una “possibilità”, che rimarrà tale per sempre per la stragrande maggioranza, una pura illusione continua, per farti sgobbare e creare ricchezza per altri (i nuovi padroni). Una economia dove non c’è posto per l’onesto che ogni giorno deve dimostrare a sue spese al suo Stato di essere onesto. Un economia fatta solo per due categorie: “chi fotte” e “chi deve essere fottuto”, e bisogna scegliere per forza dove stare, gli onesti già sapete da che parte stanno, e sapete pure da che parte sta, questo Stato che si è alleato con il vero parassita che non è certo l’evasore che fa il nero per darsi un futuro, una pensione ed un futuro ai suoi figli, visto che lo Stato in essere ormai non serve più ad autodeterminare il proprio popolo, ma solo a succhiargli il sangue, per il vero parassita che gli manda le “lettere” indicandogli di svendere ora questa azienda di Stato (ENI) ora quella (Finmeccanica), perché delle caserme proposte da Tremonti in prima battuta non se ne fanno niente. E se non vuole fare la fine della Grecia è il caso che non presenti più manovre finanziarie (ridicole a gli occhi dei banchieri) per salvare il patrimonio italiano (ma gli italiani neanche lo hanno capito sono talmente imbambolati che pensano veramente a Ruby). Naturalmente il “Dictat” della BCE (già progetto Britannia) sta in fase avanzata di esecuzione, l’acqua con le partecipate comunali sarà la prossima privatizzazione (italiani sempre più coglioni).

In tutto questo scippo, furto, estorsione, non so più quale parola usare, per un “debito illegittimo”, c’è il silenzio assordante della magistratura, dei media, dei politici (anche quelli che il popolino pensa sia opposizione tipo IDV). Il popolo, ultra distratto, orami è di nuovo dedito alle “cose serie” della vita (miss Italia, grande fratello, il campionato, ecc) . Sperare di vincere i poteri forti nazionali che vengono finanziati e che quindi sorreggono il sistema imperocratico finanziario mondiale, con la “democrazia” è pura illusione dei “puri di cuore”, in fatti la “democrazia è proprio la loro arma, il loro virus”. Il popolo gregge non sarà mai consapevole di quanto è pregiata la loro stessa vita, ne si può sperare in una ipotetica (fantascientifica) informazione di massa al fine di rendere cosciente il popolo che gli stanno rubando la vita, il tempo e il futuro. Il popolo non arriverebbe mai nello stesso tempo e alle stesse conclusioni in maniera omogenea, poi basta che un potere forte cominci a gettare dei tozzi di pane duro e cominci a promettere (solo promettere naturalmente) che subito il gregge si spacca accontentandosi del “pane duro” e delle “promesse”. Ciò che dico non è previsione (anche) ma storia, è già successa. La speranza (che è l’ultima a morire) sono gli intellettuali, che sono già più avanti nel cammino della conoscenza della libertà e della coscienza della dignità umana; che prendano in mano la situazione, fronteggiando da un lato i poteri forti con argomentazioni tecniche storiche e politiche e dall’altro assicurandosi la fiducia del popolo gregge con l’onesta intellettuale di una “idea sociale forte” (sovranità-umna-popolare-monetaira). Bisogna dire che chi ha progettato questa europa volutamente acefala politicamente, ma con un portafoglio chiaro e preciso (BCE) è stato veramente bravo. Far passare il “ladro” come la soluzione ai furti ha dell’incredibile, eppure molte nazioni ci sono cascate come imbecilli, altre (Norvegia, GB, Danimarca, Svizzera, ecc) o perché sapevano, o perché volevano stare alla finestra a guardare, di fatto sono rimaste fuori dal cappio al collo, che al momento stringe la Grecia, la Spagna, l’Italia, (salvo toglierselo Islanda).

Non ci vuole molto a capire che in questo “gioco” (giuoco) se c’è qualcuno che paga e sta perdendo ci sarà qualcun’altro che sta guadagnando ed incassando. Allora questa nave Europa non era proprio solidale (come fu propagandata) per tutti quelli che vi entravano? Meno male che molti di noi nella propaganda enfatica che fu fatta all’epoca ci siamo chiesti!! Ma cosa ci andiamo a fare in Europa? Be oggi la risposta è abbastanza chiara almeno a noi , ma lo sarà per tutti quei “Tenenti e mezzi Colonnelli” con il loro seguito che ancora stanno dietro al (finto problema) del taglio delle provincie e accorpamento comuni che creano solo meno presenza sul territorio affianco al cittadino, quindi meno servizi, meno controllo dello Stato, più delinquenza, e di conseguenza più potere per l’imperocrazia finanziaria di “usare” il cittadino che si sente sempre meno cittadino e sempre più figlio di nessuno ossia schiavo. Questa strategia non è nuova, è conosciuta da “illo tempore” ma nessuno vuole prenderne atto e nessun potere politico vuole che il popolo ci capisca qualcosa di questo. Eppure il valore che genera l’economia con l’uso del denaro deve essere riconosciuto a tutti quelli che lo generano (G. Auriti) non è poi cosi difficile capirlo questo principio, chiunque per il solo fatto che esiste, “è economia” e “fa economia”. In questo sistema invece, tutti generano ricchezza, ma anziché essere ridistribuita, questa viene, drenata (attraverso gli interessi sulla moneta debito) per chi si è arrogato il diritto di mettere denaro (euro).

Perché mai una famiglia che si sa cucinare la pasta e ha tutti gli strumenti per farlo deve essere obbligata a pagare un cuoco esterno per farsi fare la pasta indebitandosi? I motivi sono tanti, tra cui la gestione del potere, e la gestione della ricchezza. Se vuoi soggiogare un popolo basta gli controlli l’energia e la moneta, se riesci a comprarti i politici e di conseguenza la comunicazione bene (vedi nazioni europee) se invece sei un po’ più con i “coglioni” allora in quel caso è necessario attuare altre strategie. In quei casi dove si trovano personaggi “incorruttibili” e tutti d’un pezzo, bisogna prima di tutto farli passare per dittatori, poi attraverso servizi segreti aizzare qualche piccola tribù locale finanziandola e passandogli armi costosissime, poi fare una grossa campagna mediatica per dire che chissà quali stragi stia facendo ed in fine mandare caccia nato a sganciare “bombe democratiche” per importagli in forma “dittatoriale” la democrazia del FMI della BM della FED della BCE ecc. L’articolo “3” della costituzione recita: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Bene se tutti cittadini sono uguali allora dividiamo le azioni di bankitalia SpA per tutti i cittadini italiani in egual misura, in modo che il signoraggio ritorni al popolo; poi la seconda parte recita: “è compito della repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico…” Cominciamo a rimuovere il fardello della moneta in affitto (l’euro) e rinvestiamo questo denaro in ricerca, istruzione, e infrastrutture.

La perversione è tale che il ladro (legalizzato) chiama ladro (parassita) chi è indotto da loro sistema a diventare ladro per forza. I “veri parassiti” esercitano pure, attraverso i media, il lavaggio del cervello aizzando crumiri, odio e divisioni tra cittadini (quello che vogliono per darsi l’alibi delle future repressioni). I banchieri centrali (con il falso nome di europa), guadagnano comunque vadano le cose per i singoli stati, altro che unità europea.

In un eventuale progetto politico serio non ci potrà essere altra priorità che il “ritorno alla sovranità” monetaria, umana e politica. Le banche sono da ridimensionare in maniera seria e decisa, la loro funzione dovrà essere di pura contabilità e tenuta del denaro. La gestione e le politiche economiche e soprattutto la proprietà del denaro deve essere del popolo sovrano. Le banche non potranno più trattare gli stati come fossero aziende.

Fino ad oggi chi si alleato con questi signori ha sempre manifestato di pensare che: “se di schiavi di fatto muoiono un po’ di milioni”, in fondo, riduciamo l’affollamento su questo pianeta facendolo respirare un po’, signori questo è il prezzo del potere e gli affari sono affari.

Ma se i “Tenenti” di cui sopra continuano a pensare che tagliando le province e tagliando i fondi ai comuni o riducendo i parlamentari si risolvono le cose, stiamo ancora puntando su bersagli diversi, disperdendo forze e facendo in modo che la guerra non si vincerà mai.

Questo non vuol dire che poi, non vada riformato tutto l’apparato statale, ma non certamente in termini di tagli, ma di motivazioni, di controllo, di qualità, di efficienza e di riqualificazione.

Ammesso che questa dittatura dell’imperocrazia finanziaria possa ancora andare avanti, con il finto nome di “democrazia”, ci darà delle prospettive sempre più disastrose e sempre più inumane. Ma il grande show mediatico ci mostrerà sempre esattamente il contrario, fin quando la schizofrenia delle persone non dilagherà in omicidi, suicidi, rivolte, assassini di massa ecc, e la colpa sarà data ai governati di turno che saranno messi li per essere lapidati appositamente dai veri governanti del mondo. Non a caso Obama un presidente “nero” (abbronzato) è stato eletto proprio nel momento peggiore per il popolo americano, al fine di fare da catalizzatore, e perché proprio lui, che avrebbe dovuto rappresentare la parte popolare, di fatto sarà costretto a prendere delle decisioni impopolari come la prossima repressione della insurrezione di massa che ci sarà (vittima dei suoi finanziatori). Il popolo non è consapevole (e per quanto mi riguarda mai lo sarà) forse perché dovrà scontare il peccato originale, forse perché in effetti siamo una “razza” inferiore (gentili), forse perché molti si devono ancora incarnare tante volte per raggiungere l’ultimo stadio del karma, o forse perché la “democrazia” in quanto tale non potrà mai essere matura (adulta) ed in quanto tale non potrà mai sostenere gli esami di “maturità”. Tutto estremamente calcolato, forse come nelle torri gemelle. Ricordiamoci che la scienza più esatta che esista sulla terra è quella delle “coincidenze casuali”. La democrazia è lo strumento più perfetto che natura umana abbia mai inventato per attuare la più feroce delle dittature ossia quella che c’è e ti opprime ma è invisibile poiché non riesci ad individuare chi è il dittatore che succhia la tua vita. Anche gli imbecilli capiscono, ma solo alla fine purtroppo, che se strozzi troppo gli schiavi finisci per ammazzarli rimanendo senza schiavi. Mi viene in mente quella barzelletta di quell’agricoltore che dopo che gli era morto l’asino esordi: “proprio ora che l’avevo abituato a lavorare senza mangiare mi è morto, adesso devo ricominciare tutto da capo”.

Ci sono quelli che vogliono che la Grecia fallisca perché ci hanno scommesso 350 miliardi di dollari

ma allo stesso tempo se fallisce ci perdono quelli che ora gli stanno succhiando il sangue. Non ci si arricchisce curando o ammazzando il malato, ma lasciandolo nella malattia continua del debito.

Giuseppe Turrisi (albamediterranea)



--


Distinti Saluti
Giuseppe Turrisi Salvatore
Tel. 3938424644
e-mail giuseppeturrisi@leonardo.it

venerdì 23 settembre 2011

Mao Valpiana: "La Marcia Perugia Assisi è alle porte..."

"Promenade"


50 anni di Marcia Perugia-Assisi - 50 buone ragioni per partecipare

di Mao Valpiana
presidente del Movimento Nonviolento


1
E' impegnativo partecipare alla Marcia Perugia-Assisi. Non per i
venticinque chilometri da percorrere, che sono niente al confronto con
le distanze affrontate da chi fugge dalla guerra e cerca salvezza, ma
per l'assunzione di responsabilità che ciò comporta. Significa mettersi
in cammino "per la pace e la fratellanza dei popoli". E' l'impegno di
una vita.

2
Se si e' da soli si cammina, o si corre. Solo se lo si fa con altri si
può marciare. Bisogna prepararsi bene per marciare insieme; e'
necessario avere la stessa meta, obiettivi comuni, e spirito di
condivisione. Farlo per la pace e la fratellanza dei popoli, significa
marciare per il futuro dell'umanità.

3
La Marcia Perugia-Assisi, diceva Aldo Capitini, è un'assemblea
itinerante. Prima di partecipare ad un'assemblea ci si prepara
adeguatamente, studiandone bene la lettera di convocazione e l'ordine
del giorno. Ogni marciatore che vuole partecipare alla Marcia in piena
consapevolezza dovrebbe quindi leggere il documento del Movimento
Nonviolento "Mozione del popolo della pace: ripudiare la guerra, non la
Costituzione".

4
Nello zainetto che ogni partecipante prepara per marciare lungo il
percorso della Perugia-Assisi ci metterei, insieme ad un panino ed una
bottiglietta d'acqua, il Quaderno di Azione nonviolenta con lo scritto
di Aldo Capitini "Teoria della nonviolenza", e poi inviterei tutti i
marciatori ad imparare a memoria il primo punto della Carta
programmatica del Movimento Nonviolento: "opposizione integrale alla
guerra".

5
Muoiono nel Mediterraneo i migranti. I loro corpi vengono gettati nel
mare, senza degna sepoltura. Sono vittime innocenti della guerra e del
razzismo. Quando marceremo da Perugia ad Assisi "per la pace e la
fratellanza dei popoli" sentiremo la loro compresenza. Sarà la
testimonianza più vera e più dura che la guerra è un crimine contro
l'umanità.

6
Tutti sono invitati a partecipare alla Marcia Perugia-Assisi. La Marcia
è di tutti e per tutti. Nel cammino ideato da Aldo Capitini il plurale
di "tu" è "tutti". Saremo tutti uniti a marciare contro la guerra. Tutti
in cammino verso l'orizzonte della nonviolenza, che è il varco attuale
della storia.

7
Marciare per la pace, significa marciare contro la guerra.
Marciare contro la guerra, significa marciare per abolire gli eserciti.
Marciare per abolire gli eserciti, significa marciare contro le spese
militari.
Marciare contro le spese militari, significa marciare per il disarmo.
Marciare per il disarmo, significa iniziare a disarmare se stessi.
Se vuoi marciare per la pace, prepara il tuo disarmo unilaterale.

8
Perugia, simbolo della laicità. Assisi, simbolo della religiosità. Il
cammino da Perugia ad Assisi unisce laici e religiosi. Li unisce nella
ricerca comune della nonviolenza, così come la nonviolenza unisce
oriente ed occidente. Storie e culture diverse si incontrano e si
mescolano nella strada che dai Giardini del Frontone porta alla Rocca di
Assisi. E' accaduto nel 1961, accadrà nuovamente nel 2011.

9
La Marcia Perugia-Assisi non è una semplice manifestazione. Non è un
qualsiasi corteo. Non è una protesta. Non è una ricerca di "visibilità".
Non la si fa per "bucare il video". Non è un fatto "mediatico". Non è
una tradizione, non è una ritualità. La Marcia Perugia-Assisi è
un'assemblea itinerante, è il popolo della pace che si convoca e si
mette in cammino, è un'azione nonviolenta che si rinnova ed ha un valore
in sè.

10
Approfondire la conoscenza del pensiero, delle iniziative e della figura
di Aldo Capitini, è il modo migliore per prepararsi alla Marcia
Perugia-Assisi. Ad un giovane che volesse farlo, consiglierei di
iniziare con la lettura di un bel testo autobiografico di Capitini:
"Attraverso due terzi di secolo".

11
Il cammino non è solo un susseguirsi di passi. E' anche un orizzonte, un
panorama che cambia ad ogni curva, terra sotto i piedi e cielo sopra la
testa. Quando Capitini ideò il percorso da Perugia ad Assisi prestò
molta attenzione al paesaggio umbro, lo stesso che vedevano gli occhi di
Francesco, il santo della nonviolenza, nel suo peregrinare. Per questo
ci accosteremo umilmente, con rispetto e con "sacralità" al tragitto
della marcia Perugia-Assisi.

12
La marcia Perugia-Assisi del 1961 fu anche una festa, una celebrazione,
una liturgia. Tra i partecipanti c'erano familiarità e tensione ideale.
I contadini e gli operai indossarono "il vestito della festa", con la
giacca ad il cappello. Mogli e madri portavano ancora il lutto per il
marito o il figlio persi nella guerra terminata da solo sedici anni.
Cinquant'anni dopo dobbiamo prepararci a marciare con la stessa
compostezza di quegli uomini e quelle donne che ci hanno preceduto sulle
strade della Perugia-Assisi.

13
La marcia Perugia-Assisi, ideata da Aldo Capitini, si inserisce nella
tradizione delle marce nonviolente, a partire dalla "marcia del sale"
promossa da Gandhi al culmine della campagna di disobbedienza civile per
la liberazione dell'India. Sarebbe bello, e giusto, che ogni
partecipante alla marcia del 25 settembre 2011 dedicasse un pensiero,
durante il cammino, al Mahatma Gandhi.

14
Molte persone, pur desiderandolo, non potranno partecipare alla marcia
Perugia-Assisi, perchè malate, perchè anziane, perchè detenute, perchè
indigenti, perchè dedite a compiti non rinviabili. Marceremo anche per loro.

15
Dalla marcia Perugia-Assisi si leverà una richiesta corale, rivolta al
governo e al Parlamento: non tagliate i salari ma le spese militari.
Porre al primo punto dell'agenda politica la riduzione del bilancio del
Ministero della Difesa, sarà uno dei compiti della marcia.

16
Tra le dissennate misure "anti crisi" varate dal governo, vi è la
soppressione delle festività civili "non concordatarie" e il loro
spostamento alla domenica più vicina. Ciò significa cancellare le feste
del 25 aprile, del primo maggio e del 2 giugno. La marcia Perugia-Assisi
dovrà schierarsi a difesa della memoria e rivendicare le tre feste
laiche fondamentali: quella antifascista, quella dei lavoratori e quella
repubblicana.

17
Il popolo della pace si metterà in cammino, sulle orme di Aldo Capitini.
Ci saranno anche bambine e bambini, e pure gli animali accompagneranno
questo popolo. La "liberazione" nonviolenta, nel pensiero capitiniano,
riguarda adulti e fanciulli, ed ogni essere vivente. Tutti marceranno
insieme.

18
Il Presidente della Repubblica è il garante della Costituzione. Quando
ha approvato la guerra in Libia, quando ha giustificato l'intervento
militare in Afghanistan, quando ha promulgato leggi che prevedono spese
belliche, ha tradito il proprio ruolo. L'articolo 11 della Costituzione
italiana ripudia la guerra e il Presidente deve vigilare che così sia.
Se il Presidente della Repubblica, come già in passato è avvenuto,
intende mandare un messaggio ai marciatori della Perugia-Assisi, ne
tenga conto.

19
Ogni singola persona che deciderà di partecipare alla marcia
Perugia-Assisi, sarà un'aggiunta preziosa. La marcia è un patrimonio
collettivo, costituito dai marciatori tutti, che ne sono i responsabili.
Ogni singolo cartello, ogni striscione, ogni slogan, ha un'importanza
decisiva, perchè andrà a costruire il messaggio complessivo che la
marcia offrirà alla pubblica opinione. Per questo tutto deve essere
orientato ad un rigoroso spirito nonviolento, come voleva Aldo Capitini.

20
La marcia Perugia-Assisi esprime una grande attenzione alla natura e
all'ambiente. Sarà buona cosa produrre minor inquinamento possibile per
recarsi a Perugia: privilegiare il treno rispetto ai mezzi privati,
utilizzare la bicicletta quando possibile, riempire alla massima
capienza pullman e automobili. Cercheremo anche di evitare ogni inutile
inquinamento acustico e rumori molesti. Ogni singolo marciatore dovrà
fare attenzione a non disperdere nessun rifiuto, non lasciar cadere
carte e volantini per terra, non utilizzare bottigliette di plastica, ed
eventualmente riportarle via con sè. Saremo ospiti della splendida terra
umbra, e dovremo lasciare il percorso da Perugia ad Assisi migliore di
come lo avremo trovato.
Un semplice accorgimento: portiamoci un sacchetto apposito, e se vediamo
qualche rifiuto a terra lasciato da un marciatore distratto, raccogliamolo.

21
“Per la pace e la fratellanza dei popoli” (1961), “Mille idee contro la
guerra” (1978), “Contro la guerra ad ognuno di fare qualcosa” (1981),
“Contro il riarmo blocchiamo le spese militari” (1985), “Mai più
eserciti e guerra” (2000). Sono questi i titoli, e gli obiettivi
politici, delle precedenti marce che il Movimento Nonviolento vuole
rinnovare e riproporre il 25 settembre 2011.
Nel cinquantesimo anniversario della prima marcia di Aldo Capitini,
marceremo dunque per la pace e la fratellanza dei popoli, per
raccogliere mille idee contro la guerra, per chiedere ad ognuno di fare
qualcosa contro la guerra, per ottenere il blocco delle spese militari e
per riaffermare che se non vogliamo più guerre dobbiamo abolire gli
eserciti.

22
Sarebbe bello se ogni marciatore che parteciperà alla marcia, portasse
appeso al collo un cartello, anche solo un foglio di quaderno, con
scritto il proprio personale impegno contro la guerra, firmato con nome
e cognome.

23
La guerra è il più grande crimine contro l'umanità. Ogni guerra, per
qualsiasi motivo. Sia essa di attacco o di difesa, chirurgica o
umanitaria, per il petrolio o per la democrazia, la guerra è sempre un
crimine, in Libia o in Afghanistan. Questo dirà la marcia Perugia-Assisi.

24
La nonviolenza è il varco attuale della storia, diceva Aldo Capitini.
Ancor oggi la marcia Perugia-Assisi cammina sui sentieri della storia e
cerca il varco.

25
La Perugia-Assisi è democratica. Quando saremo in marcia ognuno di noi
sarà il centro dell'iniziativa. Ogni singolo marciatore esprimerà l'idea
collettiva. Non ci saranno capi, portavoce, rappresentanti. La marcia è
composta da tutti i marciatori, che hanno un uguale valore in sè.

26
La vera marcia inizierà la sera del 25 settembre, quando dalla Rocca di
Assisi sarà proclamata la conclusione. E' da lì che muoverà i primi
passi la marcia per la pace, quando ogni marciatore tornerà alla propria
casa con l'impegno di realizzare l'obiettivo comune: opporsi
integralmente alla guerra.

27
La marcia Perugia-Assisi dovrà dire parole chiare sulla politica
internazionale e sulla politica interna: non vogliamo più partecipare a
nessuna guerra, non vogliamo più pagare per le spese militari.

28
La marcia Perugia-Assisi è aperta a tutti, ai persuasi e ai perplessi.
Raccoglie le idee di tutti, ma deve dare un orientamento preciso verso
la nonviolenza. Se questo non avvenisse, sarebbe solo un'inutile marcia.

29
Accade spesso che gli abitanti lungo il percorso della marcia offrano
acqua e generi di conforto ai marciatori più affaticati. E' un gesto di
accoglienza, di ospitalità, di condivisione, che commuove.

30
La musica è un'arte che unisce, che crea emozioni, che parla ai
sentimenti. La colonna sonora della prima marcia fu affidata ad un
giovane cantautore con la chitarra. Chi sa suonare qualche strumento lo
porti alla marcia del 25 settembre 2011, e chi sa cantare non abbia
timore a farlo in coro con gli altri marciatori. La musica e le canzoni
ci accompagneranno da Perugia ad Assisi.

31
La marcia Perugia-Assisi condanna le guerre del passato, si dissocia
dalle guerre del presente e cerca di prevenire le guerre del futuro.

32
Nessuno venga alla marcia per ostentare la propria bandiera di parte, lo
striscione della propria organizzazione, il nome di uno specifico
movimento. Bandiere, striscioni e movimenti devono contribuire a far
prevalere l'obiettivo comune per cui marceremo insieme: il bene supremo
della pace.

33
Il 25 settembre ripercorreremo la strada indicata da Aldo Capitini; il
titolo della marcia sarà lo stesso dato da Capitini “per la pace e la
fratellanza dei popoli”; concluderemo alla Rocca di Assisi, là dove
Capitini lesse la “mozione del popolo della pace”. Dobbiamo essere
consapevoli della grandezza di ciò che faremo insieme.

34
Quando si marcia, si guarda in avanti. Il valore profondo della
Perugia-Assisi non è solo nella forza delle sue radici che affondano nel
passato, ma soprattutto nella capacità di indicarci la strada da
percorrere da domani.

35
Marceremo non per smania di protagonismo, o per sfogare indignazione o
rancori, e nemmeno per rivendicare diritti negati o torti subiti;
marceremo per dialogare con tutti coloro che marciano insieme a noi e
con tutti coloro che ci staranno ad osservare dai bordi della strada,
dalle loro case, dalla televisione e tramite i giornali. La marcia è un
metodo nonviolento per comunicare con gli altri. Dobbiamo spiegarci bene
e farci capire. Il messaggio è quello della nonviolenza.

36
Con Aldo Capitini, saranno in molti ad accompagnarci e darci forza
durante la marcia Perugia-Assisi del 25 settembre: Lorenzo Milani,
Danilo Dolci, Tonino Bello, Ernesto Balducci, Alexander Langer, Davide
Melodia, Gaetano Latmiral, Rocco Campanella, Birgitta Pinna Ottoson,
Emma Thomas, Gervasia Asioli, Piergiorgio Acquistapace, Marco Baleani, e
tantissime altre amiche ed amici della nonviolenza che qui tutti non
possiamo nominare, ma che ognuno di noi porta nel cuore. Sarà la marcia
della compresenza dei morti e dei viventi.

37
C'è un compito da assolvere per chi si prepara a partecipare alla marcia
Perugia-Assisi: chiedere al proprio Comune, al Sindaco, ad un
consigliere comunale, al Presidente della Provincia, ad un consigliere
provinciale, ad un deputato o un senatore, ad un consigliere di
quartiere o di circoscrizione, che si conosce o che si è votato, di
partecipare alla marcia in rappresentanza dell'istituzione di cui fanno
parte. Gli enti locali, le istituzioni democratiche rappresentative,
sono chiamate a fare la propria parte per la costruzione della pace.

38
Camminare per la pace da Perugia ad Assisi è anche una forma di
meditazione. "Ogni passo è vita, ogni passo è guarigione, ogni passo è
gioia, ogni passo è libertà" dice una preghiera buddhista.

39
Sarebbe bello che alcuni tratti della marcia da Perugia ad Assisi
fossero percorsi da tutti i marciatori in perfetto silenzio. Un silenzio
per concentrarsi sulle vittime delle guerre; un silenzio da opporre al
fragore dei bombardamenti.

40
Il rovesciamento del motto olimpico pensato da Alexander Langer
("lentius, profundius, suavius" anzichè "citius, altius, fortius") ben
si adatta alla marcia Perugia-Assisi: più lentamente, più profondamente,
più dolcemente. Questi devono essere i tre caratteri di una marcia per
la pace.

41
Saremo in tanti alla marcia per la pace. Ma quello che conta di più sarà
essere in tanti dal giorno dopo a dire di no alla preparazione della
prossima guerra.

42
Il disarmo. Questo è l'obiettivo politico di una marcia per la pace. Lo
sapeva già Francesco d'Assisi che chiedeva l'indulgenza per coloro che
prima di entrare alla Porziuncola abbandonavano le armi.

43
La marcia Perugia-Assisi è per la pace e la fratellanza dei popoli, e
dunque è antimilitarista, antifascista, antirazzista.

44
La Costituzione italiana ripudia la guerra. Chi partecipa alla marcia
Perugia-Assisi mette in atto la Costituzione.

45
La guerra è portatrice di morte. Le donne generano la vita. Il movimento
femminista rappresenta l'anima profonda della marcia per la pace.

46
La marcia Perugia-Assisi raccoglie il meglio di ciò che ha saputo
esprimere l’Italia negli ultimi cinquant’anni. Nonviolenti, obiettori di
coscienza, pacifisti, femministe, ecologisti, referendari, scout,
parrocchie, comitati, comunità di base, movimenti per i diritti civili,
per i beni comuni, per la giustizia, per la democrazia, si danno
obiettivi comuni: la pace e la fratellanza dei popoli.

47
La Perugia-Assisi è la marcia dell’obiezione alla cultura bellica,
dell’obiezione alla politica di guerra, dell’obiezione alle spese
militari, dell’obiezione di coscienza alle armi e agli eserciti.

48
“La marcia non è fine a se stessa. Crea onde che vanno lontano”. Così
diceva Aldo Capitini nel 1961. Le onde della nonviolenza sono giunte
fino a noi, oggi.

49
Ogni passo che i nostri piedi faranno da Perugia ad Assisi, deve
corrispondere ad un fucile che le nostri mani spezzano.

50
Partecipare alla marcia Perugia-Assisi è un grande privilegio. Seguiamo
le orme del santo Francesco, del mahatma Gandhi, del pastore Martin
Luther King, del professor Aldo Capitini. Camminiamo sulle vie della
nonviolenza.

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_____________________
Movimento Nonviolento
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37123 Verona

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giovedì 22 settembre 2011

Lino Balza e gli Stati Generali dei Beni Comuni... ma non di tutti!




Non tutti sono d’accordo ad organizzare gli Stati generali dei beni comuni e il Manifesto dei beni comuni, e da lì proporre una Alleanza alle altre forze sociali.

Non solo i nostri avversari sono contrari. Ad esempio scrive il settimanale anarchico Umanità Nova: “In questo momento i rischi sono due: isolarsi alla Maddalena in un assedio che sul piano militare non possiamo che perdere, illudendoci che la partita si giochi solo lì. Oppure dare fiato a chi vorrebbe la lotta su un piano meramente testimoniale, delegando all’ennesimo scatolone dei ‘beni comuni’ la rappresentanza delle istanza No Tav, No debito, No inceneritore… Ancora un ‘movimento dei movimenti’ destinato, oggi come dieci anni fa, ad annegarci nella melassa dei social forum, nell’illusione che il sistema fosse riformabile dal basso”. Questo è il metodo di lotta giusto secondo Umanità Nova: “Non bastano gli assedi alla Maddalena.

Oggi la scommessa è quella di uscire dall’imbuto nel quale ci ha infilato il governo, allargando il conflitto, moltiplicando i blocchi… dai cacerolazos agli alberghi dei poliziotti ai blocchi dei treni… occorre essere un po’ ovunque”.Umanità Nova commette errori, a mio parere. Non è vero che i movimenti si sono organizzati e hanno fallito; è vero il contrario: non hanno mai saputo organizzarsi a livello nazionale e per questo non esprimono la loro potenzialità unitaria ma sono sempre sull’orlo di una sconfitta epocale (vale anche per la Val Susa). Esempio fu il “Patto di mutuo soccorso”, gestito come una proprietà privata di alcuni gruppi piuttosto che come un bene comune dei movimenti.

L’importante per tutti è che la fede nel proprio metodo di lotta (anarchico o progressista che sia) non faccia mai perdere il rispetto per i metodi di lotta altrui, boicottarli o imporre i propri . Io, ad esempio, ritengo molto più efficace la non violenza, anche in Val Susa. E mi guardo da insegnare a Castro, Garibaldi, Mandela, Ghandi, Malatesta come fare una rivoluzione. Dunque dissento dall’affermazione che in Italia “lo Stato non è un bene comune ma l’attore principale dell’oppressione e dello sfruttamento” (Umanità Nova) e ritengo che tocchi ai movimenti non “indicare una via d’uscita rivoluzionaria”, ammesso che ci sia (e non c’è né oggettivamente né soggettivamene), bensì costruire realizzabili strumenti di lotta di massa. Utopie concrete, insomma.

Messaggio di pace e salute.

Lino Balza Via Dante 86 15100 Alessandria
Tel. 3470182679 - 013143650 linobalzamedicinadem@libero.it


.........


COMUNQUE IL SITO E' PRONTO. SI CHIAMA "Insieme" E HA QUESTO INDIRIZZO: http://www.insieme.in SARA' LO STRUMENTO INDISPENSABILE SE RIUSCIREMO A CREARE UNA ORGANIZZAZIONE STABILE DEI MOVIMENTI DEI BENI COMUNI. INTANTO PROVIAMO AD ISCRIVERCI PER VERIFICARE E SEGNALARE (ALL'OTTIMO GIUSTINI) SE E' CHIARO E FUNZIONALE, E COMINCIARE A RIEMPIRLO DI CONTENUTI.

mercoledì 21 settembre 2011

NATO e Turchia in Libano? - Nuovi scenari geomilitari e politici evocati da Maurizio Blondet




"In verità, nella creazione dei cieli e della terra e nell'alternarsi della notte e del giorno, ci sono certamente segni per coloro che hanno intelletto" Corano III, 190


Se mai la forza d’interposizione ONU sarà posizionata in Libano, conterà un contingente turco.
Con quale spirito?
Un amico mi riferisce che molti negozi di Istanbul espongono cartelli che dicono: «Non serviamo israeliani».
E che uno degli scorsi venerdì, nella grande moschea Sulaymanya (di Solimano) ha ascoltato l’imam spiegare che Israele e l’America sono nemici dei turchi e di tutti i musulmani, e devono essere combattute come fanno palestinesi, hezbollah, resistenti iracheni: una novità che ha stupito i presenti, dato che le prediche degli imam sono in genere controllate (se non dettate) da funzionari governativi.
Ma anche i media cosiddetti «laici» e non pro-islamici sono tutti contro USA e Israele.

«Il telegiornale di una famosa TV laica ha mostrato la mappa del ‘Grande Israele’, in cui metà della Turchia era coperta della stella di David».
Del resto il capo del governo Recep Erdogan, islamico «moderato», ha così definito l’intervento israeliano in Libano davanti all’Organizzazione della Conferenza Islamica a Kuala Lumpur ai primi d’agosto: «E’ una guerra iniqua… la guerra d’Israele non fa che accendere odio… non è difficile vedere che ci attende una terribile guerra globale e un enorme disastro».

Ma l’esercito turco, è tutta un’altra cosa.
Esso viene generalmente presentato dai media occidentali, in un linguaggio convenzionale, come «il garante supremo della laicità della Turchia».
I suoi numerosi colpi di Stato, con cui nella storia ha abbattuto governi legittimi, sono stati non deplorati, ma invariabilmente giustificati in Occidente come un segno della «fedeltà alla costituzione di Ataturk».

Per chi ha l’orecchio giusto, queste frasi convenzionali hanno un inequivocabile odore massonico. I comandi militari turchi sono infatti coperti da «donmeh»: questa parola, che significa «apostati», indica i discendenti degli ebrei che, nel 1666, credettero nello pseudo-messia Sabbatai Zevi. Posto dal sultano di fronte all’alternativa di mantenere la sua pretesa messianica o venir decapitato, Sabbatai Zevi si convertì all’Islam.

E sul suo esempio si convertirono molti dei suoi seguaci, ma falsamente.
Assunsero nomi islamici e il venerdì frequentavano la moschea; ma il sabato celebravano nelle loro sinagoghe segrete, dove praticavano (si dice ancora negli anni ‘30) culti aberranti. (1)

Alcune generazioni più tardi, troviamo i discendenti dei sabbatei secenteschi diventati il nerbo delle categorie professionali «moderne» e «laiche» in Turchia (medici, avvocati, banchieri), e negli altri gradi dell’armata, spesso affiliati a logge, politicamente radicali.

Sono essenzialmente gli ufficiali «donmeh» la forza dietro alla rivoluzione nazionalista di Ataturk, ispirata al verbo di Mazzini, e su basi radicalmente laiciste. (2)

Non c’è quindi da stupire che, contrariamente ai sentimenti popolari, l’armata turca sia amicissima di Israele.

Come spiega il professor Michel Chossudosvky in un saggio illuminante (3), si tratta di una vera e propria alleanza militare.

Questa risale addirittura al 1958: allora, con l’attivo favore degli Stati Uniti, Turchia e Israele stipulano un accordo, anodinamente noto come «Patto Periferico», le cui clausole sono segrete: ma si ritiene comportino la condivisione delle informazioni d’intelligence e il mutuo soccorso in caso di «emergenze». (4)
Il patto è stato rinnovato e potentemente rafforzato nel 1994; allora i militari turchi stipulano con Israele un «Security and Secrecy Agreement» (SSA) che comprende anche addestramento congiunto delle truppe e sviluppo congiunto di sistemi d’arma, nonché «l’impegno garantito della segretezza delle informazioni di intelligence condivise».

Di fatto, Israele ha occhi e orecchie e influenza indiscussa nell’armata turca.
E ha usato largamente il patto SSA in funzione anti-Siria.
«La Turchia consente all’IDF (Israeli Defense Force) di raccogliere intelligence elettronico su Siria e Iran dal territorio turco», dice Chossudovsky.

Nel 1996, il SSA viene perfezionato da un «Military Training and Cooperation Agreement» (MTCA) e da un «Military Industry Cooperation Agreement», con cui Israele aiuta i turchi a modernizzare i loro carri armati, la flotta elicotteri e i vecchi caccia americani F-4 ed F-5.

Tra i progetti comuni, c’è lo sviluppo del missile antimissile Arrow II e del «Popeye» israeliano.

Dal ‘97 la cooperazione è coronata da una «Strategic Dialogue»: in cui due volte l’anno comandi supremi dei due Paesi, al livello di vice-capi di SM, si incontrano per «consultazioni» (Milliyet, 14 luglio 2006).

Nella guerra israeliana contro il Libano, i comandi turchi hanno visto l’occasione per strappare, con l’alleata Israele, «il controllo militare su un corridoio costiero che va dal confine israelo-libanese fino al confine tra Siria e Turchia nel Mediterraneo orientale».

Questa amicizia strategica comprende la fornitura di un altro materiale strategico per Israele: l’acqua potabile.

Con un accordo stilato nel 2004, la Turchia si impegna a venderne allo Stato ebraico 50 milioni di metri cubi l’anno per vent’anni, canalizzandolo attraverso una speciali pipeline turco-israeliana.

Con questi precedenti, si capisce bene come mai a volere la Turchia nell’Unione Europea, premendo con la forza delle sue lobby nei Paesi europei, sia soprattutto Israele.
E con la potente pressione degli USA.
La Turchia è per gli USA uno dei più potenti e fidati membri della NATO.
Ma anche Israele è stata introdotta alla chetichella nella NATO con un «security agreement» dell’aprile 2001, passato ovviamente sotto silenzio dai nostri media.
Questa manovra si è conclusa con successo nel 2004, quando è stata data vita alla «Istanbul Cooperation Iniziative».

Ambigua e alquanto innaturale «partnership militare» (alleanza) che vede la NATO inglobare Israele, e Paesi islamici satelliti (Egitto, Giordania, Algeria, Mauritania, Marocco e Tunisia) costretti volenti o nolenti a partecipare.
Partecipare a cosa?

Dice un testo NATO: a «contribuire alla sicurezza e stabilità regionale, promuovendo una maggiore cooperazione pratica… assistenza nella riforma della difesa, cooperazione nella sorveglianza dei confini, attuazione della inter-operabilità e contributo alla lotta contro il terrorismo».


Erdogan ed Ariel Sharon


Con questo patto di Istanbul, praticamente Israele (complice la NATO) non solo ha neutralizzato un bel numero di potenziali avversari nel mondo arabo, ma ha la possibilità di spiare a suo agio nelle loro faccende militari e interne.
Nel novembre 2004, a Bruxelles e sotto l’egida NATO, i rappresentanti militari dei Paesi islamici sopra citati sono stati convocati per ascoltare altissimi gradi di Israele che dettavano istruzioni e condizioni.

Israele si comporta già come fosse - e come è - non solo membro della NATO, ma il membro-guida dell’alleanza ex atlantica.

Dei «colloqui NATO-Israele» tenutisi a Tel Aviv nel febbraio 2005 hanno consolidato l’alleanza surrettizia di fatto.

Alleanza a senso unico, in cui Israele non s’impegna a nulla verso la NATO, mentre la NATO s’ìmpegna a difendere la sua sopravvivenza (notoriamente «sempre in pericolo»), e ad aprire alle spie israeliane i suoi segreti militari, se ancora ne ha qualcuno. (5)

E’ bene tener presente questi accordi occulti per capire in quale posizione si troveranno le truppe italiane che D’Alema e Parisi (con la benedizione dell’«americano» Napolitano) vogliono mandare come interposizione in Libano.
Da questi accordi, che andrebbero energicamente denunciati, evidentemente il governo dell’Ulivo si sente legato; come dice Napolitano, «non possiamo sottrarci».
Ciò significa che andiamo là non come forza neutrale, ma come alleati occulti d’Israele, esattamente come i turchi: donmeh onorari.
E’ in questo frangente che l’esercito turco si è dato come capo supremo un amico d’acciaio di Israele: il generale Yasar Bukuyanit, che entra in carica giusto in agosto.

Una nomina che il governo islamico-moderato di Erdogan non ha potuto che avallare.
Il generale Bukuyanit è un ospite fisso dell’American Enterprise, il centro di studi strategici neocon - ossia israeliano - che domina sul Pentagono, e di cui fanno parte Wolfowitz, Leeden, e i soliti noti.


Il Generale Yasar Bukuyanit


Israele è contentissimo di aver un simile amico in carica - e probabilmente ha tramato per imporlo: il generale Bukuyanit è un donmeh, e sotto il suo comando il contingente turco della forza d’interposizione è garantito sparerà, se c’è da sparare, dalla parte giusta.

Però si è verificato un imprevisto.

Il giorno in cui il generale Bukuyanit è stato nominato alla carica suprema, «qualcuno» ha misteriosamente inviato due milioni di messaggi SMS su altrettanti cellulari turchi: in cui si denunciava Bukuyanit come «un ebreo filo-israeliano, messo lì per fare la guerra all’Iran per conto di Israele».
Del fatto, clamoroso, la stampa occidentale non ha ovviamente parlato, e il nostro amico è in grado di indicarci articoli solo in turco. (6)

Ma la polizia «laica» turca è allarmatissima e sta compiendo febbrili indagini per scoprire i mandanti di quest’impresa.

Il sospetto è che venga da ufficiali turchi ostili ad Israele, o da una fazione islamica dentro l’esercito: il che sarebbe per sé un fatto inaudito, spiega l’amico, perché nell’armata turca se dimostri una minima simpatia per la fede, sei escluso da ogni avanzamento in carriera, e anzi rischi l’espulsione.
Ma potrebbero esserci dei «laicissimi» (massonici) generali che però non amano servire i giudei ad ogni costo.

Difatti, è convinzione comune che Bukuyanit, il dunmeh, inaugurerà il suo comando come capo di SM con una estesa «purga» negli alti gradi turchi, in vista di ripulire i comandi di ogni sentimento antisionista.
Il primo a cadere dovrebbe essere il generale Isik Kosaner, vice-capo di Stato Maggiore.

Costui ha rivelato i suoi sentimenti rifiutando di partecipare, a metà luglio, alla riunione semestrale dello «strategic Dialogue» turco-giudaico a Tel Aviv, il cui scopo è fornire a Israele le informazioni di intelligence dell’armata turca.

Ma meno facile è sondare i sentimenti degli ufficiali di grado minore, e dei soldati turchi - sicuramente qualche corpo di elite - che saranno mandati a fare interposizione in Libano.
Nessuno può garantire che i feroci soldati di Ataturk, posti di fronte all’alternativa di sparare contro musulmani per salvare Israele, facciano la scelta «giusta».
Rischiamo di assistere ad evoluzioni impreviste della semisecolare «fedeltà alla NATO» della Turchia?

Maurizio Blondet



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Note
1) Lo storico ebreo Gershom Scholem è la fonte principale su questa setta ebraica pseudo-islamica. I culti aberranti si spiegano con una «teologia» di tipo antinomico: essendo l’era messianica già qui, «non valgono più le leggi d’incesto», perché il messia libera gli ebrei da ogni legge. E lo dimostra proprio l’apostasia di Zevi: il messia stesso compie un atto aberrante, l’apostasia. Dunque, per i suoi fedeli, «la salvezza si ottiene attraverso il peccato», scendendo fino in fondo alle «porte d’impurità».
2) Sulla parte essenziale dei donmeh nella rivoluzione di Ataturk, si veda il mio «Cronache dell’Anticristo», Effedieffe.
3) Michel Chossudovsky, «Triple alliance: the Us, Turkey, Israel, and the war on Lebanon», Globalresearch, 6 agosto 2006.
4) L'artefice del patto segreto è stato Baruch Uziel (1901-1977), un ebreo greco di nascita, emigrati in Israele nel 1914 dove divenne capo del partito liberale.
5) Israele e Turchia hanno compiuto manovre congiunte minacciosamente davanti alla Siria agli inizi del 2005, subito seguite da manovre NATO-Israele coi Paesi arabi soggetti. Il segretario generale della NATO Japp de Hoop Scheffer, olandese, ha visitato Israele in quell’occasione e si è incontrato con Sharon e i più alti gallonati dell’armata di Sion, per cooperare «nella lotta al terrorismo e contro le armi di distruzione di massa».
6) Ibrahim Kiras, «Buyukanit neden 4 gun once atandi?», 8 Sutun, data imprecisata. Lo si può vedere al sito: www.8sutun.com/node/17496.